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L'ANNIVERSARIO

Dom Gérard e Lefebvre, un'amicizia dolorosa

30 anni fa le ordinazioni illegittime di Lefebvre di 4 vescovi senza il mandato di Roma. Una celebrazione alla quale partecipò per metà anche dom Gérard Calvet, che del vescovo scismatico fu amico e ne seguì fino a poco prima della rottura definitva con Roma le istanze. Un'amicizia vissuta nel dramma di uno scisma lacerante. 

Ecclesia 30_06_2018

1988-2018: oggi ricorre il 30º anniversario delle consacrazioni episcopali da parte di mons. Lefebvre e di mons. De Castro Mayer a Ecône. 2008-2018: 10 anni fa, il 28 febbraio, entrava nella vita vera, dom Gérard Calvet, il fondatore dell’Abbazia benedettina di Sainte-Madeleine du Barroux.

Mons. Lefebvre e dom Gérard, due figure imponenti della Chiesa cattolica, che si sono trovati di fronte ad uno dei frangenti più dolorosi della sua storia. Terminato il Concilio Vaticano II, il mondo cattolico si è trovato di fronte a delle svendite a prezzo di saldo dei tesori più belli della sua tradizione, tesori che non erano pezzi da collezione posti sotto naftalina, ma che erano - e sono - la vita, la linfa, il respiro di tante anime, sostenute e plasmate dal contatto quotidiano con i Divini Misteri celebrati, meditati ascoltati, incarnati. Quegli anni sono stati un terremoto per la Chiesa, di cui oggi subiamo lo tsunami.

La recente biografia dedicata a dom Gérard, scritta da Yves Chiron, ci permette di comprendere e rivivere lo smarrimento e la trepidazione di quel periodo, i tentativi di far fronte a quella terribile crisi, tentativi a lungo ponderati e spesso bisognosi di ravvedimento e di correzione. Non era e non è facile trovarsi di fronte da un lato alla necessità di reagire al sovvertimento di ciò che è giusto, di difendere ciò che è buono e santo, e dall’altro alla necessità dell’obbedienza a quelle autorità della Chiesa che ordinavano l’autodemolizione. Ed è attraverso la prospettiva di dom Gérard e l’intreccio delle sue relazioni con Lefebvre che vorremmo ripercorrere le vicende che portarono alle consacrazioni del 1988.

Dom Gérard dovette assaggiare per la prima volta i bocconi amari dell’aggiornamento in Brasile, a Curitiba, dove l’Abbazia di Tournay, cui dom Gérard apparteneva, aveva aperto una nuova fondazione; lì dom Gérard restò per cinque anni (1963-1968). Nel 1966 a dom Gérard toccò a essere testimone dei primi esperimenti di “apertura al mondo”: abolizione della grata che separa il coro dei monaci dal resto della chiesa, avanzamento dell’altare, abolizione degli stalli dei monaci, possibilità per i monaci di avere nelle proprie celle delle radio per il tempo libero. Poi l’abolizione della Messa conventuale e dell’obbligatorietà dell’abito monastico anche al di fuori del coro e il coinvolgimento del monastero nella causa di liberazione dei poveri dallo sfruttamento dei grandi proprietari, con la realizzazione di un enorme allevamento di maiali, dove i monaci lavoravano ogni giorno insieme ai laici.

All’inizio del 1967, scrivendo al fratello Hubert, dom Gérard, pur profondamente provato, poteva ancora esprimersi così: “Che ci si spogli, Dio resta il nostro Dio, e questo basta”. Ma l’ondata di “aggiornamento” non intendeva placarsi e così anche l’Ufficio monastico, l’opus Dei per eccellenza del monaco, venne rivisto con lo scopo di dare più spazio al lavoro manuale. Dom Gérard comprese che tutti questi continui cambiamenti colpivano al cuore il primato di Dio e della preghiera nel monachesimo e decise di lasciare Curitiba per rientrare a Tournay. Ma anche qui la rivoluzione era già arrivata: soppressione della levata notturna per la preghiera del Mattutino, silenzio non più osservato, progressiva sostituzione della lingua latina e delle melodie gregoriane con la lingua vernacolare e le melodie moderne, messa in questione dell’astinenza perpetua dalle carni, etc. In dom Gérard iniziava allora a farsi strada l’ispirazione di fondare un monastero che potesse raggruppare quei monaci che provavano profondo disagio di fronte a tutte queste forme di aggiornamento.

