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IL RICORDO

Dom Geraldo, un curato d'Ars per l'Amazzonia

Gérard Verdier era uno di quelle persone originarie del Mezzogiorno francese, luminose, piene di humor e profondità d’animo. Missionario, e quindi vescovo in Amazzonia, seppe formare un clero indigeno e sempre si oppose alla "scorciatoia" del superamento del celibato...

Ecclesia 23_10_2019
Monsignor Gerard Verdier

Gérard Verdier era uno di quelle persone originarie del Mezzogiorno francese, luminose, piene di humor e profondità d’animo. Mio padre strinse subito con lui amicizia, quando,  all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, lo conoscemmo - sacerdote novello dell'Ordine Francescano - sulla nave che ci portava in Brasile. Fin da bambino aveva desiderato diventare missionario in Amazzonia. Lì, nella piccola località di Guajara Mirim, sul confine boliviano, cominciò a visitare le comunità lungo gli affluenti del Rio delle Amazzoni.

Rimaneva in viaggio per settimane su un’imbarcazione. Spesso le comunità non avevano visto un sacerdote da più di un anno, ma non per questo gli venne mai in mente di mettere in questione il celibato. Considerava, piuttosto, quella situazione come una sfida a dedicarsi alla gioventù; e nella situazione di necessità di quei villaggi riconosceva anche la presenza di un’energia spirituale. Attendere l’arrivo del sacerdote per molti significava acquisire un profondo senso di responsabilità personale, di desiderio intenso dei sacramenti e di profonda riverenza nel poterli ricevere.

Alla fine degli anni Settanta fu consacrato vescovo e gli riuscì di formare un clero indigeno. La gioventù si apriva al celibato, peraltro tanto incomprensibile per loro, come lo era stato in tutti i tempi e per tutte le culture. Le diocesi poterono finalmente essere suddivise; e, ora, le persone incontravano regolarmente un sacerdote. Don Géraldo, come lo chiamava la gente, era davvero un figlio del Concilio Vaticano II e ogni forma di clericalismo gli era estranea. La semplicità con cui celebrava la liturgia e con cui si presentava, la sua cura amichevole per le persone, la sua capacità di vicinanza: tutto questo risultava convincente. Quando criticò apertamente lo sfruttamento dei raccoglitori di caucciù mise a rischio la sua vita. Era un Curato d’Ars dei tempi moderni.

Mio padre, che pure tanto a lungo aveva difeso la tradizione, non poteva resistergli, quando, durante le sue visite in Europa, celebrava la  Santa Messa sul tavolo del nostro soggiorno, con indosso la sola stola sulla camicia. Dom Géraldo alla fine convinceva sempre con la sua fede. Svolse la sua missione tra le tribù indie dei suoi dintorni non direttamente, ma manifestando loro la sua amicizia. Erano loro a chiedergli il Battesimo, col consenso degli anziani. Con profondo realismo, guardava insieme alla salvezza delle anime e alla dimensione sociologica di questo sviluppo: se la civiltà occidentale arriva - ed essa arriva -, le religioni naturali non hanno nessuna possibilità di dare alle persone quell’antidoto di cui hanno bisogno per non essere completamente in balia dei lati negativi di questa civiltà.

Come uomo di fede e di Chiesa, che lasciava ovunque e in ogni momento trasparire la sua personale amicizia con Gesù Cristo, riusciva sempre a cogliere la dimensione soprannaturale del suo servizio episcopale, in ogni ambito. Era molto scettico rispetto ai colleghi nell’episcopato, che criticavano la Chiesa e auspicavano presunte soluzioni concrete per i problemi dell’Amazzonia, come l’abolizione del celibato. Sapeva che introdurre delle eccezioni in questo ambito avrebbe tolto ai giovani le motivazioni per il celibato. Ai laici, che in tutti i popoli si trovano a essere coinvolti nell’intreccio delle loro famiglie e delle comunità di villaggio, sarebbe venuto a mancare qualcosa di essenziale, vale a dire la figura del sacerdote come testimone della redenzione, della libertà e dell’indipendenza che Cristo dona. E sono queste una libertà e un’indipendenza che, allo stesso tempo, rappresentano anche una forma particolare di apertura e di vicinanza alle persone.

Possa lo spirito di questo santo vescovo, scomparso nel 2017, far sentire la sua voce sul sinodo e sul suo documento conclusivo!