Dopo tanti sprechi, Ita ai tedeschi è una buona notizia
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Rispetto alle spericolate operazioni degli ultimi anni e che hanno portato i vertici di Alitalia ad arricchirsi alle spalle dei cittadini-contribuenti, l'operazione Ita-Airways non va drammatizzata: chi lamenta la svendita del patrimonio industriale italiano versa lacrime di coccodrillo perché è stato tra gli artefici del disastro italiano.
Il mito dell’italianità da preservare a tutti i costi nella proprietà della compagnia aerea lo abbiamo pagato a caro prezzo per decenni. Gli italiani in quasi mezzo secolo hanno tirato fuori di tasca loro quasi 13 miliardi per tenere in vita Alitalia, che dal 2020 ha lasciato il testimone a Ita. Il governo Meloni ha deciso di intervenire nuovamente su quel dossier e ha adottato una soluzione che alcuni reputano l’ennesima “polpetta avvelenata” ai danni dei cittadini, ma in realtà può forse contribuire a sgravarli di un onere davvero imbarazzante: quello di dover ripianare ancora una volta i debiti della compagnia di bandiera.
Il Ministero dell’Economia (Mef) e Lufthansa hanno raggiunto l’accordo per la cessione di una quota di minoranza dell’ex compagnia di bandiera al gruppo tedesco. L'accordo sarà sottoposto al vaglio della Corte dei Conti e notificato alla direzione generale concorrenza della Commissione europea. "Questa decisione consentirà al mercato dell'aviazione di svilupparsi nell'interesse dell'Italia", ha detto il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti.
I tedeschi prendono in mano una quota del 41%, attraverso un aumento di capitale di 325 milioni di euro. Dunque la prospettiva dell’integrazione di Ita con un importante vettore europeo si realizza in maniera piena. Il piano industriale della compagnia prevede una crescita dei ricavi di 2,5 miliardi di euro per quest’anno e di 4,1 miliardi di euro per il 2027. Nel 2027 Ita avrà 94 aerei (oggi ne ha 71) e 5.500 dipendenti (oggi ne ha 4.300). Le sinergie tra i due azionisti (Mef e Lufthansa) saranno costanti.
“La strategia di Ita Airways – si legge nella nota - punta ad affermarsi come player di riferimento tra i vettori full service nei tre settori intercontinentale, internazionale e domestico, con particolare attenzione al traffico di lungo raggio. Questo riposizionamento strategico consentirà inoltre di rafforzare maggiormente il traffico dell'hub di Roma Fiumicino, che avrà un ruolo centrale nel modello multi-hub del Gruppo Lufthansa".
C’è insomma l’ambizione, grazie a questa partnership con i tedeschi, di conquistare nuove fette di mercato e di accrescere la competitività della compagnia, ma con la prospettiva di aumentare la quota di Lufthansa, che potrebbe diventare l’azionista di maggioranza o addirittura unico della compagnia.
Rispetto alle spericolate e velleitarie operazioni che si sono succedute negli anni e che hanno portato i vertici di Alitalia ad arricchirsi alle spalle dei cittadini-contribuenti, costretti a ripianare ciclicamente le perdite dovute alle loro scelte gestionali scellerate, oggi la situazione appare più solida e la scelta del governo Meloni sembra lungimirante.
Lufthansa è un solido gruppo europeo che può assicurare solidità alla compagnia aerea, preservando l’occupazione. Il rovescio della medaglia è quello di accelerare la definitiva uscita dello Stato dal settore degli aerei. Come detto, l’accordo lascia aperta la possibilità che Lufthansa eserciti un’opzione per un ulteriore pacchetto del 49 percento del capitale. In quel caso lo Stato conserverebbe una percentuale poco più che simbolica del 10% e chissà per quanto. Nell’arco di qualche anno potrebbe cedere anche quella porzione residua.
Ma non va drammatizzata questa scelta industriale, che nulla ha a che fare con le soluzioni tampone adottate per anni e che hanno soltanto privilegiato la strada delle alleanze operative, senza alcun piano strategico di rilancio. E i risultati (disastrosi) si sono visti, con frequenti azioni di ripianamento del debito attingendo alle tasche degli italiani.
Chi drammatizza questa strada e lamenta la svendita del patrimonio industriale italiano, celebrando i funerali della compagnia di bandiera, versa lacrime di coccodrillo perché è stato tra gli artefici del disastro italiano e dei “saldi” che per decenni hanno riguardato intere porzioni di storiche imprese italiane. Ora che qualcuno prova a risanare sul serio la compagnia di bandiera italiana, aprendosi al mercato, bisognerebbe incoraggiarlo, tanto più in un contesto sempre più globale come quello in cui risulta immersa la nostra economia.