Dimmi come lo scrivi e ti dirò perché sbagli
Un navigato giornalista come Luciano Santilli ha appena pubblicato un manuale, Grammatica del giornalismo. Come si scrive per i media, nel quale si insegna in mille voci e in ordine alfabetico quel che sembra facile ma non è. Strumento prezioso che dovrebbe essere incluso nei corsi per i giornalisti.
Acquarello o acquerello? Best seller o best-seller? Eh, scrivere sembra facile, ma il professionista si distingue dal dilettante proprio nel dettaglio. In un Paese già di santi e poeti, di navigatori e capitani di ventura, ora di politici e magistrati, di Ceo e di tronisti (a proposito, lo sapete che vuol dire Ceo?), un Paese in cui quelli che scrivono superano numericamente quelli che leggono, le Scuole di Scrittura Creativa proliferano ch’è un piacere, perché pare che la creatività si possa insegnare.
In effetti, io personalmente ho fatto qualche esperienza in questo senso, ma quel che ho imparato, insegnando, è che è inutile voler correre se non sai camminare. Scrivere vuol dire innanzitutto farsi capire, perciò ci sono regole che vanno rispettate. Specialmente nel giornalismo. Un tempo la regola aurea era l’incipit: fin dalle prime righe il lettore doveva apprendere chi, dove, come, quando e perché. Se la cosa gli interessava, proseguiva con la lettura. Invece, oggi, non è raro il caso di dover scorrere tutto l’articolo per capire di che diavolo si parla. E magari scoprire che quanto annunciato dal titolo o dai cosiddetti “occhielli” non c’è. O, se c’è, occupa uno spazio inferiore all’occhiello.
Ora, poiché i giornalisti devono frequentare corsi di aggiornamento obbligatori su una gamma di argomenti che arriva fino al linguaggio “rispettoso” delle minoranze & diversità, non sarebbe male introdurne qualcuno di corretto uso della lingua italiana. Un navigato giornalista come Luciano Santilli ha appena pubblicato un utile manuale, Grammatica del giornalismo. Come si scrive per i media, nel quale si insegna in mille voci e in ordine alfabetico quel che sembra facile ma non è. Innanzitutto a evitare le frasi stantie e i luoghi comuni. Come questa: «fare piena luce». Ora, la luce c’è o non c’è. «Fare luce» basta. E, a proposito di luce, «alle prime luci dell’alba» è espressione simile: l’alba non ha seconde luci, perché dopo l’alba c’è l’aurora. Perciò, scriveremo «all’alba» o «alle prime luci del giorno».
E che dire del dilagante basic english che sta stravolgendo l’italiano? Per esempio, ormai “domestico” viene usato all’inglese, ma in inglese domestic vuol dire altro (es: domestic flight sta per “volo interno”, nel senso di nazionale). Perciò, è corretto scrivere “mercato interno” non “mercato domestico”. Ancora: “le vecchie lire” per indicare la moneta italiana precedente all’euro. E si potrebbe continuare.
Ma i dubbi possono venire anche da “egli” ed “ella”. É italiano, certo, ed è pure corretto. Ma, ahimè, è ormai ammuffito e sa di lezioso. E poi bisogna sapere quando e come usare abbreviazioni, accenti, ausiliari, capoversi, trattini, virgolette, quando il corsivo e quando il tondo, quando il maiuscolo e quando no. Santilli ha la risposta giusta per tutto, non a caso ha ricoperto, nella sua lunga carriera, quasi tutte le figure professionali del giornalismo (è stato anche direttore dei siti web per Mondadori), e ora guida Capital. Ah, dimenticavo la regola principale che ai miei tempi si insegnava alle elementari: periodi brevi, soggetto-predicato-complemento oggetto. E, infine, la regola aurea: chi usa cento parole per dire una cosa per cui ne bastano dieci, quasi mai è persona di cui fidarsi.
Luciano Santilli, Grammatica del giornalismo. Come si scrive per i media. Ed. goWare, pp. 304, €. 14, 99 (6,99 in digitale).