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LO "SCEICCO DEL TERRORE"

Dopo la morte di bin Laden c'è l'enigma Pakistan

Abbattuto a due passi dai militari pakistani. Nessuno sapeva?
- Ma il terrorismo è ancora vivo,
di M. Introvigne

Attualità 03_05_2011
La "Residenza Waziristan"
 
Che adesso la Casa Bianca, e ancora di più i vertici degli apparati addetti alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, non si mettano a sbandierare in piazza ogni e qualsiasi dettaglio dell’operazione - sia militare sia d’intelligence - che ha portato all’eliminazione dello “sceicco del terrore” Osama bin Laden è assolutamente comprensibile. Inevitabile, dunque, che si apra lo spazio per il chiacchiericcio, per l’insinuazione, addirittura per quel complottismo che per forma e struttura pretende sempre di fornire “risposte” a domande che però nessuno ha posto. Ma è una pura e semplice perdita di tempo.

Chi invece tempo da perdere non ne ha potrebbe scegliere di concentrarsi su un unico interrogativo nodale. Qual è il ruolo svolto nella vicenda dal Pakistan?

Domandarselo non è un processo alle intenzioni. È solo la logica conseguenza di alcuni primi quanto inquietanti dettagli messi a disposizione non da qualche discutibile fonte d’informazione  “alternativa”, ma nientemeno che dal sito Internet della rete televisiva britannica BBC.

Corredato da tanto di illustrazione satellitare (il prosaico Google Earth, alla portata di ogni cybernauta dilettante), mappa della zona e foto stile agenzia immobiliare del complesso in cui il capo di al-Qa’ida e i suoi fedelissimi sono stati abbattuti (in parte li riproduciamo nell’immagine che accompagna questo articolo), il pro-memoria asciutto e impeccabile della BBC spiega che il  bunker binladiano - chiamato “Waziristan Haveli”, ovvero “Residenza Waziristan” - si estendeva su un’area di «circa 3mila yard quadrate» (poco più di 2,7 km quadrati), con «al centro un grande edifico di tre piani», il tutto «circondato da mura alte 14 piedi» (più di 4 metri) sopra le quali correva «filo spinato ed erano installate telecamere». Praticamente impossibile era «vedere cosa accadesse all’interno». Alla casa si accedeva quindi attraverso «due ingressi a inferriate e all’interno non correvano linee telefoniche o Internet».

Ora, è vero che i borghi ubicati a una cinquantina di chilometri a nordest della capitale pakistana Islamabad, in prossimità della zona più pericolosa del Paese, non sono come i quartieri alti di qualcuna delle nostre belle città. Ma che nessuna delle autorità pakistane, quelle che dal 2001 a oggi spergiurano, pur fra alti e bassi, di stare dalla parte dell’Occidente nella lotta ad al-Qa’ida, si sia fatta cogliere da curiosità nel passeggiare davanti a una struttura blindata e impenetrabile nel bel mezzo di una cittadina comunque considerata piuttosto di lusso e sede di installazioni chiave per la sicurezza nazionale ha per lo meno del curioso. Soprattutto perché dette autorità pakistane, nella fattispecie quelle militari - che in un Paese come il Pakistan svolgono un ruolo che altrove porterebbe a parlare quanto meno di “democrazia sotto tutela” -, al complesso di bin Laden vivevano praticamente attaccate.

I militari pakistani hanno detto 4 chilometri, ma - riferisce il servizio della BBC - indagini precedenti hanno posto il complesso binladiano «a una distanza di circa 200 yard, cioè 182 metri» dall’Accademia Militare del Pakistan, «un centro di addestramento dell'élite militare» e di vertici dell'intelligence di cui lo stesso «capo dell’esercito pakistano è un visitatore regolare […] per le parate di fine corso», che sorge all’interno del dislocamento militare di Abbottabad: «verosimile è che nell’area vi fosse costante e significativa presenza di personale e di posti di controllo militari». La stessa zona, Bilal Town, un distretto residenziale di Abbottabad, «è conosciuta per essere il luogo dove si ritirano in pensione diversi ufficiali militari dell’area».

Secondo gli abitanti della zona - riferisce sempre la BBC -, «la casa fu costruita 10 o 12 anni fa da un uomo di etnia pashtun», era «di proprietà di gente del Waziristan, la regione semiautonoma, montuosa e inospitale, delle tribù, prossima al confine afghano», e «nessuno nella zona sapeva chi davvero vi abitasse». Né a qualcuno nell’altro comando militare pakistano è mai evidentemente venuto voglia di saperlo. Del resto, tutto, ma proprio tutto, nella logistica così come nello svolgimento dell'assalto al complesso, fa capire che bin Laden, difeso da solo un pugno di uomini, si sentiva, in quel luogo, perfettamente al sicuro.

Quanto all’attacco costato la vita a bin Laden, il servizio della BBC, ligio al comandamento fatti-separati-dalle-opinioni che impera nel giornalismo britannico, chiude laconico: «Le truppe pakistane sono arrivate sulla scena dopo l’attacco e hanno assunto il controllo della zona». La domanda in attesa di riposta è: gli americani hanno abbattuto bin Laden assieme o malgrado loro?

Fonti per istruire una pratica utile a bene impostare la risposta ve ne sono, e non certo oscure né pubblicate in lingue inaccessibili: per esempio i due “manuali” di Elisa Giunchi (docente di Storia e istituzioni dei Paesi islamici nel Dipartimento di Studi internazionali dell’Università degli Studi di Milano”): Pakistan. Islam, potere e democrazia nonché Afghanistan. Storia e società nel cuore dell’Asia (Carocci, Roma, rispettivamente nel 2009 e nel 2007), o il dossier raccolto sul campo dall’inviato di guerra Gian Micalessin, Pakistan, il santuario di al-Qaida. Gli 007 di Islamabad fra traffici nucleari e terrore islamico (prefazione di Nicolò Pollari, Boroli, Milkano 2010).

Vi si evince con una chiarezza lampante che il Pakistan è da decenni al centro di un colossale gioco geopolitico in cui intrecciano spionaggio industriale e commercio clandestino di materiali nucleari, costruzione segreta della prima e unica atomica islamica (con cessione di tecnologia e know-how alla Libia di allora, all’Iran e persino alla comunista Corea del Nord) e fanatismo religioso, colossali traffici d’armi (realizzati anche grazie a spezzoni dell’ex apparato repressivo sovietico resisi autonomi dopo il crollo del Muro di Berlino) e malversazione di ingentissimi fondi economici occidentali (in specie statunitensi), manipolazione di elementi e sigle dell’islamismo di mezzo mondo (a partire da certe frange dei mujaheddin afghani) e creazione della stessa “idea talebana” come prodromo e accompagnamento della fondazione e dello sviluppo di al-Qa’ida.

Il Pakistan beffa insomma da tempo il mondo con il doppiogioco. Il curioso caso della “Residenza Waziristan” in cui bin Laden è stato eliminato sotto il naso dei corpi d’élite dell’esercito pakistano ricorda al mondo che l’eliminazione dello “sceicco del terrore”  non ha ancora svelato tutti gli altarini del terrorismo jihadista.