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REGIONALI E CONSULTAZIONI

Dopo il Friuli, fare il governo è una missione impossibile

Se in Friuli viene confermato l'esito del voto, cioè una vittoria clamorosa del centrodestra, fare il prossimo governo sarà ancora più difficile. Perché Salvini non accetterebbe più di sostenere un governo Di Maio da socio di minoranza. E un governo Pd-M5S sarebbe meno credibile, un governo "dei perdenti". Si va al voto anticipato?

Politica 30_04_2018
Berlusconi, Salvini e Fedriga

Se i sondaggi sulle elezioni regionali in Friuli saranno confermati, ben difficilmente si formerà un governo politico in questa legislatura. Il nesso tra le due cose può non risultare immediatamente comprensibile, ma esiste. Se a spoglio friulano ultimato dovesse rivelarsi schiacciante la vittoria del centrodestra e se, contestualmente, i risultati di Pd e Movimento Cinque Stelle dovessero risultare deludenti, diventerebbe più difficile realizzare nell’immediato un’alleanza tra dem e pentastellati oppure tra grillini e centrodestra. La comprensibile euforia del Carroccio per il ventilato exploit del salviniano doc, Massimiliano Fedriga, spingerà lo stesso Matteo Salvini ad alzare il prezzo e a rifiutare di fare da socio di minoranza in un governo Di Maio. Quest’ultimo, se uscisse ridimensionato dalle urne di ieri, potrebbe essere costretto a rinunciare definitivamente alle sue velleità di premier e a quel punto gli converrebbe rimandare alla prossima legislatura la battaglia decisiva.

Giovedì la direzione Pd si riunirà per decidere se accettare la proposta di Luigi Di Maio di stipulare un contratto di governo imperniato su pochi punti condivisi, in materia di lavoro, povertà, immigrazione. Nel ragionamento del candidato premier pentastellato, sono tanti i punti di convergenza con i democratici: tasse, lavoro, riduzione dei tempi della giustizia, taglio dei costi della politica, lotta alla povertà, partendo dal reddito di cittadinanza, revisione degli accordi di Dublino sull’immigrazione. Si potrebbe, quindi, firmare un accordo, stabilendo tempi e obiettivi delle azioni da intraprendere e in questo modo, sempre nelle valutazioni di Luigi Di Maio, si potrebbe inaugurare la Terza Repubblica.

"Non basta una letterina di Natale a cambiare la natura e a nascondere la realtà", ha replicato secco a Di Maio il presidente Pd, Matteo Orfini. Ma è soprattutto Matteo Renzi a chiudere la prospettiva del dialogo con i Cinque Stelle, elencando le ragioni del suo no e ricordando che i pentastellati nella scorsa legislatura hanno sempre affossato ogni misura dei governi di centrosinistra. Un’intesa con loro, a detta dell’ex premier, cancellerebbe la sinistra nel Paese. Il reggente Maurizio Martina, però, vorrebbe ottenere dalla direzione di giovedì quanto meno il via libera al confronto con Di Maio. Su questo compromesso starebbero lavorando Andrea Orlando e Graziano Delrio, ma anche Francesco Boccia e il governatore piemontese Sergio Chiamparino, che punterebbe addirittura all’appoggio esterno del Pd a un governo a guida Cinque Stelle. Più sfumata, invece, la posizione di Carlo Calenda, attuale Ministro dello sviluppo economico, che si dice contrario a governi politici e auspica un esecutivo istituzionale che eviti al Pd di perdere la faccia facendo da ruota di scorta dei Cinque Stelle.

Sull’altro fronte, Matteo Salvini, che nei sondaggi viene dato addirittura al 22% e pare l’unico leader in crescita, si prepara a festeggiare la vittoria in Friuli e a ritentare di accendere il forno con i Cinque Stelle, visto che dà per certo il naufragio del tentativo di accordo tra pentastellati e Pd. Formalmente il centrodestra è unito, ma i punti di vista dei vari partiti non sono simili tra loro.

Silvio Berlusconi, nell’elogiare l’equilibrio di Sergio Mattarella, dichiara che l’unica soluzione rispettosa della volontà popolare sarebbe quella di un governo di minoranza del centrodestra, che cerchi appoggi o astensioni benevole in Parlamento. Esattamente come accade in Spagna, dove il governo ottiene di volta in volta il consenso o l’astensione degli altri parlamentari che non fanno parte della maggioranza. Anche Giorgia Meloni è dell’idea che Mattarella dovrebbe affidare l’incarico a Matteo Salvini e quest’ultimo dovrebbe chiedere la fiducia direttamente in aula. Ma il leader del Carroccio sarebbe disponibile? A quanto pare no, perché ha paura di bruciarsi e di fallire. Ecco perché, da una parte agita il fantasma della mobilitazione di piazza, qualora si costituisse quello che lui chiama "il governo dei perdenti tra i secondi e i terzi", cioè tra Cinque Stelle e Pd, dall’altra non esclude di riannodare i fili del dialogo con Luigi Di Maio in nome della coerenza e della collaborazione già collaudata nell’elezione dei vertici delle Camere e delle altre cariche istituzionali a Montecitorio e Palazzo Madama.

Male che vada, per Salvini ci sono le urne anticipate, che non gli toglierebbero un voto, anzi gliene darebbero molti altri, aumentando il vantaggio della Lega su Forza Italia. Ma le scadenze sono chiare. Mercoledì 9 maggio si chiude la “finestra” per votare il 24 giugno, insieme con il secondo turno di ballottaggio delle amministrative. Infatti il 10 giugno si voterà in 762 comuni di cui 6 con più di 100.000 abitanti e 21 capoluoghi tra cui Messina, Catania, Brescia, Vicenza, Siracusa. L’appuntamento che più di altri turba il sonno al Presidente della Repubblica è quello del 28 e 29 giugno, giorni dell’importante riunione del Consiglio europeo a Bruxelles che dovrà discutere di temi economici importanti per il futuro degli Stati membri. Arrivarci con questo stallo non sarebbe un buon biglietto da visita per un Paese come il nostro, visto con crescente sospetto dai partner europei proprio per la sua instabilità e la sua propensione a chiedere deroghe ai vincoli di bilancio.