Dottrina sociale e teologia della storia
La Dottrina sociale della Chiesa, in quanto appartiene all’essenza e alla missione della Chiesa come Giovanni Paolo II ha ben chiarito, e in quanto teologia e in particolare teologia morale, richiede una teologia della storia per essere compresa e vissuta.
La Dottrina sociale della Chiesa, in quanto appartiene all’essenza e alla missione della Chiesa come Giovanni Paolo II ha ben chiarito, e in quanto teologia e in particolare teologia morale, richiede una teologia della storia per essere compresa e vissuta. Abbisogna soprattutto di una teologia della storia fondata su perdizione e redenzione, come lo stesso Giovanni Paolo II ha scritto in “Varcare la soglia della speranza” (Rizzoli, Milano ). Così collocata, essa può meglio comprendersi come strumento di evangelizzazione, come educazione alla fede, come annuncio di Cristo Redentore e come dottrina che deve servire per la pratica, non intesa in senso “praticone” ma come azione finalizzata, da ultimo, alla salus animarum. Chi si interessa di Dottrina sociale della Chiesa vede quanto poco essa oggi sia intesa e presentata così, ossia collocata dentro una teologia della storia che vede lo scontro tra città di Dio e la città dell’uomo, che durerà fino alla fine dei tempi storici.
Il filosofo della storia Karl Löwith, con la sua genialità da un lato ma anche con il suo pessimismo protestante dall’altro, invita a non pensare che il Cristianesimo abbia alla fine prodotto un grande progresso dell’umanità perché, come egli scrive, “siamo ancora al tempo dei Vandali” (“Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia”, Il Saggiatore, Milano 2010). Egli dissocia il cristianesimo da ogni forma di progressismo o millenarismo terreno, considerando il regno di Dio come radicalmente altro dal regno del mondo. In ciò egli concorda con Dietrich Bonhöffer (“Venga il tuo regno”, Queriniana, Brescia 1969). Il pericolo è che da queste posizioni emerge un mondo “adulto” senza Dio.
Una visione troppo pessimista, dicevo, appropriata per una visione di filosofia della storia nella quale, comunque, ci si salva per sola Gratia e sola Fide. Tuttavia interessante e utile – anche in modo sproporzionato e tale da suscitare altri pericoli - a scongiurare le versioni progressiste della teologia cattolica della storia. Secondo queste visioni l’avvento del Regno e il ritorno di Cristo sarebbe frutto di una evoluzione storica, di una umanità rinnovata dal messaggio cristiano, da un progresso continuo verso il meglio alimentato dalla Fede e dalla Grazia che alla fine sboccerebbe nel suo Compimento. Il modernismo ha alimentato molte di queste visioni riconducibili ad un’anima gnostica: millenarismi, gioachimismi, anabattismi, chiliasmi, messianismi … tutte forme di immanentizzazione della promessa cristiana, come ben messo in evidenza dallo stesso Löwith e, prima di lui, da Carl Schmitt.
La Dottrina sociale della Chiesa è implicata in queste problematiche. Chi se ne occupa e, soprattutto, chi agisce alla luce dei suoi insegnamenti, è come soggetto a due tentazioni: pensare che la sua azione nel mondo farà crescere la vita cristiana avvicinandola al suo Compimento e che, così agendo, il mondo risponderà positivamente alla sua azione, accogliendola e concordando con essa o, al contrario, che siccome il Regno di Cristo non è di questo mondo a nulla serve annunciare Cristo nelle realtà temporali.
Come hanno messo in evidenza teologi come il cardinale Journet o il domenicano Calmel (“Teologia della storia”, Edizioni Kolbe, Seriate 2014) nella storia la rivelazione cristiana non può non avere anche come conseguenza la costruzione di una società cristiana o di una civiltà cristiana, ma questo non vuol dire che si inneschi un processo di progresso automatico e che la Chiesa non debba subire il “morso” del mondo. Per questo la Dottrina sociale della Chiesa non può cessare di “opporsi” al mondo quando il suo spirito animatore non è più cristiano. L’evoluzionismo sia cosmico che storico non concorda con il cristianesimo. La Chiesa non è qui per suscitare progressivamente una super-umanità, per realizzare la pace assoluta, o il totale rispetto della natura, o perché la giustizia regni sovrana su tutta la terra. Ciò comporterebbe di negare che finché dura questa storia lo scontro tra le due città possa cessare di esistere. “Ciò che il Padre ha dato a Gesù – scrive Calmel – nessuno può toglierglielo dalle mani” e alla fine ci sarà la vittoria, ma questo non significa che “i lupi rapaci non perseguitino il gregge fedele fin nell’ovile del Pastore e non gli facciano sentire i loro morsi”.