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EDITORIALE

Dittatura omosex internazionale

Le dure sanzioni degli Stati Uniti contro l'Uganda per la legislazione anti-gay, fanno nascere la domanda sul come mai i paesi che in nome del relativismo culturale tollerano e giustificano gravi violazioni dei diritti umani - come schiavitù e mutilazioni genitali femminili - improvvisamente diventano così intransigenti.

Editoriali 22_06_2014
Manifestazioni anti-Obama in Uganda

Lo scorso 24 febbraio l’Uganda ha adottato una nuova legge sull’omosessualità che ha introdotto sanzioni più severe di quelle già esistenti. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e alcuni stati occidentali hanno vivamente condannato l’iniziativa, giudicata tanto più preoccupante in quanto poche settimane prima la Nigeria a sua volta aveva approvato norme analoghe e, nel frattempo, altri stati africani, tra cui il Tanzania e il Camerun, avevano annunciato di essere in procinto di fare altrettanto.

Dalle parole ai fatti: la Banca Mondiale, istituto di credito internazionale delle Nazioni Unite, il 28 febbraio decideva di sospendere sine die un prestito di 90 milioni di dollari destinato a migliorare il sistema sanitario ugandese. Nei giorni successivi diversi stati europei, tra gli altri la Danimarca, l’Olanda, la Norvegia e la Svezia, attuavano il congelamento di una parte dei loro aiuti finanziari al paese.

Gli Stati Uniti hanno fatto di più: dopo aver interrotto ad aprile l’erogazione di fondi ad alcuni ministeri, il 19 giugno hanno deciso di imporre all’Uganda delle sanzioni che includono il divieto di entrare negli USA a personalità ugandesi implicate in gravi violazioni dei diritti umani nei confronti di persone LGBT, la sospensione o riallocazione dei fondi stanziati per la realizzazione di programmi destinati alle forze di polizia, all’istituto sanitario nazionale e al ministero della sanità ugandesi e la cancellazione di un piano di esercitazioni dell’aviazione militare americana nel paese. Non dovrebbero risentirne però – assicura la Casa Bianca – né gli aiuti umanitari né la partecipazione USA alla lotta contro l’Lra, il movimento armato guidato da Joseph Kony. 

La condanna dell’Uganda non è valsa a impedire che l’11 giugno il  ministro degli esteri ugandese Sam Kutesa venisse eletto presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, incarico che svolgerà per un anno a partire da settembre. Si tratta di una carica a rotazione: ogni anno viene assegnata a un diverso continente. Quest’anno tocca all’Africa ricoprirla e, poiché tutti i paesi africani hanno concordato di proporre il ministro Kutesa, l’Assemblea ha dovuto prenderne atto e votarlo all’unanimità, nonostante le proteste di diverse organizzazioni non governative e il malcontento espresso da alcuni governi. 

Nel discorso pronunciato al momento dell’accettazione dell’incarico, Kutesa ha detto che la sua elezione all’unanimità è stata un grande segno di fiducia nei suoi confronti e un riconoscimento dei contributi dell’Uganda in ambito internazionale. Ha poi anticipato che, durante il suo mandato, l’Assemblea generale si concentrerà sulla lotta alla povertà, sul contrasto ai cambiamenti climatici e sulla promozione della parità di genere. 

A febbraio il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, aveva replicato alle critiche e alla riduzione degli aiuti finanziari dicendo all’Occidente di tenersi i suoi finanziamenti e denunciandone l’«imperialismo sociale», l’intenzione di imporre al resto del mondo i propri valori. Nelle ore successive all’annuncio delle sanzioni USA ha ribadito che l’Uganda non cederà a nessun ricatto e dimostrerà “la propria indipendenza di fronte alle pressioni e alle provocazioni occidentali”.

In realtà il presidente Museveni aveva rimandato per qualche mese la ratifica dell’attuale legge, dopo l’approvazione da parte del parlamento nel dicembre del 2013, proprio temendo la sospensione di finanziamenti indispensabili al funzionamento dell’apparato statale ugandese. Alla fine però ha prevalso, come in Nigeria, la pressione di un’opinione pubblica quasi interamente contraria all’omosessualità: una ricerca svolta nel 2013 dal Pew Research Center ha rivelato che il 96% degli ugandesi la considera inaccettabile, in Nigeria la percentuale sale al 98%. Né si tratta di casi isolati. Al contrario, l’eccezione è costituita caso mai dal Sudafrica, unico stato africano ad ammettere il matrimonio tra persone dello stesso sesso: e peraltro con il 61% della popolazione ostile all’omosessualità, stando al Pew Research Center. Come l’Uganda, altri 37 stati africani proibiscono l’omosessualità e la puniscono. 

Nessun paese africano, nessun organismo regionale del continente, neanche l’Unione Africana hanno interferito con la decisione dell’Uganda né è prevedibile che lo facciano: forse domandandosi come mai dei paesi che, in nome del relativismo culturale e del rispetto delle altrui tradizioni, ignorano, tollerano e persino giustificano, in Uganda e altrove, istituzioni che costituiscono violazioni gravissime dei diritti umani – quali il matrimonio infantile, le mutilazioni genitali femminili, la schiavitù… – improvvisamente si mobilitino, e con così tanta determinazione, contro leggi agli occhi della maggior parte degli africani necessarie e buone.