Dio, l'uomo, i terremoti: appunti per non smarrirsi
Se c’è una cosa che il terremoto nell’Italia centrale ha messo chiaramente a nudo è lo stato confusionale in cui versa la nostra società, in cui si è perso il senso del rapporto fra Dio, l'uomo e la natura. Così che, anche in chiesa, mentre non si parla più di Gesù Cristo, si cercano risposte al "grido della terra".
Se c’è una cosa che il terremoto nell’Italia centrale ha messo chiaramente a nudo è lo stato confusionale in cui versa la nostra società. Ogni cultura, ogni civiltà, ogni popolo si forma infatti attorno a una concezione di Dio, dell’uomo, della natura e del rapporto tra di loro. E proprio in una situazione così drammatica come quella di un terremoto devastante – in cui sono in gioco al massimo grado tutti e tre gli attori – si è visto il disorientamento, l’incapacità di giudizio, l’impotenza a dare un senso vero agli avvenimenti; facendo salva la istintiva generosità e senso di solidarietà di un popolo che – piaccia o no, consapevolmente o meno – vive ancora dell’eredità lasciata dalla civiltà cristiana.
È così che si sono sentite le banalità più atroci su Dio (dove sta, cosa fa, ed eventualmente, ha un po’ di tempo libero per noi?), ma anche sull’uomo (da vittima a responsabile di tutto) mentre la natura assurge incontrastata al ruolo di Madre (con la m maiuscola, Avvenire docet). Pare di vivere un ritorno alla cultura pagana, tanto che anche il vescovo di Rieti ha accennato nell’omelia del funerale ad atteggiamenti superstiziosi davanti a queste tragedie.
Tale disorientamento arriva anche tra i cristiani se è vero che anche nelle omelie pronunciate dai vescovi per l’occasione ci si è riferiti a un Dio generico, mai identificato come il “Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, quel Gesù Cristo che ha portato su di sé, innocente, tutti i peccati del mondo. E che ad ogni buon conto è ciò che la Chiesa è chiamata ad annunciare; ma ci si è vergognati delle «cose che dicono i preti». Eppure è a lui, alla sua indicibile sofferenza che dobbiamo guardare se vogliamo dare un senso alla nostra, di sofferenza.
Ad ogni modo la confusione nella relazione tra Dio, uomo e natura è sintetizzata dalla frase pronunciata dal vescovo di Rieti, che ha dato ieri il titolo a tutti i giornali: «Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!». Era chiara l’intenzione del vescovo di condannare quelle malefatte nella costruzione e ristrutturazione degli edifici di cui tanto si parla in questi giorni e che hanno certamente aggravato il bilancio del sisma. E nei passaggi precedenti dell’omelia era chiaro il tentativo di offrire un’altra prospettiva nel giudicare i terremoti, una positività della creazione: «I paesaggi che vediamo e che ci stupiscono per la loro bellezza sono dovuti alla sequenza dei terremoti. Le montagne si sono originate da questi eventi…». Ciò non toglie che quella frase, rilanciata su tutti i media, offra una visione irrealistica della natura e dell’uomo in rapporto con essa, cosa su cui è opportuno riflettere proprio oggi che la Chiesa celebra la Giornata per la salvaguardia del Creato. «La Misericordia del Signore, per ogni essere vivente» è il titolo del messaggio che la Conferenza episcopale Italiana (CEI) ha pubblicato per l’occasione, dando ampio spazio al “grido della terra”: anche qui la terra è descritta «oppressa e devastata» ovviamente a causa dell’uomo, neanche un cenno al peccato originale.
Purtroppo, per quanto possiamo essere debitori ai terremoti per la graziosa configurazione dei nostri territori, bisogna dire che il terremoto uccide e come! Così come uccidono il caldo e il freddo, le inondazioni, gli eventi meteo estremi, e così via. La storia dell’uomo è anche il progressivo affrancarsi dalla schiavitù della natura, quella natura che, così come ci offre nutrimento, allo stesso modo ci uccide. Nel corso dei secoli l’uomo ha imparato via via – attraverso le conoscenze scientifiche acquisite e il miglioramento delle condizioni di vita – a difendersi dalla violenza della natura così da riuscire a vivere anche in situazioni e territori non certo favorevoli all’insediamento umano.
Nel caso del terremoto, sicuramente gli abusi e le truffe – ammesso che siano provate in sede di giudizio – hanno contribuito ad appesantire il bilancio delle vittime, ma è gravemente fuorviante lasciar pensare che con i morti la violenza della natura non c’entri nulla. Non solo: se ci sono edifici che hanno ucciso i loro abitanti, ci sono edifici che invece li hanno salvati. Vale a dire che a uccidere non sono le opere dell’uomo, ma le opere dell’uomo fatte male (qualsiasi sia il motivo), mentre quelle fatte bene sono provvidenziali.
Piuttosto bisognerebbe avere l’onestà e il coraggio di riconoscere che solo lo sviluppo permette di essere meno vulnerabili ai terremoti così come a qualsiasi evento naturale o alle malattie. Nel caso di terremoti, uragani e compagnia si muore molto di più nei paesi poveri rispetto ai paesi sviluppati proprio perché la mancanza di soldi e di conoscenze tecniche e scientifiche rende queste popolazioni indifese davanti ai disastri naturali.
Perché ci vuole onestà e coraggio? Perché l’ideologia ecologista, che ormai domina anche nella Chiesa, obbliga a pensare che tutti i mali dell’ambiente vengano dai paesi sviluppati, proprio in quanto sviluppati. La realtà ci dice invece il contrario: laddove c’è sviluppo c’è tendenzialmente anche il miglioramento degli indici ambientali; mentre l’inquinamento, ad esempio, è più grave nei paesi poveri e dove la corruzione è favorita dalla mancanza dello stato di diritto.