Nel 1970 ottenne dal suo Abate, dom Savin, un permesso ad experimentum per iniziare un’esperienza comunitaria a Bédoin, in diocesi di Avignone; ma questo permesso non includeva la possibilità di accogliere in qualità di novizi i giovani che si presentavano per vivere la vita monastica. In quello stesso anno, la Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata da mons. Lefebvre, ottenne l’approvazione dei propri statuti ad experimentum da parte del vescovo di Ginevra. Le relazioni tra i due diventeranno via via più frequenti, particolarmente a partire dal 1974, quando dom Gérard chiese a Lefebvre di conferire gli Ordini minori (in quell’occasione l’ostiariato e il lettorato) a due dei primi giovani monaci ed il Sacramento della Confermazione ad alcuni bambini di famiglie amiche del monastero.

Questo atto comportò la rottura con l’arcivescovo di Avignone ed anche con l’ordine benedettino. Dom Gérard non si porrà mai in una condizione di isolamento, perché cercherà sempre di fare in modo che i propri monaci potessero restare legati alla Chiesa e all’ordine benedettino tramite la conoscenza e il contatto con persone concrete, che egli inviterà di frequente al monastero, per incontrare e formare i suoi giovani monaci. È però innegabile che da questo momento il legame tra dom Gérard e Lefebvre non sarà solo di stima reciproca; il monastero di Bédoin incomincerà in qualche modo a dipendere da lui, almeno, ma non solo, per il conferimento degli ordini sacri; canonicamente infatti il monastero di Bédoin non esisteva (ricordiamo che dom Gérard non aveva ricevuto il permesso di fondare un vero e proprio monastero) e ben presto l’ordine benedettino e il vescovo di Avignone posero dom Gérard di fronte a un tragico dilemma: lasciare la comunità, affinché fosse affidata a un nuovo superiore designato dalle competenti autorità benedettine, oppure lasciare l’ordine benedettino e cercare un nuovo Ordinario che accogliesse il suo progetto di fondazione. Dom Gérard scelse una “terza via”: aderire a mons. Lefebvre, che il 21 novembre 1974 pronunciò una dichiarazione storica, nella quale espose la sua ferma intenzione di proseguire la formazione di futuri sacerdoti, secondo lo spirito di Ecône, prima ancora di conoscere l’esito della Visita apostolica in corso nel seminario.

La stima reciproca era reale; eppure tra Ecône e la FSSPX c’erano in fondo sempre state delle profonde divergenze, che porteranno poi all’allontanamento di dom Gérard da Lefebvre, dopo le ordinazioni del 1988. Quando, per esempio, dom Gérard cercò le vie per ricucire lo strappo con l’ordine benedettino, durante l’incontro tra lui e l’Abate primate della Confederazione benedettina, dom Victor Dammertz, tenutosi a Rosano il 28 febbraio 1985, dom Gérard non esitò ad accettare la validità, la legittimità e il carattere non eretico del Novus Ordo Missae, promulgato da Paolo VI. Ma quando l’allora Superiore Generale della FSSPX, l’abbé Schmidberger, venne messo a conoscenza della cosa dallo stesso dom Gérard, non mancò di rimproverarlo piuttosto duramente, ventilando la possibilità che la sua posizione potesse “andare a detrimento della nostra unione profonda”; per la Fraternità, infatti, il Novus Ordo era “ambiguo, imbevuto di uno spirito eterodosso e protestantizzante; è un vero pericolo per la fede cattolica, e ciò non solamente nella sua direzione evolutiva e negli abusi, ma in se stesso”.

E così proseguiva Schmidberger: “Non siamo noi ad essere sul tavolo degli imputati, sono coloro che hanno condotto la Chiesa dopo il concilio Vaticano II verso la sua rovina! Noi possiamo rendere un vero servizio alla buona volontà soggettiva di un cardinal Ratzinger e a quelli che sono con lui, solo custodendo gelosamente i nostri principi e la nostra unione con monsignor Lefebvre in quanto egli rappresenta l’episcopato in questa posizione cattolica”. A margine di questa lettera del 1985, dom Gérard, non senza una nota ironica, annotava: “Voi siete il Sant’Uffizio e attendete che il cardinal Ratzinger si umili riconoscendo i propri errori?”. Dom Gérard ebbe anche modo di manifestare il proprio dissenso nei confronti della violenza con cui Giovanni Paolo II, in occasione dell’incontro di Assisi del 1986, venne attaccato dalla Fraternità, come anche per altri episodi.

La fiducia di dom Gérard nei confronti di Lefebvre non era però in discussione; e quando iniziò ad affacciarsi l’ipotesi delle ordinazioni episcopali senza mandato pontificio, dom Gérard confidava nel fatto che Lefebvre non avrebbe fatto questo passo “se non sotto una profonda mozione dello Spirito Santo”; egli prese quindi posizione favorevole alle ordinazioni, posizione che però la Santa sede, e più tardi lo stesso dom Gérard, considererà un vero e proprio atto scismatico.

