Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

PARADOSSI

Donne saudite, laureate ma senza patente

Oggi protesta delle donne in Arabia Saudita contro il divieto di guida delle auto. Una contraddizione in un paese dove l'istruzione femminile è elevata.

Attualità 17_06_2011
donne arabe
Lubna Olayan, nella classifica di Time Magazine, è tra i primi 100 personaggi più potenti nel mondo e  siede nelle primissime posizioni come businesswoman. Imprenditrice saudita a capo di un gruppo che conta 10mila dipendenti oltre ad essere azionista di molte grandi banche internazionali, Lubna è nel “Board of Council on Foreign Relations of World Economic forum” ed è stata nominata, recentemente, Ministro per il commercio estero dell’Arabia Saudita. Però nel suo paese non può guidare da sola la macchina, alle donne è vietato.

Contraddizioni dello stato Saudita, dove  da sei anni il governo promette il voto alle donne per poi non concederlo, ma anche paese dove l’istruzione femminile ha numeri elevatissimi. La ricchezza di molte famiglie in grado di mandare le figlie a studiare all’estero è uno dei motivi, ma non il solo, visto che un rapporto dell’Unesco rivela che addirittura il 58%, della popolazione femminile accede a scuole e istituti di istruzione. Lo stesso governo saudita si fa carico dell’istruzione delle sue donne: un college femminile esiste da anni a Jedda e nel 2008 si è presentato il progetto della costruzione di un enorme college femminile, dove le facoltà universitarie potranno esser seguite del tutto gratuitamente: i lavori sono in corso dalla primavera 2009 e si concluderanno  per il 2012.

Malgrado ciò solo il 16% delle donne riesce ad entrare nel mondo del lavoro, la percentuale più bassa del mondo, mentre l’Arabia Saudita rimane il paese più arretrato riguardo ai diritti delle donne, o almeno lo è la sua Carta Costituzionale. Già una decina di anni fa, Lubna Olayan si diceva sicura che il suo governo era molto più progressista di quanto si potesse immaginare e  che la crisi economica e la necessità per le famiglie di portare a casa due stipendi avrebbero aperto alla donna saudita nuove possibilità nella società.

Il momento per capire se la signora aveva ragione arriva oggi, 17 giugno 2011: le donne saudite in massa, si sono messe alla guida delle loro auto o forse, di quelle di mariti e fratelli.
La protesta più sui generis dell’onda lunga della primavera araba - iniziata coi tumulti nelle piazze tunisine ed in Egitto - è partita anche qui dalla rete e da Facebooks alcuni giorni fa, dopo quanto avvenuto lo scorso 22 maggio a Manal Sharif. Manal, ventiseienne saudita, è stata arrestata dalla polizia, trattenuta in prigione per due settimane, per essere stata trovata al volante della sua macchina e rilasciata, infine, solo dopo aver giurato e firmato un impegno a non infrangere più le leggi del regno. Un fatto umiliante per una donna che, preoccupata di andare a prendere il figlio piccolo, non era riuscita a rintracciare né un autista a pagamento né un familiare uomo che l’accompagnasse, ma neppure un mezzo pubblico, come ha dichiarato in una intervista alla CNN.
 
“E’ veramente tragico che si debba combattere per un diritto come questo” ha commentato questa storia la principessa Reem al-Faisal, attivista e fotografa a Jedda, su “The Arab News”. “Diritto si fondamentale” ha ribadito Reem al-Fasal “ma quanto mai mediocre”. Altre sei giovani donne saudite, tra i 20 e i 31 anni, sono finite in manette il 9 giugno, in un quartiere della capitale Riad, perché tentavano di imparare a guidare a bordo di alcune auto.  “Permettere ad una donna di guidare mette a rischio la donna stessa e la società” recita una fatwa del 1991.

La campagna “io Guido” - o su Facebooks “Women 2 Drive” - chiede alle signore di seguire alcune regole durante le manifestazioni al volante: “Si raccomanda, velo in testa, bandiera e fotografia del Re” tanto per chiarire il messaggio: “Vogliamo guidare da sole, ma non siamo contro il nostro Stato”. Non mancano consigli psicologici e tecnici in caso di fermo della polizia: “Non abbiate paura e portatevi un uomo in macchina può servire”, e per finire: “Cercate di filmare tutto e postate sulla rete”.

La protesta promette di proseguire fino a che il Re non revocherà il divieto di guida per le donne, ma purtroppo il web serve anche da tramite alla controprotesta dei mariti o uomini della famiglia: una violenta campagna che li invita tutti a picchiare le donne che si ribellano. Sarà in grado la rete di fermare questa follia con la cattiva pubblicità che arriverà in ogni casa, in tutto il pianeta, mostrando l’ignoranza e la barbarie di tali messaggi e possibili azioni?