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Divorziati "risposati", il nuovo inizio sa di condanna

Neu beginnen”, “nuovo inizio” è il nome dell’iniziativa della diocesi di Innsbruck per i divorziati "risposati". A tenerla è una coppia irregolare. E al termine del percorso si deciderà se accostarsi alla comunione. È proprio di un’autorità malata lasciare alla decisione personale ciò che dovrebbe invece essere fermamente proibito.

Ecclesia 13_02_2019
Il vescovo con la coppia di "sposi" e un operatore

Neu beginnen”, “nuovo inizio” è il nome dell’iniziativa della diocesi di Innsbruck per “camminare insieme” a quelle persone che hanno visto fallire il loro primo matrimonio e si sono riaccompagnate o risposate. Il progetto che prenderà il via nella prossima primavera è stato presentato dal Vescovo, mons. Hermann Glettler, insieme a tre collaboratori, lo scorso 25 gennaio. Si tratta di seminari di 4 incontri in alcune città del Tirolo tenuti da “un pastore d’anime” e da una coppia che accompagneranno i convenuti.

Ovviamente coppie che a loro volta hanno un matrimonio fallito alle spalle e che si sono riaccompagnate; perché secondo mons. Glettler occorre “ascoltare e imparare da coloro che hanno naufragato e che hanno vissuto un nuovo inizio”. Quale nuovo inizio? Un inizio che ha preso consapevolezza della necessità di mantenere fede al proprio matrimonio, nonostante tutto, e che quindi si sforza di vivere una vita di continenza? Macché, roba da Medioevo. Il nuovo inizio ce lo spiegano Brigitte Wasle-Kaltenegger e il compagno Bernhard Wasle, presenti in conferenza stampa insieme al Vescovo e responsabili di uno di questi seminari.

La signora Brigitte racconta di esser stata sposata per 15 anni e poi di aver avuto una separazione. In questo tempo di solitudine ha potuto riflette sul suo primo matrimonio ed infine “in età matura”, dice lei, ha pensato di avere una nuova unione con il sig. Bernhard Wasle, vedovo, uomo molto attivo nelle iniziative parrocchiali e diocesane. Entrambi hanno maturato il desiderio di sancire la propria nuova unione con una celebrazione in chiesa. Hanno così trovato un diacono che si è prestato per accogliere la loro reciproca promessa e dare la benedizione divina. Che idea si possa avere della benedizione divina non è dato sapere: deve trattarsi di una divinità bipolare o con marcati problemi di memoria, che prima benedice e sigilla un matrimonio indissolubile e poi benedice una relazione che del primo matrimonio è la contraddizione.

Poiché mons. Glettler ha ricordato che bisogna imparare da queste coppie, il sig. Alfred Natterer, responsabile dell’ufficio diocesano per la famiglia e la vita, ha illustrato che il percorso del seminario terminerà con la proposta di una celebrazione del perdono e benedizione. Non è stato spiegato in cosa consista esattamente questa celebrazione, ma appare evidente che si tratta di un benestare ecclesiale per le nuove unioni, che ovviamente non possono essere considerati nuovi matrimoni sacramentali, ma che di fatto lo diventano, visto che da nessuna parte si parla di un cammino di maturazione per vivere la nuova situazione nella continenza. E’ altrettanto evidente che se le coppie che parteciperanno a questi seminari vedranno che la Chiesa concede il perdono attraverso una celebrazione penitenziale e benedice la nuova unione, per quale ragione dovrebbero pensare che per loro non è possibile accedere alla Comunione sacramentale?

Ed in effetti è proprio mons. Glettler a toccare la questione: “Ci vogliamo allontanare dalla fissazione sulla domanda circa l’ammissione alla Comunione. Dopo un buon tempo di discernimento e di maturato perdono – per questo sono pensati i quattro incontri del corso “Neu beginnen” -, le persone coinvolte e le coppie devono decidere da sé se vogliono ricevere la Comunione o no. Per entrambe le opzioni ci sono buoni motivi. Vogliamo prendere sul serio la decisione di coscienza degli uomini”.

A parte il fatto che solo delle chiese iper-burocratizzate, come quella tedesca e austriaca, possono pensare che un seminario che dura un mese e che ha un’impostazione chiaramente psicologica, possa costituire un buon tempo di discernimento e maturazione (i padri del deserto si farebbero una bella risata), il Vescovo dovrebbe spiegare come possa essere illuminata una coscienza alla quale non si parla più della necessità di vivere in continenza per fedeltà al proprio matrimonio, anche se umanamente irrecuperabile; dovrebbe anche dire come possa essere formata una coscienza che fin dal primo istante del percorso di “recupero crediti” organizzato dalla diocesi sa che riceverà il perdono, la benedizione e, dulcis in fundo, potrà decidere da sé se riaccostarsi alla Comunione. Inutilmente il Vescovo dichiara che “Neu beginnen non è una carta bianca per ricevere la Comunione superficialmente”. Il problema non è ricevere la Comunione superficialmente o no; il problema è riceverla mentre si vive una relazione di adulterio. Il Vescovo ha dunque una responsabilità enorme davanti a Dio per queste anime, alle quali nasconde la verità e poi, come un Ponzio Pilato redivivo, scarica su di loro la decisione ultima di accostarsi a “mangiare e bere la propria condanna”, parandosi però dietro la facciata del rispetto della coscienza.

Si vede che a mons. Glettler, alla guida della diocesi di Innsbruck dal settembre 2017, il “fai-da-te” piace particolarmente. Il 20 gennaio scorso ha presieduto la celebrazione eucaristica in una palestra (perché ormai le chiese si usano per altro), lasciando che la Comunione venisse distribuita dai ragazzi (vedi qui). Visti la devozione ed il rispetto del Vescovo verso la Santa Eucaristia, il senso di sacralità dell’azione liturgica (si veda il meraviglioso design di questa pianeta da lui pensata e per la quale ha posato), non stupisce che non si faccia troppi problemi ad autorizzare il “fai-da-te” sacramentale.

Prendiamo atto che ormai nella Chiesa è in atto una dismissione dell’autorità: il Papa delega alle Conferenze episcopali e i vescovi delegano alla coscienza dei laici. Qualcuno obietterà che però, quando c’è da colpire su realtà cattoliche, l’autorità viene esercitata eccome. In realtà è esattamente il contrario. E’ proprio di un’autorità malata lasciare alla decisione personale ciò che dovrebbe invece essere fermamente proibito e imporre senza troppa misericordia il proprio arbitrio laddove invece bisognerebbe rispettare una legge che è superiore a qualsiasi autorità.