Diritti & donne, il miraggio africano
Il Protocollo di Maputo afferma il diritto delle donne alla dignità e alla vita. Eppure ogni anno tre milioni di bambine in gran parte africane subiscono interventi di mutilazione genitale. Un altro dramma per milioni di donne africane è la situazione in cui vengono a trovarsi se muore il marito.
Se darsi la morte diventa un diritto universale dell’uomo, se il diritto di morire diventa più importante del diritto a vivere, allora la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che compirà 70 anni nel 2018, ha fatto il suo tempo, non è più la “stella polare” a cui guardare.
Le critiche, d’altra parte, non le sono mancate negli ultimi decenni, via via che si facevano più forti e ardite le ideologie antioccidentali, fino a farne un “prodotto della civiltà occidentale”, imposto al resto del mondo “con la solita arroganza”. L’Islam ha redatto una propria Dichiarazione dei diritti dell’uomo nel 1981, seguita dalla Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam del 1990. Nel 1994 la Lega araba a sua volta ha adottato una Carta araba dei diritti dell’uomo. Nel 1981 anche i paesi africani hanno prodotto un loro documento sui diritti umani, la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, che nel 2005 è stata integrata con un trattato sui diritti delle donne, noto come Protocollo di Maputo.
È certamente vero che la Dichiarazione universale del 1948 è espressione della civiltà occidentale e ne rispecchia i valori fondanti. Il cardine su cui si regge è infatti che ogni vita vale, che ogni persona ha pari dignità e valore, che ogni vita va rispettata e tutelata, dal suo concepimento fino alla morte. In altre culture, in altre civiltà per ogni persona, invece, valore, dignità e diritti dipendono dal suo status e variano al passaggio da una fase all’altra della vita. Donne e bambini, ad esempio, valgono molto, ma molto meno degli uomini adulti.
La civiltà occidentale, finché è stata forte nella propria identità e salda nei propri principi, è riuscita tutto sommato a far accettare che esistano dei diritti inerenti alla persona, inalienabili e universali. In fin dei conti, ogni volta che si accusa l’Occidente di violazioni dei diritti di altri popoli, il criterio di giudizio sono proprio i diritti enunciati nella Dichiarazione e il presupposto che ogni vita vale. La forza economica dell’Occidente ha avuto un ruolo. Pare, ad esempio, che i governi africani, quando hanno ratificato il Protocollo di Maputo, ne abbiano valutato le ricadute positive in termini di finanziamenti, prestiti e contributi a titolo di dono da parte dei governi occidentali. Il Protocollo afferma il diritto delle donne alla dignità e alla vita. In concreto ne riconosce il diritto all'istruzione, al matrimonio consensuale, a ereditare alla morte del marito, a possedere della terra. Contro ogni tradizione, introduce come diritti delle donne anche l’aborto e l’uso di metodi contraccettivi di qualsiasi genere.
Per la prima volta inoltre vi si condannano istituzioni tradizionali lesive dell'integrità fisica e psichica quali le mutilazioni genitali femminili. Ma enunciare un principio in un documento non basta. Occorre tradurlo in leggi e farle rispettare. La strada in Africa è ancora lunga e tutta in salita. Lo diventa ancora di più se, chi nel valore di ogni vita ha creduto, perde il proprio ruolo guida e invece gradualmente adotta istituzioni contro le quali aveva lottato – aborto, infanticidio, scarto di malati, anziani, disabili – e passa a nuove battaglie.
Durante le ultime vacanze scolastiche, nel nord del Tanzania centinaia di bambine, sapendo che sarebbero state sottoposte a interventi di mutilazione genitale, sono scappate di casa. Di solito i genitori non mutilano le figlie mentre vanno a scuola perchè gli insegnanti se ne accorgono e potrebbero denunciarli. Molte studentesse sono state ospitate da una associazione fino alla riapertura delle scuole e per ora sono salve. Tuttavia più di 800 sono state mutilate. Ne patiranno le conseguenze per tutta la vita.
Eppure in queste settimane, se del Tanzania si è parlato nel mondo, è stato per denunciare la chiusura di alcuni presidi sanitari che curavano i malati di Aids. Questo almeno stando ai titoli. Nei fatti, il governo ha bloccato 40 centri sostenendo che delle ong se ne servivano per propagandare e favorire l’omosessualità. Inoltre l’ordine governativo è stato emanato il 17 febbraio, lo stesso giorno in cui il ministero della sanità ha annunciato l’estensione dell’assistenza ai malati di Aids, anche omosessuali, a 3.000 nuovi centri sanitari sparsi in tutto il paese.
Ogni anno tre milioni di bambine in gran parte africane subiscono interventi di mutilazione genitale. Un altro dramma per milioni di donne africane è la situazione in cui vengono a trovarsi se muore il marito. Per tradizione tutti i beni del defunto passano ai figli, se sono adulti, se no a suo padre e ai suoi fratelli. Molti paesi hanno adottato leggi che consentono alle vedove di ereditare, ma in materia di diritto di famiglia ed ereditario ammettono che gli interessati continuino ad applicare le norme consuetudinarie, tribali, tanto più nel caso di matrimoni celebrati secondo riti tradizionali. Così le vedove si ritrovano prive di tutto, anche dell’abitazione, che i cognati requisiscono, e dei terreni agricoli da cui spesso dipende la loro sussistenza.
Qualche tentativo di sensibilizzazione su questo problema è stato fatto, ma con scarsi risultati: le tradizioni vanno considerate. In compenso in Sudafrica si è celebrata come una grande conquista per i diritti umani, una svolta storica, la sentenza da poco pronunciata a Johannesburg che ha riconosciuto al compagno e convivente di un uomo deceduto nel 2015 il diritto di ereditarne i beni. Il fratello del defunto li aveva reclamati, ma un giudice ha stabilito che i partner di una coppia omosessuale sono coniugi e quindi hanno diritto a ereditare. Le mogli femmine di mariti maschi, loro, possono aspettare.