Di Canio fascista? L'ultima ipocrisia inglese
Apprezzato come calciatore, importanti successi da allenatore, viene ingaggiato dal Sunderland a rischio retrocessione. E scoppia il caso: il laburista David Milliband, dirigente della squadra, si dimette per incompatibilità politica. Ma è solo un pretesto.
Che Paolo di Canio, ex attaccante tra i migliori in Inghilterra, Scozia e Italia, avesse simpatie verso un fascismo "all’acqua di rose" era cosa risaputa, ben prima che David Milliband, direttore esecutivo del Sunderland – che ha appena messo sotto contratto l’ex allenatore del lo Swindon Town – decidesse di abbandonare la carica perché, a sua detta, Di Canio ha idee politiche intollerabili. Milliband, esponente laburista di spicco, ministro degli Esteri nel governo di Tony Blair, forse ricorda ancora quel saluto romano che il bomber dedicò alla curva il 6 gennaio 2005. Lazio – Roma, il derby della capitale, quando gli animi si infiammano sul campo e sugli spalti. Per chi non lo sapesse, Di Canio indossava la casacca bianco-celeste. Sullo 0 a 0, il centrocampista Liverani inventa un passaggio al bacio per Di Canio che al volo insacca nella porta della Lupa. Gesto tecnico di rara bellezza, che fa esplodere lo stadio, che zittisce la combriccola di Totti, di Mexes e di Panucci. I compagni di squadra lo festeggiano e lui, sotto la curva, mostra il saluto romano ai quattro venti. Braccio destro fiero, che si alza severo verso i tifosi che lo acclamano.
A fare le veci della madre punitiva ci pensò la Fifa, che commina a Di Canio una multa di 10 mila euro. Salata, certo, come quando gli sanzionarono una squalifica di 11 giornate per aver spintonato un arbitro inglese. Si può discutere sulla validità e sulle proporzioni delle sanzioni, sul rapporto tra tali vicende e la sua adesione al credo mussoliniano. Ma Paolo di Canio ha smentito ogni appartenenza politica. L'ex blu-celeste lo ha sempre affermato: «Il saluto romano è un gesto di vicinanza alla curva». Negli anni, Di Canio ha preso le distanze non soltanto dagli ultimi strascichi del fascismo – trascinati da Alessandra Mussolini – ma anche da chi, da destra, lo giustificava, come Silvio Berlusconi: «Paolo è un bravo ragazzo, non è fascista. È solo un po' esuberante». Di Canio, sempre sul saluto romano, disse: «Il mio gesto non è un gesto politico. Ribadisco che io non voglio offendere nessuno, perché non sono mai contro, ma a favore».
Per David Milliband, invece, la storia è diversa. Il direttore esecutivo del Sunderland, squadra a rischio retrocessione nella League One e fratello del leader labourista Ed, è laureato ad Oxford in Filosofia economica, ha un master in Scienze politiche al Massachussetts Institute of Technology, è sposato con una violinista e ha due figli. Saputo che il Sunderland aveva ingaggiato l’ex allenatore dello Swindon Town, che dalla seconda divisione è riuscito in breve tempo a raggiungere la prima serie, ha esordito con un comunicato stampa: «Auguro al Sunderland tutto il successo possibile. Tuttavia, alla luce delle affermazioni politiche espresse in passato dal nuovo allenatore, è giusto che io faccia un passo indietro». Scrosci di applausi da parte di molto del mondo perbenista anglosassone, che ha plaudito all’iniziativa di un uomo che, pur di preservare la propria coerenza ideale, ha rifiutato, di fatto, un contratto annuale da 75 mila sterline.
«Le accuse di fascismo? Sono cose patetiche e ridicole che non mettono in luce chi sia veramente Paolo Di Canio – reagisce l’ex calciatore romano –. Non voglio più parlare di politica per una sola ragione, perché non siedo in parlamento e non sono un politico, parlo solo di calcio». E di cose da discutere ce ne sono. Il Sunderland –squadra "operaia" dell'inghilterra lavotrice, decisamente "rossa" – è a 31 punti in classifica. A 30 punti scalpitano Aston Villa e Wigan (che però ha una partita in meno) e più sotto Qpr e Reading disperano dei loro 23 punti. Il Sunderland non vince da otto partite, e ne mancano sette alla fine del campionato. Insomma, la patata bollente è passata a Di Canio.
David Milliband ne sta uscendo come l’eroe del nuovo corso anglosassone: quello della giustizia, della coerenza un po’ radical chic. Anche i grandi giornali - Times, Independent, Guardian - scendono in campo per "investigare" su Di Canio "fascista". Ma la sua posizione si sta lentamente incrinando a fronte di nuovi sviluppi. Il 27 marzo un comunicato stampa dell’International Rescue Comittee, una associazione umanitaria leader in più di quaranta paesi per offrire aiuti ai rifugiati nei luoghi più compromessi, ha annunciato che Milliband, già segretario estero per la Gran Bretagna, sarebbe diventato presidente e CEO della struttura. Succederà a George Rupp, già rettore della Columbia University di New York. David Milliband adesso guadagnerà 400 mila dollari anno. Un bel passo avanti a fronte delle 75 mila sterline che si beccava a Sunderland. Che sacrificio difficile.
Insomma, tutta questa storia puzza tanto di ipocrisia, come anche la condanna del fascismo. Breve flashbach storico: nel 1927 Churchill ammise, davanti a un folto gruppo di giornalisti, di essere affascinato da Mussolini: «È evidente a chiunque che egli pensa soltanto al bene duraturo del popolo italiano. Se io fossi italiano, sarei stato con voi fin dal principio». E della stessa idea è rimasto fino alla seconda metà degli anni '30. È chiaro che, a quel tempo, i nemici di Churchill erano i bolscevichi, e la minaccia fascista era poca cosa. Ma oggi, chi è il nemico? Difficile vederlo in Di Canio, che in Inghilterra si è sempre fatto apprezzare sia come calciatore sia come allenatore. Jeremy Wray, presidente dello Swindon Town, ha dichiarato alla stampa: «È vero, Paolo ha convinzioni chiare e forti. E probabilmente ha un’opinione sull’opportunità per l’Italia di restare nell’euro, sui matrimoni gay e sulla tigre siberiana in via d’estinzione. Ma non penso che siano rilevanti per la salvezza del Sunderland». Ecco qual è l’unico nemico: la retrocessione.