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VITA

Dopo trent'anni il primo bimbo non si scorda mai

Sono trent’anni che il Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli è nato nell’ufficio severo di un nostro amico notaio. La mente torna al momento vissuto con emozioni mai dimenticate. Ho sempre considerato il Cav come un bimbo che rischiava ogni momento di essere eliminato esattamente come i bambini che vengono abortiti.

Editoriali 25_10_2014
Il Cav Mangiagalli compie 30 anni

Sono trent’anni che il Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli è nato nell’ufficio severo di un nostro amico notaio. Come sempre in occasione degli anniversari, la mente torna al momento vissuto con emozioni mai dimenticate. Ho sempre considerato il Cav come un piccolo bimbo che, soprattutto negli anni Ottanta, rischiava ogni momento di essere espulso esattamente come i bambini che vengono abortiti. “Crea problemi, non lo vogliamo, non c’è posto per lui. Non eravamo ancora presenti fisicamente che la notizia già correva, all’interno dell’ospedale, di bocca in bocca.

Primo pomeriggio di trent’anni fa. Sono a casa immersa nei progetti futuri. Tutto da inventare, tutto da organizzare. Squillo imperioso del telefono: «Chiamo dalla Mangiagalli, (già mi era venuto un gran colpo al cuore), sono la psicologa dell’ambulatorio della 194. Ho saputo che lei verrà ad aprire un Centro di Aiuto alla Vita proprio in clinica. Sono insieme a una signora arrivata a 12 settimane (a quel tempo abortire in Mangiagalli era piuttosto facile). La signora vuole interrompere la sua gravidanza. Vive, infatti, in macchina e il padre del bambino che aspetta, proprietario dell’automobile, vuole che abortisca. La minaccia dicendo che se lei non si sottoporrà al più presto all’intervento abortivo, non potrà più restare nell’auto. La signora non sa proprio dove andare, anche una macchina può costituire un rifugio e, quindi, compirà questo gesto. Mi sembra di aver capito, però, che se lei potesse trovare una soluzione alloggiativa, potrebbe ripensarci».

Sbalordita, mi sono detta: la sfida comincia! «Quanto tempo mi dà per trovare una soluzione?» chiedo in tralice. «Possiamo aspettare una mezzoretta. Provi!». Dire che mi sentivo impaurita, sfidata, messa alla prova, è scontato. Ho invidiato molto tutte le persone ricche che si potevano permettere una camera per gli ospiti! Noi quattro, compressi in tre locali risonanti dei litigi dei miei figli per i turni di ascolto dei dischi di Neil Young piuttosto che dei Beatles, non potevamo fare posto, se non nel cuore, a questa donna. Dovevo, comunque, trovare una soluzione e anche in fretta. Non vedo e, già allora, i miei occhi mi avevano abbandonato così da non poter effettuare nessuna ricerca di indirizzi utili.

Il telefono, il telefono, mi dico. A volte mi sento davvero molto riconoscente a questo strumento che, pur suonando anche smodatamente creando una certa fatica, mi permette gli interventi più impensati e impensabili. Ridendo di me, a volte penso: “datemi un telefono e vi solleverò il mondo”. Attualmente ci sono tanti modi di ricevere informazioni telefonicamente; a quel tempo esisteva solo il “12”. Chiamo, allora, in tutta fretta, quel “12” e chiedo il numero telefonico dell’unica struttura, Casa Materna di Cascina Corba, che conoscevo per averne sentito parlare, poiché è situata nella zona dove abito. «408…», mi comunica l’operatrice. Chiedo di ripetermelo, dovevo memorizzarlo!

Grande respiro! Poi, con la paura di dimenticare o di confondere qualche cifra, giro il disco con il dito che, forse, trema un po’. Finalmente un «Pronto» dall’altra parte del filo. Una suora gentile mi ascolta. «Il servizio sociale ne è informato? Perché dovrà pagare la retta». Più interdetta che mai, penso che non ho certo il tempo per interpellare un qualunque servizio sociale, tanto meno quello in cui la signora ha la residenza. «A quanto ammonta la retta da pagare?», oso chiedere con malcelata sicurezza. La cifra non è spaventosa; le rotelle girano a velocità supersonica ed elenco nella mia testa tutte le persone a cui poter chiedere di aiutarmi ad aiutare questa donna e questo bambino. «Va bene», rispondo alla suora gentile, «il nostro Cav Mangiagalli farà fronte. La ringrazio con tutto il cuore».

Verificherò negli anni che questa incoscienza è stata sempre una mia caratteristica.  Il “saltimbanco della vita” o don Chisciotte contro i mulini a vento. Si tratta di scegliere. «Ho la risposta per la signora che ha nello studio», esclamo con una certa soddisfazione. «La signora può essere accolta a Casa Materna. Non si preoccupi per la retta, ce ne faremo carico noi». Maria Grazia, che non ho mai incontrato, ha accettato la soluzione trovata in questo modo rocambolesco. La sua gravidanza è andata avanti e Gabriele è nato. In primavera compirà, anche lui, trent’anni e sono sicura che il gesto accogliente della sua mamma gli avrà dato fiducia nella vita.

Dopo Gabriele e tanti salti nel buio, sono nati più di 17.000 bambini e nessuna donna è mai tornata indietro a lamentarsi dell’aiuto ricevuto per rendere possibile la nascita del proprio figlio.