Dopo Napolitano-Mattarella serve un cambio di rotta
Negli ultimi 16 anni il Colle si è messo a fare politica diretta, adottando principi tipici del neo-globalismo. Colpisce l’univocità di discorso dei due ultimi presidenti, con la spinta sui “nuovi diritti” e il silenzio su famiglia naturale e vita fin dal concepimento. Serve discontinuità al Quirinale, per il bene dell’Italia.
Le manovre per il Quirinale sono in fase conclusiva e si apre il periodo decisivo. I politici, quando devono intrecciare accordi, dicono sempre lo stesso: non si tratta di nomi ma di programmi, prima mettiamoci d’accordo sulle idee e poi troveremo il nome giusto per incarnarle. So bene che il nome giusto ognuno di loro ce l’ha già in tasca, ma tutti si attengono al gioco di “prima le idee e poi il nome”. In questo momento, però, i partiti non sono in gran forma per produrre molte idee e quindi la situazione, mentre ci si avvicina al conto alla rovescia per il Quirinale, è piuttosto confusa, col pericolo che alla fine vinca chi punta sul piatto preconfezionato di Draghi. Proviamo però almeno noi a fare un ragionamento e a produrre un quadro di valutazione politica.
Ogni considerazione sul futuro inquilino del Quirinale va preceduta da una riflessione sul Quirinale. Abbiamo trascorso una lunga fase buia, quella dell’era Napolitano-Mattarella. Lo dico ben sapendo che l’opinione corrente largamente diffusa e fatta propria dai media dominanti è contraria: l’epoca Napolitano-Mattarella sarebbe stata caratterizzata dallo stato di salute delle istituzioni repubblicane. Ma questa è la concezione degli apparati del potere ma non di tutti gli italiani.
In questi sedici anni - Napolitano governò per sette anni + due perché i partiti in ginocchio gli chiesero di rimanere dopo le elezioni del 2013 - il Quirinale si è messo a fare politica diretta, anche se da dietro le quinte. Il caso più evidente fu quando, alla fine del 2011, Napolitano impose agli italiani il governo Monti. Lo spread con i bund tedeschi saliva alle stelle, tutti parlavano di collasso imminente, Berlusconi fu costretto a dimettersi, Merkel e Sarkozy sogghignavano, Napolitano nominò Monti in sordina senatore a vita e poi lo incaricò di formare il nuovo governo. Non fu un governo tecnico, fu un governo pesantemente politico. Ci sono prove che l’aumento vertiginoso dei bund tedeschi era frutto di manovre finanziarie ed europee. La regia di Napolitano era stata pressoché perfetta, essa partiva dal Quirinale ma raggiungeva Palazzo Chigi.
La politicità della presidenza della Repubblica continua con Mattarella in molte forme: intervenendo su questioni di politica europea, appoggiando a pieno e direttamente le politiche governative anti-Covid, mettendo sostanzialmente a tacere lo scandalo cosiddetto “Palamara” sulle molteplici connessioni tra il Consiglio superiore della magistratura e il Partito democratico, ponendo il suo veto alla nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia come chiesto dalla Lega nel primo governo Conte, incaricando Mario Draghi di formare il nuovo governo dopo le dimissioni del secondo governo Conte e presiedendo in questo modo ad una soluzione ben vista, se non proprio voluta, dai poteri finanziari e politici europei e non solo europei. Tutti i principi e le linee d’azione del neo-globalismo sono stati fatti propri da Mattarella.
Colpisce l’univocità di discorso dei due presidenti, come se ci fosse stata un’unica presidenza lunga sedici anni. Molte le prese di posizione su Regeni, sul femminicidio, su un’ambigua parità di genere, sull’omofobia, silenzio sul caso Dj Fabo (“per non interferire con la Consulta”) e mai nessun cenno sulla famiglia naturale e sulla vita. All’adesione alla linea culturale del neo-globalismo si è aggiunta quella sui nuovi diritti. Infatti, in questi anni, quante leggi ingiuste sono state firmate dal duo Napolitano-Mattarella, a cominciare dalla Cirinnà!
Due sono quindi le principali caratteristiche delle due lunghe presidenze da cui stiamo uscendo: un chiaro impegno politico che va ben oltre la funzione istituzionale del presidente della Repubblica e l’allineamento, anche questo politico, all’ideologia dei poteri dominanti a livello europeo e internazionale e al pensiero forte del globalismo e del radicalismo. Tutto l’armamentario del politicamente corretto è stato confermato e tutelato. Molti gli interventi di Mattarella contro il sovranismo identitario (“Il vento del sovranismo non minaccerà l’esistenza dell’UE”), di appoggio ad un europeismo muscolare (“L’Europa è chiamata a un cambio di passo anche su politica estera e difesa”), di conforto ai progetti interessati alla transizione (“Non è più tempo di ambiguità, la transizione ecologica è urgente e impegnativa”), di incitamento all’immigrazione (“Italia e Europa devono fare di più”).
Non tutti gli italiani però la pensano così. La lunga ibernazione della politica con la scusa della pandemia e il collaborazionismo delle opposizioni hanno forse fatto dimenticare questi altri italiani, che però ci sono e sarebbe bene che il nuovo presidente della Repubblica si ricordasse di loro. C’è bisogno di una forte discontinuità con l’era Napolitano-Mattarella. C’è bisogno di indipendenza di giudizio rispetto alle formule prefabbricate dai poteri che contano, di coraggio per parlare di identità, libertà organica, famiglia, vita, nazione, popolo. Occorre porre fine al tatticismo istituzionale che diventa tatticismo politico.