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LIBERTÀ RELIGIOSA

Discriminati i cristiani. Londra se ne accorge

La Commissione per l'eguaglianza cambia rotta. Difenderà gli oppressi. Per esempio chi sul posto di lavoro non può portare al collo un crocefisso.

Attualità 14_07_2011
Lillian Ladele

 

I cristiani sono troppo discriminati; anzi, sono i più discriminati. Lo afferma la Commissione britannica per l’eguaglianza e per i diritti umani che quindi d’ora in poi vuole intervenire in loro favore nei casi riguardanti la libertà religiosa che finiranno davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. A nome della Commissione, John Wadham ha detto: «Il nostro intervento in questi casi incoraggerà i giudici a interpretare la legge meno strettamente e più chiaramente a beneficio di chi è religioso e di chi non lo è. L’idea di apportare degli aggiustamenti ragionevoli che possano andare incontro ai bisogni di una persona ha per decenni servito bene la causa della legge contro la discriminazione dei disabili. Pare dunque ragionevole adottare un concetto analogo per consentire a qualcuno di manifestare il proprio credo religioso».

Per la Commissione, infatti, i giudici di Albione chiamati a regolare i casi di discriminazioni interpretano regolarmente la legge in modo troppo rigido e comunque ponendo per i cristiani sempre troppo in alto l’asticella da superare per ottenere soddisfazione in tribunale. E non solo.

Oltre ai giudici legalisti e poco garantisti verso i credenti, anche i datori di lavoro svolgono la loro parte nel penalizzarli. Secondo la Commissione, essi dovrebbero darsi invece maggiormente da fare per «affrontare ragionevolmente» le esigenze dei loro impiegati in materia di precetti morali e religiosi, cosa oggi particolarmente urgente appunto per i cristiani. Né più né meno - suggerisce la Commissione - come negli uffici fanno i boss nei confronti del loro personale portatore di handicap.

Ebbene, la decisione è davvero importante. Anche perché segna un mutamento notevole di orientamento, come osserva, nel rilanciare la notizia con compiacimento ed enfasi, The Christian Institute, l’organizzazione diretta a Newcastle-upon-Tyne da Colin Hart che svolge significative campagne di sensibilizzazione, e che tra l’altro offre sostegno economico e patrocinio legale nei casi di bisogno. Nel passato anche recente, infatti, la Commissione ha mostrato in più di una occasione di schierarsi volentieri dalla parte che oggi si trova invece a criticare tanto apertamente.

Istituita nel Regno Unito (in Irlanda del Nord conosce qualche eccezione) con quell’Equality Act 2006 che entrò in vigore il 1° ottobre 2007, la Commissione è un ente pubblico non-ministeriale, il che significa che agisce a contatto ma indipendentemente dai dicasteri competenti i quali comunque ne sono responsabili in parlamento per le attività svolte con il loro appoggio. Statutariamente si occupa si monitorare le violazioni dei diritti umani nel Paese al fine di promuovere l’eguaglianza per tutti i cittadini in - dice espressamente - nove ambiti “protetti”: età, disabilità, sesso, razza, religione e fede, gravidanza e maternità, matrimonio e unioni civili, orientamento sessuale e "riassegnazione" (virgolette nostre) di sesso. Insomma, uno di quei carrozzoni liberal che per i quali qualcuno risulta sempre più uguale degli altri.

Il Christian Institute ricorda infatti il giorno in cui la Commissione buttò lì l’idea che le famiglie cristiane legalmente affidatarie di minori potrebbero costituire un rischio poiché possono “infettare” i bimbi. O quello in cui pagò un processo contro i gestori cristiani di una pensione “bed and breakfast” perché quelli assegnavano le camere doppie solo a coppie regolarmente sposate; una volta vinto in tribunale, i legali della Commissione chiesero poi ai giudici d’inasprire le pene per i cristiani. Venne poi un terzo giorno, quando il presidente della Commissione, Sir Trevor Phillips, stigmatizzò i cristiani come più “militanti” dei musulmani nel denunciare le discriminazioni.

Adesso, vista la nuova disponibilità della Commissione, il Christian Institute si attende moltissimo nei casi ben rappresentati dalla vicenda di Lillian Ladele [nella foto], l’impiegata al municipio di Islington, sobborgo di Londra, che nel maggio 2008 finì in tribunale dopo essere stata denunciata da colleghi e sanzionata per violazione della politica “Equità per tutti” lì vigente. Cristiana praticante, la Ladele si era infatti rifiutata di mandare avanti le pratiche buroratiche relative alle unioni civili omosessuali. In luglio il tribunale del lavoro di Londra le diede ragione, ma in dicembre la corte d’appello fece il contrario, sbarrando al Christian Institute - che ne sponsorizzava economicamente la causa - il ricorso a ulteriori livelli di giudizio e quindi lasciando aperta solo la via di Strasburgo.

Avviati, inoltre, verso quel supremo tribunale europeo sono il caso di due uomini a cui fu impedito di portare al collo il crocefisso sul posto di lavoro e quello di un consulente di coppia messo da parte per essersi rifiutato di fornire consigli sessuali a omosessuali.