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ASIA ORIENTALE

Divise scolastiche unisex e leggi pro-trans, la lobby LGBT vince in Giappone

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Oltre la metà delle scuole impone uniformi che non distinguono il sesso. E prendono piede anche i costumi da bagno unisex. Intimidazioni all’editore di un libro che critica la “follia transgender”. E ora anche la Corte Suprema favorisce l’identità trans.

Esteri 15_05_2024 English Español

Lo scorso 24 gennaio era annunciata in Giappone l’uscita della traduzione del libro americano "Irreversible Damage: The Transgender Craze Seducing Our Daughters" (Danno irreversibile: come la follia transgender seduce le nostre figlie”) della giornalista Abigail Shrier. Ma l’editore Kadokawa Corp. già a dicembre aveva deciso di rinunciare a causa delle forti proteste degli attivisti LGBTQ+, che avevano organizzato sit-in davanti agli uffici di Tokyo di Kadokawa, e delle accuse di "bigottismo" lanciate dai social.
In un post su X (ex Twitter), Shrier, già editorialista del Wall Street Journal, ha definito la decisione di Kadokawa un caso di censura ideologica. «Kadokawa, il mio editore giapponese, è una persona molto gentile. Ma cedendo a una campagna guidata da attivisti contro Irreversible Damage, ha incoraggiato le forze della censura», ha lamentato l'autrice, che ha proseguito: «L'America ha molto da imparare dal Giappone, ma noi possiamo insegnare loro come comportarsi con chi grida alla censura».

Il libro è stato poi pubblicato lo scorso mese da un altro editore, Sankei Shimbun Publications Inc, parte del quotidiano conservatore Sankei Shimbun di proprietà della Sankei Shimbun Co, che ha deciso di sfidare le minacce degli attivisti. L’editore ha dichiarato di aver scelto di pubblicare il libro in quanto «offre contenuti che speriamo vengano letti da molte persone».
La protesta pro LGBTQ+ per Irreversible Damage è solo l’ultimo esempio dell'ascesa della ideologia LGBTQ+ in un Giappone che è un Paese tradizionalmente conservatore.

Il caso però più eclatante è quello delle uniformi scolastiche: negli ultimi anni un numero crescente di scuole superiori giapponesi ha allentato o abbandonato le regole di sesso per le uniformi, per venire incontro agli studenti che si ritengono transgender; circa un terzo delle scuole superiori prefettizie ha introdotto uniformi "unisex" in seguito a una richiesta del Ministero dell'Istruzione nel 2015.

Il 1° dicembre dello scorso anno, la Okayama Minami Senior High School nel Kita Ward di Okayama ha rivelato le sue nuove uniformi ai media. Tra i nuovi capi d'abbigliamento presentati c'erano blazer e pantaloni di colore blu marino, privi di distinzione di genere. Un articolo del giornale di sinistra Asahi Shimbun afferma che dagli anni '80 sono stati apportati cambiamenti chiave alle uniformi scolastiche per assecondare «la comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender».

In base a un sondaggio del 2021 su 1.194 scuole medie pubbliche organizzato da un fornitore di uniformi scolastiche come Kanko Gakuseifuku, circa il 40% delle scuole ha risposto di aver introdotto uniformi unisex, mentre il 55,8% degli intervistati avevano già cambiato o pianificato di modificare il design della propria uniforme.
Un articolo del 2020 di SoraNews24 annunciava che la Yokota Prefectural High School, nella prefettura giapponese di Shimane, avrebbe eliminato il concetto di uniformi maschili e femminili a partire dalla primavera del 2021: la scuola ha infatti deciso di rinominare le uniformi maschili e femminili come "Tipo I" e "Tipo II" come parte del suo piano per venire incontro alla «diversità di identità di genere».

