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FAMIGLIA

Divorzio sprint, un affare che diventa privato

Passa, con il solito voto di fiducia, la legge sul divorzio breve. Le coppie che vogliono divorziare possono farlo tramite avvocati (uno a testa) o presentandosi al sindaco della loro città. Le eccezioni non mancano e la legge prevede procedure più contorte. Ma la sostanza è l'ennesima picconata alla famiglia.

Politica 24_10_2014
Torta del divorzio

Negli ultimi decenni la famiglia in Italia non ha vissuto momenti felici quanto a trattamento normativo o amministrativo. Ma il bombardamento sistematico cui la si sta sottoponendo da qualche mese sul piano della legislazione, dell’azione di governo, della giurisprudenza e degli atti degli enti territoriali non ha precedenti.

Ogni giorno, invece di provare a riparare le crepe e i crolli che hanno interessato l’edificio, si picconano le poche stanze rimaste in piedi e in grado di ospitare qualcuno. L’ultima picconata l’ha data ieri l’aula del Senato, che ha approvato – tanto per cambiare, con voto di fiducia! – la legge di conversione di un decreto legge al cui interno, col pretesto di snellire i carichi giudiziari, due disposizioni privatizzano la crisi del matrimonio, e quindi indirettamente privatizzano lo stesso matrimonio.

Ne abbiamo trattato più volte su questo giornale, e non ripetiamo quanto scritto negli interventi pubblicati nelle settimane passate. Poiché la Camera, cui adesso passa il provvedimento, ha a disposizione un paio di settimane per esaminarlo in commissione e poi in aula, diamo per scontato che non ne cambierà una virgola. Trovandoci dunque fin da ora di fronte a quello che sarà il testo definitivo, ci sembra opportuno spendere qualche parola sul merito, sul metodo e sulle prospettive.

Il merito. Le norme votate con la fiducia prevedono per separazione e divorzio, nel caso in cui i coniugi concordino sulle condizioni dell’una e dell’altra, due strade alternative: la prima è che separazione e divorzio siano definite davanti ad almeno un avvocato per parte. Rispetto alla versione originaria, che si accontentava di un solo avvocato per entrambi, è un passo in avanti: formale più che sostanziale, poiché, se tale previsione punta a tutelare la parte debole, quest’ultima difficilmente si potrà permettere un avvocato, o comunque un avvocato capace. Nella procedura che si è seguita finora, il presidente del Tribunale aveva proprio la funzione di tutelare la parte debole, anche non difesa o difesa in modo inadeguato. Se i coniugi non hanno figli o hanno figli maggiorenni il verbale redatto dagli avvocati viene poi trasmesso al pubblico ministero per il “nulla osta”; non si precisa entro quali termini deve avvenire la trasmissione né entro quali termini il p.m. deve esprimersi, né che cosa accade se non si esprime: si può immaginare che l’esplicito rifiuto del nulla osta faccia redigere un nuovo verbale con clausole differenti… Se i coniugi hanno figli minori o figli maggiorenni disabili, il verbale viene trasmesso al p.m.: qui si precisa il termine, 10 giorni, anche se non si dice che cosa accade se il termine viene sforato. Il p.m. “autorizza” l’accordo se lo valuta conforme all’interesse dei figli; diversamente, lo invia nei cinque giorni successivi al presidente del Tribunale, che entro un mese fa comparire le parti davanti a sé. E meno male che si voleva semplificare!

Il meccanismo, oltre a essere contorto, conferisce al p.m. un ruolo incoerente con la sua ordinaria funzione: per un verso gli viene chiesto un vaglio “da giudice”, per altro verso gli si impongono atti – il nulla osta, l’autorizzazione – che hanno natura amministrativa. È certo che gli viene attribuita una competenza che finora gli era estranea. Altrettanto certo è che egli dovrebbe valutare questioni di notevole delicatezza – l’interesse dei minori o dei disabili – sulla base di una carta, senza aver vagliato la situazione in concreto e di persona. Delle due l’una: o, non avendo elementi diretti di cognizione, si limiterà a siglare nulla osta; e quindi il potere che gli viene conferito è nominale, varrà solo l’accordo raggiunto dagli avvocati, e l’effetto-privatizzazione trionferà. O attiverà le procedure di rifiuto del nulla osta o della trasmissione al giudice: e dove sta lo snellimento, visto che il tutto si traduce in un iter più complicato di quello attuale?

La seconda strada è quella della comparizione dei coniugi al Comune. Nella versione originaria essi andavano all’ufficiale di stato civile, adesso si prevede che incontrino il sindaco: perché l’accordo abbia efficacia la presentazione al sindaco deve avvenire due volte, con trenta giorni liberi in mezzo. Secondo Ncd questa modifica, come quella – prima descritta – del passaggio dal p.m., ripristinerebbero il carattere pubblicistico di separazione e divorzio. Ora, è vero che il sindaco della Capitale celebra di persona matrimoni fra persone dello stesso sesso, ma forse non è un parametro di riferimento: anche perché per separazione e divorzio i coniugi continuano a essere di sesso differente. Nelle città di una certa dimensione – e pure in quelle piccole – i sindaci non trascorreranno le giornate a ricevere coniugi che si separano o divorziano; delegheranno a un ufficio del Comune: che non potrà non essere quello dello stato civile. Che cosa cambia rispetto alla prima versione?

Il metodo. La sequela decreto legge cattivo-legge di conversione peggiorativa-voto di fiducia-mera ratifica dell’altro ramo del Parlamento è diventata una prassi del governo Renzi sui temi eticamente sensibili: è andata così per la droga, va così adesso per separazione e divorzio. Sorprende che nessuno nella maggioranza si dissoci, al di là del vanto in corso d’opera di “mediazioni di alto profilo”.

Le prospettive. Leggendo i resoconti della Commissione giustizia del Senato, si apprende che la prossima settimana si discuterà dell’adozione del testo unificato sulle unioni civili. L’ultima versione di testo unificato è quella della relatrice del provvedimento, la senatrice Cirinnà, e risale ai primi di luglio. Poi il tutto si è fermato, a seguito dell’annuncio che il governo stava elaborando un proprio disegno di legge: che quest’ultimo sia prossimo lo si è letto su Repubblica di qualche giorno fa, e non è stato smentito. Il leader di Forza Italia si è espresso a favore di una civil partnership alla tedesca: dalle argomentazioni a sostegno di questa posizione, viene il dubbio se abbia letto il testo Cirinnà e se realmente conosca il modello tedesco. Berlusconi pone le premesse politiche perché si giunga con ampio accordo a una legge che si chiamerà “unioni civili” e che di fatto introdurrà il simil-matrimonio fra persone dello stesso sesso.

L’onorevole Berlusconi, come e più di altri leader politici, è da sempre attento agli umori dell’elettorato, che per i due terzi (di più, con riferimento ai voti potenziali del centrodestra) non vuole il matrimonio gay, come confermano i più recenti sondaggi. Ma è il caso di far presente tale contrarietà, a lui e alle forze politiche, con quella presenza sulla pubblica piazza che in passato ha evitato discussioni oziose. Che aspettiamo ancora?