Dopo la Brexit e Trump, l'altro 4 dicembre in Austria
Se è vero il detto popolare che “Non c’è il due senza il tre”, dopo la Brexit e la vittoria di Donald Trump, l’Ue aspetta di subire un terzo colpo. Il 4 dicembre, lo stesso giorno del nostro referendum costituzionale, Norbert Hofer potrebbe diventare presidente. E già parla di referendum per uscire dall'Unione.
Se è vero il detto popolare che “Non c’è il due senza il tre”, dopo la Brexit e la vittoria di Donald Trump, l’Ue aspetta di subire un terzo colpo. L'opinione pubblica italiana guarda soprattutto in casa, al referendum del 4 dicembre. Ma non c’è alcun nesso diretto fra un referendum costituzionale e l’appartenenza all’eurozona, il rafforzamento dell’euroscetticismo in caso di sconfitta di Renzi è solo un'ipotesi. Quel terzo colpo all'integrazione europea potrebbe, piuttosto, arrivare da un piccolo paese nel cuore dell’Europa: l’Austria. Sempre il 4 dicembre, lo stesso giorno del nostro referendum, si rifaranno le elezioni presidenziali austriache. Non sarà solo una scelta del prossimo capo di Stato (che a Vienna, così come a Roma, non ha un ruolo nell’esecutivo), ma un vero e proprio referendum sull’Unione Europea.
Norbet Hofer, il candidato del partito di destra Fpo, promette di prendere in considerazione un referendum sull’appartenenza all’Unione. Consentirà, insomma, di fare come il Regno Unito. Il suo rivale, il verde Alexander Van der Bellen, è invece favorevole a una dissoluzione della sovranità nazionale austriaca in quella sovranazionale europea. Van der Bellen aveva vinto al ballottaggio con un margine risicatissimo di appena 30mila voti. Con un colpo di scena più unico che raro nelle democrazie europee mature, l’elezione è stata annullata da una sentenza della Corte Costituzionale, ufficialmente perché non è stato rispettato il regolamento nel conteggio delle schede degli elettori all’estero, anche se l’Fpo denuncia brogli molto più gravi e diffusi in tutto il paese. Quindi si deve rifare tutto e dopo un rinvio ad ottobre, il ballottaggio si terrà nuovamente il 4 dicembre.
La tensione che ha preceduto e seguito le elezioni, il coro unanime dei media contro Norbert Hofer “xenofobo” ed “estremista” sono stati un antipasto di quel che abbiamo poi visto durante la Brexit e nelle elezioni statunitensi. Dunque: una stampa apertamente e dichiaratamente schierata da una sola parte e la diffusione della tesi secondo cui l’esito elettorale avrebbe avuto conseguenze catastrofiche, non solo sull’Austria, ma su tutta l’Unione Europea. Alla notizia della vittoria di Van der Bellen, la reazione dei media e degli altri governi dell’Ue è stata quella di un corale sospiro di sollievo. Al contrario, l’annullamento del risultato, ad appena due mesi dallo shock della Brexit, ha aumentato il panico politico a tutti i livelli. L’annullamento di un esito elettorale in una democrazia matura fa comprendere, fino in fondo, quanto il clima che stiamo vivendo sia avvelenato: un candidato deve vincere a tutti i costi e chi si sente con le spalle al muro è disposto a commettere irregolarità pur di ottenere il risultato sperato.
Norbert Hofer è dato prudentemente testa-a-testa con il suo avversario in tutti i sondaggi finora pubblicati. Il motivo per cui è realmente temuto è la sua posizione di euroscettico. Intervistato dalla Bbc, il 24 novembre, ha dichiarato apertamente di voler sostenere un referendum per l’uscita del suo paese dall’Ue. Ma solo nel caso in cui si verifichino due condizioni: l’ingresso della Turchia o un’ulteriore centralizzazione del potere nelle mani di Bruxelles a seguito della Brexit.
La prima condizione è solo apparentemente scongiurata. Lo stesso giorno in cui Hofer parlava ai microfoni dell’emittente britannica, infatti, il Parlamento Europeo votava a favore del blocco dei negoziati per l’accesso della Turchia nell’Ue, a causa della dura repressione scatenata dal presidente Erdogan dopo il fallito golpe del 15 luglio. Ma la risposta di Erdogan non si è fatta attendere: minaccia di stracciare l’accordo sull’emigrazione nel mar Egeo e, in sostanza, inonderebbe nuovamente i Balcani di profughi ed emigranti. L’Austria, assieme all’Ungheria, è un paese terminale della rotta balcanica. Una nuova “onda umana”, se dovesse palesarsi già dalla settimana prossima, condizionerebbe certamente l’esito elettorale a favore di Hofer. L’Ue ha dimostrato più volte, soprattutto nei confronti dell’Ungheria, di non tollerare (almeno a parole) una politica della porta chiusa. Un contenzioso fra la Commissione e Vienna darebbe un nuovo pretesto per un referendum per l’uscita.
La seconda condizione, un’eventuale ulteriore centralizzazione di potere nell’Unione Europea, si potrà verificare solo nei prossimi anni. Ma, a giudicare dalle reazioni alla Brexit, è più che probabile. Ieri, Joseph Muscat, premier di Malta, che rileverà la presidenza europea il prossimo semestre, ha dichiarato che “i leader europei non stanno bluffando sulla Brexit”. Nel senso che il Regno Unito non avrà più accesso al Mercato Comune Europeo. Una dichiarazione che suona come una minaccia di embargo e dimostra una chiara linea di chiusura ad ogni proposta di maggior flessibilità. Questa è la premessa di un’ulteriore centralizzazione del potere nelle mani di Bruxelles. Non si è levata alcuna voce di autocritica, né alcuna proposta di rispettare maggiormente le autonomie nazionali in base al principio di sussidiarietà, che pure è uno dei fondamentali dell’Ue. L’unica voce che si sente, propone “più Europa”, cioè più potere delegato a Bruxelles. E punizioni esemplari per chi osa uscire. In queste condizioni, un Hofer presidente dell’Austria potrebbe promuovere un altro referendum per dire addio al resto del continente.