Inoltre anche i costumi da bagno e le borse, in particolare il "randoseru", uno zaino per gli studenti delle scuole elementari giapponesi, sono stati colorati in modo diverso per ciascun genere.
Nel 2022, Footmark Corp., un produttore e venditore di attrezzature per il nuoto, ha messo in commercio costumi da bagno unisex con lo stesso design per uomini e donne da utilizzare nelle lezioni di nuoto a scuola. Secondo quanto riportato da The Mainichi, l'azienda aveva dichiarato che uno dei suoi obiettivi era quello di permettere agli studenti di «partecipare alle lezioni di nuoto senza essere consapevoli del proprio sesso». E dal 19 aprile dello scorso anno, Footmark Corp. vende questi costumi da bagno unisex al pubblico attraverso il suo negozio online.
Questi casi di uniformi, costumi da bagno e abbigliamento unisex  sono parte degli sforzi compiuti dalla sinistra per promuovere l’ideologia gender in Giappone.

Ma c’è anche un fronte politico: nel marzo 2023 i sostenitori LGBTQ+ giapponesi hanno dato vita a un nuovo gruppo di impegno del G7, noto come Pride7. Il gruppo è nato con lo scopo di promuovere l'ideologia di genere nel Paese e di chiedere agli Stati membri del G7, come il Giappone, di «rendere le questioni LBGTQ+ un punto chiave dell'agenda del Vertice G7».
Fondato da tre gruppi LGBTQ+ di spicco in Giappone - ovvero Marriage for All Japan, Japan Alliance for LGBT Legislation e Human Rights Watch - il Pride7 ha tenuto il suo primo summit, il "Pride 7 Summit 2023", il 30 marzo presso la Camera dei Rappresentanti giapponese, prima del vertice del G7 dello scorso anno a Hiroshima.

«Speriamo che il Pride7 possa promuovere e far avanzare i diritti della comunità LGBTQ non solo in Giappone, ma in tutto il mondo», ha dichiarato Gon Matsunaka, direttore di Marriage for All Japan. «In futuro, vogliamo passare il testimone ai nostri alleati che ospiteranno il G-7».
Il 12 maggio 2023, 15 missioni diplomatiche in Giappone, guidate dall'ambasciatore statunitense Rahm Emanuel, nominato da Joe Biden, hanno pubblicato un video messaggio in cui esortano Tokyo ad approvare una legge per proteggere gli interessi LGBTQ. «Con tutte le sfide che tutti noi affrontiamo - dalle implicazioni del cambiamento climatico, alle guerre, ai conflitti civili, alla fame - l'ultima cosa che dovrebbe occupare le nostre energie sono due persone che si amano e vogliono costruire una vita insieme», ha affermato Emanuel su X (ex Twitter).

Un ulteriore passaggio è stato compiuto il 25 ottobre scorso dalla Corte Suprema giapponese, composta da 15 giudici, che ha annullato una legge del 2003 che imponeva alle persone che si identificano trans di ottenere una diagnosi formale di "Disturbo dell'Identità di Genere" e di sottoporsi a intervento chirurgico per il "cambio di sesso" come condizione per poter cambiare ufficialmente il proprio sesso sui documenti governativi. La legge obbligava infatti coloro che desiderano ottenere il riconoscimento ufficiale di un "cambiamento di sesso" a farsi rimuovere gli "organi riproduttivi originali".

Così il Giappone si è messo sulla strada degli altri Paesi occidentali progressisti, dell’ideologia dell'«auto-identificazione», per cui le persone possono semplicemente modificare il loro genere dichiarandolo. Non è lontano il momento in cui anche in Giappone, come negli Stati Uniti, gli uomini che insistono sul fatto di essere donne sulla base della "percezione di disforia di genere" potranno entrare nei bagni o negli spogliatoi femminili. E possiamo aspettarci che i membri del “culto transgender” cominceranno a fare pressioni per promuovere la "medicina di genere", come i bloccanti della pubertà e gli ormoni inter-sesso, e minare ulteriormente la crescita demografica, già in calo, di questo Paese dell'Asia orientale, nonostante i numerosi studi medici insistano sul fatto che tale «medicina di genere» è «costruita su basi traballanti».



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