Di Maio, i cattocomunisti e FI, gli sconfitti dell'Umbria
L'Umbria non è semplicemente una sconfitta dei partiti di governo. E', prima di tutto, l'inizio della fine della leadership di Di Maio nel Movimento 5 Stelle. E' una sconfitta del cattolicesimo di sinistra che si era sempre orientato verso il Pd. Ed è una sconfitta per Berlusconi, ridotto a ruolo marginale nel centrodestra.
La liquefazione del Movimento 5 Stelle questa volta passa dell'Umbria e mette definitivamente in discussione la leadership di Luigi Di Maio. Era stato lui dalle colonne della Nazione, nel mese di settembre, a lanciare l'idea di un patto civico con il PD per scegliere insieme il candidato Presidente della Regione Umbria, da sempre nelle mani della sinistra. L'esperimento è fallito visti i risultati elettorali e ora tra i pentastellati si è aperto il processo a Giggino.
Gli oppositori interni gli chiedono di lasciare la guida politica del Movimento e di dedicarsi solo al Ministero. É lo stesso leader grillino ad ammettere la disfatta e ad escludere per il futuro alleanze con i dem in altre regioni nelle quali si voterà, in particolare in Emilia Romagna, Puglia, Campania, Calabria e Toscana. Quello in Umbria «era un esperimento. Non ha funzionato questo esperimento. Tutta la teoria per cui si diceva che se ci fossimo alleati con un'altra forza politica saremmo stati un'alternativa non ha funzionato», ha commentato Luigi Di Maio, parlando di «strada impraticabile» per il patto Pd-M5S. «Dobbiamo dirci che sia al governo con la Lega o con il Pd, il M5S non ne trae giovamento. Per quanto col Pd ci lavoro meglio che con la Lega, fa male lo stesso», ha continuato Di Maio. Peccato che alla vigilia della presentazione delle candidature per il voto in Umbria i leader pentastellati avessero consultato la base per chiedere un parere sull'alleanza con il Pd e la base grillina avesse risposto a grande maggioranza di sì. Alla luce di questo dietrofront di Di Maio, viene spontaneo chiedersi: ma quanto conta il parere della base? Viene ascoltato soltanto come strumento di ratifica di decisioni già prese altrove? La verità è che la piattaforma Rousseau serve solo per ammantare di democrazia processi decisionali assolutamente verticistici. Di Maio e soci cosa faranno adesso? Ascolteranno di nuovo la base per chiedere se sia d'accordo sulla rinuncia all'alleanza col Pd?
Altro segnale importante che arriva dall'esito delle elezioni umbre riguarda il mondo cattolico. L'egemonia cattocomunista storicamente solida a Perugia e dintorni sembra essere evaporata. Il voto bianco da sempre si è indirizzato verso i candidati eredi della tradizione socialista e comunista e anche questa volta è stato così. Ma questo blocco di elettorato vicino alla Chiesa umbra, che ha votato in modo compatto in favore del candidato sostenuto da PD e 5 Stelle, non è bastato ad evitargli una sonora sconfitta. Nelle elezioni di domenica scorsa il risultato finale conferma un consistente spostamento del voto moderato verso la destra, nonostante le pressioni esercitate da ampie fette di gerarchia ecclesiastica in favore del candidato di centrosinistra alla Presidenza della Regione Umbria. Uno degli alfieri principali di questa linea filo-sinistra è senz'altro il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia. Ma tra gli sconfitti nel voto umbro non ci sono solo i 5 Stelle e i cattocomunisti.
Anche Forza Italia, precipitando al 5%, si condanna ormai all'irrilevanza politica. Basti pensare che Fratelli d'Italia ha preso il doppio dei voti del partito berlusconiano e che i leghisti con il partito della Meloni avrebbero quasi il 50% per poter governare la regione Umbria senza gli azzurri. L'inesorabile erosione di consensi dal serbatoio di Forza Italia è la dimostrazione che nel centro-destra deve aprirsi una stagione nuova sul piano dei programmi e, soprattutto, della classe dirigente.