Draghi sbaglia, non sarà la cittadinanza a unirci
Nel discorso al Senato, il premier Draghi ha detto che “prima di ogni nostra appartenenza viene il dovere della cittadinanza”. Affermazione grave che pone lo Stato in una posizione di potere assoluto. E rende la Costituzione alla stregua di un libro sacro.
Nel suo discorso al Senato di mercoledì scorso Mario Draghi ha usato una espressione che deve farci riflettere. Egli ha detto che “Prima di ogni nostra appartenenza viene il dovere della cittadinanza”. Prima di tutto io sarei cittadino italiano, poi – solo poi – sarei maschio, di religione cattolica, veronese e veneto, sposato con figli, appartenente ad una certa cultura, italiano nel senso storico-identitario del termine e così via. Tutti questi caratteri sarebbero divisivi di una comunità politica; solo la cittadinanza, ossia il riconoscimento di uno status politico conferito dal potere in atto, sarebbe fonte di unità.
Questa cittadinanza, come riconoscimento di una esistenza formale da parte dello Stato, sarebbe però anche vuota di determinazioni, perché verrebbe prima delle determinazioni elencate sopra e di altre ancora che qui non ho elencato. Il cittadino (le citoyen) sarebbe una astrazione, un individuo avulso da ogni legame e privo di connotazione identitaria, un individuo senza religione, senza storia, senza appartenenze territoriali particolari, senza relazioni se non quelle formali con gli altri cittadini. Tutto questo, secondo la frase di Draghi, verrebbe dopo e sarebbe condizionato dalla cittadinanza, senza che la cittadinanza venga condizionata dalle identità e dalle appartenenze.
Per capire chi sono, dovrei leggere la Costituzione e non il contrario, ossia capire chi sono e poi vedere se la Costituzione rispecchia la mia realtà o la tradisce. Dovrei anche valutare la mia religione, la mia identità culturale, la mia situazione familiare, la mia morale personale alla luce della Costituzione perché è da lì, dalla Costituzione, che deriverebbe la cittadinanza come punto di vista originario e principale rispetto ad ogni altro. La Costituzione, però, a questo punto non può venire messa in discussione e criticata, perché viene prima dei valori in base ai quali la si vorrebbe criticare. La cittadinanza richiama così ad una costituzione assoluta.
Inoltre tutti i cittadini, spogliati delle loro caratteristiche, sarebbero tutti uguali come dei numeri davanti allo Stato. In mezzo, tra loro e lo Stato, non ci sarebbe niente: non più famiglia, non più comune o regione, non più associazioni per affinità tra le persone, non più folclore o tradizione, non più comunità religiose. Solo i cittadini, in fila come i soldatini di piombo e, davanti a loro, come un soldatino molto più grande, lo Stato.
Siccome la cittadinanza uno non se la può dare da solo, ma gli viene attribuita dal potere politico, nel caso attuale lo Stato, allora il potere politico sarebbe assoluto, in quanto è lui il Dio che ci “crea” come cittadini, e questa cittadinanza che egli ci elargisce viene prima e condiziona tutto il resto, sicché noi dobbiamo vivere come lo Stato vuole. Vivere come lo Stato vuole vuol dire vivere come dentro una macchina costituita dalle leggi dello Stato e dalle operazioni delle sue propaggini, ministeri o enti locali della pubblica amministrazione. Oltre che Dio, lo Stato sarà quindi anche una Macchina che pianifica la nostra vita nel dettaglio e che ci controlla.
Se tutti gli altri significati della vita – come dice Draghi – vengono dopo la cittadinanza e se prima di tutto uno è cittadino e poi, solo poi, tutto il resto, allora il lavoro e la sua vita familiare, lo svago e l’apprendimento, la pietà religiosa e l’attività sportiva, la salute e la malattia, la vita e la morte potrà essere conformata dall’alto alla cittadinanza, Origine di ogni cosa.
La cittadinanza però è un fatto innaturale e convenzionale: è posta da qualcuno di noi, colui che ha il potere, sia esso una persona o un’assemblea. E siccome viene prima di tutto il resto può anche non avere basi reali e giustificazioni legittime, ma essere una pura invenzione, un costrutto, un Artificio. Il potere allora è Dio, è Macchina ed è Artificio. L’innaturalità dell’artificio è evidente se, come deve essere, l’artificio è posto all’inizio, come è posta all’inizio la cittadinanza. Il potere allora non dovrà più chiedere conferme al di fuori del proprio artificio, che non siano artificiali anche esse, ossia procedurali, convenzionali, stabilite dall’ordinamento artificiale della macchina statale. Solo l’artificio può legittimare l’artificio, una volta che l’artificio si è posto come l’Inizio. Basta che una cosa sia decisa da un’assemblea nel rispetto delle regole artificiali che il sistema si è dato e quella cosa diventa giusta.
L’invenzione sostituisce il reale e l’unico modo di essere originali è essere conformisti. La cosa veramente riprovevole, che l’Artificio si incaricherà di stroncare con la massima violenza, è fare appello a qualcosa di reale, a qualcosa che venga prima della cittadinanza e, venendo prima, anche la condizioni e la regoli.