Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Callisto I a cura di Ermes Dovico
IL CASO

Dov’è finita la cultura che ci doveva difendere?

L’egemonia culturale diventa prima elettorale e poi anche pecuniaria. Insomma, conquistare la cultura è l’unica cosa necessaria; il resto, come l’intendenza, seguirà. Tutto il resto. Lo sapeva bene il vecchio Partito comunista di Gramsci e Togliatti, ma non lo sanno ancora oggi i cattolici.

Cultura 09_02_2016
L'egemonia culturale diventa poi anche elettorale

Secondo una recente indagine americana, le università e il mondo culturale statunitensi sono dominati, in percentuali che oscillano tra il 95 e il 98%, dalla sinistra. Va da sé che chi domina il caput mundi domina tutto il pianeta. La “sinistra” da quelle parti si chiama liberal, ma di liberista non ha niente. 

É statalista e giacobina, attratta da sempre dal marxismo, di cui ha ereditato (o guidato?) la deriva nichilista. Spirito borghese allo stato puro, come diceva Augusto Del Noce. Con, in più, l’antica vocazione robespierriana a regolamentare ogni aspetto della vita privata, a imporre il suo linguaggio, a terrorizzare chi non è d’accordo. Per capire come sia stato possibile questo dominio delle cattedre e, di conseguenza, delle menti, non c’è bisogno di ricorrere a complicate spiegazioni sociologiche. Basta un esempio. Quando, a suo tempo, l’ancor giovane Umberto Bossi lamentava il fatto che tutti i vigili urbani milanesi fossero meridionali, gli si fece osservare che il concorso per vigile era pubblico, ma erano i milanesi stessi a disertarlo. 

Già: non ci voleva un sociologo per sapere che al milanese interessava fare i danè e al meridionale il “posto fisso”. Risultato, i danè del milanese se li pigliava il vigile meridionale che li girava al Comune. Qualcosa del genere, ma più in grande, è accaduto a Berlusconi. Com’è noto, quando si limitava a fare affari nessuno lo disturbava; appena “sceso in campo” in politica, s’è tirato addosso lo tsunami. La sinistra mise in moto contro di lui tutta la sua potenza propagandistica. L’uomo venne dipinto come la quintessenza del male antidemocratico, e anche in campo internazionale venne di moda prenderne le distanze, tanto che perfino la Ciccone, in arte Madonna, ne collocò l’effigie tra i Grandi Cattivi del Novecento in uno dei suoi show. 

Il collaudato sistema serve a intimidire l’uomo della strada, il quale (come ai tempi della Dc) votò Berlusconi nel segreto dell’urna, ma si vergognava di dirsene sostenitore. Ma l’uomo della strada non è necessariamente uomo di princìpi, perciò tanti mangiarono la foglia: se sto a destra –ragionarono- passo i guai e nessuno mi difende; se mi butto a sinistra (come diceva Totò) avrò solo vantaggi e, in caso di problemi, il “soccorso rosso” mi aiuterà. Morale: l’egemonia culturale diventa per forza anche elettorale, è solo questione di tempo. 

Qualcuno, accortosene, disse al Cavaliere: ma come, hai le televisioni e non le sfrutti per una contro-propaganda? Lui rispose che le sue erano tivù commerciali che campavano di pubblicità. Cioè, non poteva usarle per far cultura di segno contrario perché gli sponsor pubblicitari si sarebbero ritirati. Invece l’esperienza insegna che gli sponsor pubblicitari vanno dove la propaganda “tira” (vedi il caso Barilla, e non solo). Così, i soldi guadagnati in inserzioni pubblicitarie Berlusconi li spese tutti in avvocati. Né ciò lo scampò dalle condanne e dalla disfatta politica. Morale: l’egemonia culturale diventa prima elettorale e poi anche pecuniaria. Insomma, conquistare la cultura è l’unica cosa necessaria; il resto, come l’intendenza, seguirà. Tutto il resto. 

Lo sapeva bene Togliatti, che lasciò ai miopi dc i ministeri economici e quelli che loro ritenevano “chiave”, limitandosi a seminare di uova di drago il mondo della cultura. A suo tempo le uova si dischiusero e fu il Sessantotto. L’allora Fiat completò l’opera assumendo nei suoi giornali le firme dell’estremismo rosso, credendo di stemperarne la carica rivoluzionaria. Così, quei giornalisti coraggiosi che l’avevano combattuto se lo ritrovarono a comandare nelle direzioni e nelle redazioni, nelle quali ultime l’”eskimo” finì col dilagare (perché anche i giornalisti ex coraggiosi tenevano famiglia). 

In campo cattolico, oggi, l’apologetica è stata messa fuori gioco e solo pochi “giapponesi” continuano a praticarla rifiutando di ammettere che il “giappone” si è arreso. Eppure, essa era la “cultura” da contrapporre al nichilismo edonista. Quando comparirà all’orizzonte la generazione di disadattati (per dire il meno) allevati da Lgbt, l’«ospedale da campo» con quali infermieri li curerà?