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LA SCOMPARSA

Don Gelmini, i miracoli di un sacerdote un po' "matto"

Si sono svolti i funerali di don Pierino Gelmini, una vita passata a salvare le vite dei giovani dalla droga e dall'emarginazione. Francamente, dal mondo cattolico almeno, ci saremmo aspettati qualcosa di più per ricordarlo. Invece, i sospetti sorti da un processo non concluso, hanno svolto la parte del leone. 

Ecclesia 14_08_2014
Don Pierino Gelmini

Si sono svolti, questa mattina, nella Cappellania di San Pietro Apostolo ad Amelia, in provincia di Terni, i funerali di don Pierino Gelmini, che è morto la sera del 12 agosto nella sua residenza all’interno della Comunità di recupero di Molino Silla. Le esequie sono celebrate da ben due vescovi, quello di Terni-Narni-Amelia mons. Giuseppe Piemontese e mons. Giovanni D’Ercole, titolare della diocesi di Ascoli Piceno, amico di lunga data del fondatore della “Comunità Incontro”.

La riconoscenza, virtu’ rara…

Il sacerdote lombardo (era nato a Pozzuolo Martesana, in provincia di Milano, il 20 gennaio 1925), aveva fondato nel 1963, cioè ai primordi della diffusione di massa del fenomeno droga in Italia, quella sua comunità che, con sedi in tutto il mondo, ha offerto secondo stime interne in cinquant’anni la salvezza dalle droghe e dall'alcol ad oltre 300.000 persone. Quante si sono ricordate di lui in questi ultimi anni? Quanti familiari, estimatori, confratelli stanno presenziando al suo funerale? E nei media?

Francamente, almeno dal “mondo cattolico” ci aspetteremmo qualcosa in più di quello che abbiamo visto nelle ultime 48 ore, perché la vicenda e l’onorabilità di un sacerdote che, per oltre mezzo secolo, ha operato in prima persona per difendere la vita di migliaia di persone e strapparle alla droga e all'emarginazione, non può essere macchiata con prese di distanza causate dal clamoroso episodio giudiziario, ancora non chiarito, nel quale Don Gelmini è stato coinvolto ad ottant’anni suonati. Nel 2010, infatti, il fondatore della “Comunità Incontro” è stato rinviato a giudizio per molestie sessuali dal Tribunale di Terni, con l’accusa di violenze perpetrate nei confronti di alcuni ospiti della sua comunità di Amelia (in provincia di Terni). Subito dopo l’emanazione del provvedimento, i difensori del sacerdote che, per meglio potersi difendere, ha chiesto allora ed ottenuto di essere ridotto allo stato laicale, avevano commentato: «Ritenevamo che dovesse essere pronunciata una sentenza di proscioglimento perché manca la prova certa per dimostrare la sua responsabilità».

D’altronde, come leggiamo nel Vangelo di Luca (17,11-19), la riconoscenza è una virtù rara... I dieci lebbrosi ci insegnano: la riconoscenza per il dono gratuito della salvezza arrivò da uno solo e, per questo, Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci?».

Il processo contro don Gelmini ha avuto inizio solo alla fine del marzo 2011, per procedere piuttosto a rilento, anche a motivo delle sempre peggiori condizioni di salute del sacerdote che, nel maggio 2012, venne ricoverato per la prima volta in condizioni molto gravi, a causa di uno scompenso cardiaco.

Un sacerdote scomodo.

Del resto Don Pierino è sempre stato un sacerdote “scomodo”, politicamente scorretto. Ad esempio, durante il governo Prodi (2006-2008), a seguito della ferma presa di posizione de L’Osservatore Romano che, nel replicare alle dichiarazioni degli allora leader della coalizione di centro-sinistra (allora era l’Unione) favorevoli a sostenere una legge sulle unioni di fatto e a introdurre così i Pacs (“patti civili di solidarietà”), denunciava senza mezze misure con titoli come “Alla ricerca di voti lacerando la famiglia” (13 settembre 2005), è stato uno dei pochi ad esporsi più volte in prima persona. Così, nel maggio 2006, a margine di un incontro cui partecipò su invito dall’allora candidato sindaco di Roma per la Cdl Gianni Alemanno, dichiarò senza mezze misure: «I Pacs fanno assolutamente a pugni con il concetto che noi cattolici abbiamo della famiglia. Per questo li respingiamo e il Papa ha il diritto di parlare. […] Adesso si inventano tante cose che nascono a Natale e muoiono a Santo Stefano. Ma sono i grandi valori che durano da sempre, come la famiglia, che vanno aiutati e sostenuti».

Droghe leggere, conseguenze pesanti

Don Gelmini non ha fatto poi mai mistero delle sue convinzioni “proibizioniste”. A fronte della ricorrente opinione di legalizzare le cosiddette “droghe leggere”, come ad es. la marijuana, il sacerdote ha infatti sempre preso pubblica posizione contro. Durante il governo Prodi, in una lunga intervista che rilasciò al quotidiano Il Messaggero (27 maggio 2007), ebbe a criticare fortemente ogni azione diretta ad indebolire le leggi sull’uso o il possesso di droga, evidenziando come ogni giorno in Italia decine di giovani muoiono per overdose di droga. «Noi vogliamo che i nostri figli siano liberi dalla droga, non liberi di drogarsi», esclamò al termine dell’intervista ripetendo in quegli anni a Ministri e Sottosegretari. Secondo Gelmini rappresentava oltretutto un errore di metodo pensare che le c.d. “droghe leggere” siano innocue, perché spesso sono l’anticamera verso le altre forme di dipendenza.

Al Meeting di Rimini: “Libertà degli ultimi”.

Nell’agosto del 2000, chiamato a intervenire al Meeting di Rimini, pensando alle vicende del fondatore di Comunione e Liberazione, don Luigi Giussani (1922-2005), don Gelmini pronunciò una frase che, alla luce degli ultimi anni della sua vita, sembra adattarsi anche a lui: «il cammino dei profeti è sempre pieno di tribolazioni e contraddizioni».

Nella sua relazione, “Libertà degli ultimi”, il sacerdote ebbe anche a rievocare l’impegno della “Comunità Incontro” contro ogni tipo di mafia. La criminalità organizzata, infatti, dalla schiavitù e povertà spirituale e sociale dei giovani, ha tratto e trae sempre nuova linfa. «L’ho ripetuto durante i campeggi a Zervò nell’Aspromonte dove imperava la ’ndrangheta - disse don Gelmini al Meeting di Cl - Ci hanno dato 400 ettari di parco nazionale nel cuore dell’Aspromonte a 1300 metri vicino a San Luca, a Platì, dove la mamma di Casella si incatenò per chiedere alle autorità italiane l’impossibile per far liberare suo figlio. Eravamo in 300 lì durante questo periodo. In seguito sono salite decine di migliaia di persone. Ho chiesto e ottenuto dalla regione Calabria un aiuto per costruire una grande torre alta 25 metri. In alto ci sarà un faro che girerà tutta la notte e cinque campane che annunceranno: era buio, c’era paura, ora c’è luce e amore sull’Aspromonte. Dove prima si compivano riti di morte e di sequestro ora ci sono i miei ragazzi che credono nella vita. Qualcuno mi ha detto che ero pazzo ad andare lì. È vero sono sempre stato un po’ pazzo, se non fossi stato pazzo non avrei fatto quello che sto facendo».