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IL CASO AREZZO

Diagnosi preimpianto, eugenetica col timbro statale

L'ospedale pubblico di Cortona ha effettuato la prima diagnosi pre impianto su tre embrioni sottoposti a biopsia. Nonostante la legge 40 la vieti, grazie ad un'interpretazione liberal della norma e alla sentenza della Corte Costituzione, al personale medico non accadrà nulla. L'eugenetica è servita col palacet dello Stato. 

Vita e bioetica 24_07_2016
L'osservazione al microscopio di un embrione

A dicembre dello scorso anno l’ospedale Santa Margherita di Cortona (Arezzo) è diventato il primo ospedale pubblico a dotarsi delle attrezzature necessarie per eseguire la diagnosi pre-impianto sugli embrioni. Martedì questo centro è passato dalle parole ai fatti ed ha praticato la sua prima diagnosi genetica pre-impianto (Dgp). Una prima volta anche per le aziende ospedaliere pubbliche, dato che fino allo scorso 19 luglio questo tipo di intervento veniva praticato solo in strutture private (poche a dire la verità).

Il caso aretino riguarda una coppia il cui lui è affetto da una malattia genetica degli occhi, la “aniridia congenita”. Sottoponendosi la donna a fecondazione artificiale, i tre embrioni prodotti sono stati sottoposti a biopsia per verificare se sono sani. Quelli colpiti dalla stessa patologia del padre, o affetti da altre malattie, verranno scartati, cioè moriranno. I sani invece saranno impiantati nell’utero della donna.

Cosa dice sulla diagnosi pre-impianto la legge 40 che disciplina le tecniche di fecondazione extracorporea in Italia? Al comma 2 dell’art 13 possiamo leggere: “La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative”.

Dunque la diagnosi pre-impianto in punta di diritto è permessa, ma solo se volta “alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso”. Inoltre il comma successivo vietava – l’imperfetto è d’obbligo come vedremo tra qualche riga - “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni”. Bene dunque verificare se l’embrione sia sano oppure no, ma tale operazione di verifica non deve portare a minacciare la vita o l’incolumità dell’embrione.

A motivo di ciò è opportuno ricordare in primo luogo che la tecnica della Dgp, prevedendo il prelievo di alcune cellule dall’embrione quando è nella fase di blastocisti, può provocare seri danni all’embrione stesso o addirittura la sua morte. Dunque l’unica diagnosi priva di rischi sarebbe quella meramente osservazionale e non quella genetica che comporta la biopsia.

In secondo luogo se la ricerca di patologie ha dato esito positivo, il destino dell’embrione, come prima accennato, è segnato. Infatti il tecnico di laboratorio ex art. 14 comma 5 deve informare sullo stato di salute degli embrioni la coppia. Anche se la legge afferma che gli embrioni prodotti devono essere trasferiti nel corpo della donna, questa può legittimamente rifiutarsi, dato che il trasferimento è un trattamento clinico e come tale non è coercibile secondo la legge.

A questo punto la legge vieta che l’embrione, rifiutato dalla madre, possa venire ucciso. Ma il divieto di carattere penale riguarda solo l’eliminazione volontaria, non quella colposa (dato il grandissimo numero di embrioni persi con le tecniche di fecondazione artificiale nessun medico si arrischierebbe più di praticare una Fivet o una Icsi). Però dal punto di vista pratico per gli inquirenti è impossibile accertare se la morte di quell’embrione è avvenuta per dolo o per colpa. Da ciò consegue che gli embrioni imperfetti non voluti dalla donna potranno essere tranquillamente scartati stante l’impunità per gli operatori sanitari che hanno compiuto l’illecito. Insomma la legge 40 da una parte afferma che non puoi uccidere gli embrioni, ma dall’altra ti indica il modo di farlo in barba alla legge.

La diagnosi genetica pre-impianto è quindi un’autostrada che ci porta dritti dritti all’eugenetica. Occorreva però superare l’ostacolo previsto dalla legge 40 che da una parte permette la diagnosi pre-impianto, ma dall’altra vietava la selezione eugenetica. A questo proposito ci ha pensato, lo scorso novembre, la Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima la legge 40 «nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili».

Alla decisione la Consulta è arrivata attraverso un percorso perversamente logico. Qualche mese prima la stessa Corte aveva aperto le porte della fecondazione artificiale anche alle coppie fertili ma portatrici di patologie trasmissibili al feto. Ora che senso avrebbe avuto – argomentano i giudici – permettere a queste coppie di sottoporsi alla fecondazione extracorporea e poi vietare loro di selezionare gli embrioni sani? La Corte però tiene a precisare che se la selezione eugenetica è lecita, rimane illecita la soppressione diretta degli embrioni. Ma abbiamo già visto che tale soppressione è comunque praticabile.

Dal 19 luglio quindi l’eugenetica tramite diagnosi genetica pre-impianto diventa di Stato, praticabile anche nelle strutture pubbliche e benedetta dallo stesso Stato con la mano sinistra dalla legge e con quella destra dai giudici.