Arriviamo finalmente al 1988. Il 5 maggio, a Roma, dopo mesi di discussioni, mons. Lefebvre accettò di firmare un protocollo di accordo proposto dal cardinale Ratzinger, che presentava una soluzione giuridica per la regolarizzazione canonica della Fraternità e prevedeva che “riguardo a certi punti insegnati dal concilio Vaticano II o che riguardano le riforme successive della liturgia e del diritto, e che a noi sembrano difficilmente conciliabili con la tradizione, noi ci impegniamo ad avere un atteggiamento positivo di studio e di confronto con la Sede apostolica, evitando ogni polemica”.

Ma Mons. Lefebvre, il giorno dopo, ritirò la sua firma, e chiese a Roma, come prova della sincerità di questa proposta, di fissare la data delle ordinazioni episcopali entro il 30 giugno di quell’anno. Si trattava di un ultimatum. Il 24 maggio, mons. Lefebvre si recò nuovamente da Ratzinger, chiedendo la consacrazione non più di uno ma di tre vescovi, scelti da una commissione la cui maggioranza fosse composta da non meglio precisati membri della tradizione e che venisse data risposta entro il 1 giugno. Il 30 maggio, Lefebvre incontrò diversi responsabili della Fraternità e i superiori delle comunità religiose amiche. Tra questi ultimi era presente dom Gérard, che era contrario ad una rottura con Roma ed auspicava l’accettazione dell’accordo proposto dalla Santa Sede. “Il senso della Chiesa, società visibile che deve rendere visibile la propria tradizione; il bene delle anime, la cui coscienza allontana da sacramenti amministrati da sacerdoti irregolari; il pericolo di scisma: le piccole chiese alla fine non si ricongiungono mai alla grande”: era questa la posta in gioco, queste le ragioni che dovevano spingere Lefebvre a non procedere a delle ordinazioni episcopali senza mandato apostolico.

Nel frattempo Roma rispondeva di voler accelerare le nomine dei futuri vescovi, di modo che le consacrazioni potessero essere fatte entro il 15 agosto dell’anno in corso, forse per assecondare la sincera percezione di mons. Lefebvre di non essere lontano dal redde rationem (morirà infatti nel 1991). Ma il 15 giugno Lefebvre annunciò in una conferenza stampa la volontà di procedere comunque alle ordinazioni episcopali il 30 giugno ed indicò i nomi dei quattro futuri vescovi. La Congregazione dei Vescovi indirizzò allora un Monitum a Lefebvre, avvertendo che lui ed i quattro futuri vescovi sarebbero incorsi nella scomunica latae sententiae; nel contempo la Santa Sede chiedeva ai membri della Fraternità e a tutti i fedeli di riconsiderare la propria posizione e garantiva “che saranno prese tutte le misure per garantire la loro identità nella piena comunione della Chiesa cattolica”.

Il 26 giugno, quattro giorni prima delle consacrazioni, dom Gérard inviò un suo monaco, dom Basile, dal Superiore generale della FSSPX per esporgli le ragioni per cui la comunità monastica non avrebbe accettato le consacrazioni ed anche per mostrare come l’affermazione del concilio Vaticano II sulla libertà religiosa, uno dei punti di rottura tra Lefebvre e Roma, non doveva essere considerata come un diritto all’errore. Ma il colloquio, durato cinque ore, non sortì alcun effetto.

Dom Gérard, come gesto di riconoscenza nei confronti di mons. Lefebvre, decise comunque di essere presente alle ordinazioni. Dopo un discorso iniziale di Mons. Lefebvre ed un breve intervento di de Castro Mayer, Lefebvre domandò, secondo il rito del Pontificale Romanum, al Superiore generale: “Habetis mandatum apostolicum?”; Schmidberger rispose affermando il falso: “Habemus”. Ma dom Gérard probabilmente non ascoltò questa – bisogna dirlo – bugia, perché decise di allontanarsi prima delle consacrazioni vere e proprie, nel bel mezzo del sermone di Lefebvre, precisamente nel punto in cui il vescovo francese richiamò il messaggio delle apparizione della SS. Vergine a Quito, nelle quali si annunciava una grande apostasia che avrebbe travolto la Chiesa nel XIX e gran parte del XX secolo.

Così commentò mons. Lefebvre: “Ella parlava di un prelato che si opporrà decisamente a questa ondata di apostasia e di empietà, preservando il sacerdozio, e facendo dei bravi preti. Fate voi l’applicazione, se volete; io non la voglio fare, non posso”. All’amico della prima ora, Laurent Meunier, dom Gérad aveva confidato: “La commedia è durata abbastanza, questo comizio, questi applausi, non abbiamo più nulla da fare qui, noi rientriamo”. Rientriamo in monastero, voleva dire dom Gérard; rientriamo nella Chiesa, voleva dire il buon Dio.