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POLITICA

Democrazia avvilita, uno spettacolo penoso

Lo spettacolo offerto dai leader dei partiti dal 4 marzo è avvilente per tutti i cittadini. La democrazia italiana è avvilita da una classe politica che ogni volta si dice "deve cambiare", "è stata cambiata", ma che di fatto si rivela a ogni tornata elettorale peggiore di quella che è stata mandata a casa. 
 

Editoriali 06_05_2018

Ho aggiunto nei giorni scorsi il mio cordoglio per la morte di Alfie, individuando anche la mostruosa disumanità che lo ha sacrificato in nome di una vita congrua che sembrava non potesse vivere secondo i più terribili dettami dell’eugenetica anglo-nazista. È una eugenetica che rivive nel fondo di tanti atteggiamenti di questa Inghilterra che sembra destinarsi ad essere il luogo della maledizione umana.

Ho aggiunto il mio cordoglio anche se per carattere non sono tra quelle persone che manifestano il loro apporto attraverso gesti “figurativi” come il lancio di palloncini colorati, ne concepisco – per la mia sensibilità - gli interventi di uomini di Chiesa, quale sono anche io, che si limitano a trattare la problematica soltanto nel suo risvolto sentimentale.

Alfie pone una questione sostanziale al popolo. Al popolo umano, di questa società, ancora prima che al popolo cristiano. O per lo meno la pone ad entrambi con una certa forza e provocazione.

Gli adulti di questa società devono decidere: se assumersi la responsabilità di guidare consapevolmente la propria vita e di coinvolgere i propri figli e nipoti dentro questo cammino umano; o se mettersi in un angolo e guardare ostinatamente da un’altra parte mentre le generazioni si distruggono l’una dopo l’altra per mancanza di autentiche proposte di vita. Anche gli ultimi appelli di Papa Francesco ci ripropongono questa provocazione con forza.

La vicenda di Alfie, la sua drammaticità, dimostra che, nonostante tutto, il popolo di cui egli era figlio, nei più vari luoghi della terra, l’ha sentito come espressione di sé. Questo popolo non è ancora morto.

Un uomo di chiesa come me deve anzitutto avere a cuore che la Chiesa diventi un luogo di educazione per questo popolo superando la tentazione intellettualistica, soggettiva, spiritualistica di chiudersi nel privato della coscienza degli uomini per lanciare la sfida  all’uomo di questo tempo, come ha osato fare agli uomini di ogni tempo, mediante «una proposta alta di vita» come ci ricordava l’indimenticabile e indimenticato papa Benedetto. Una misura alta della vita, una misura in cui la ragione sia messa al centro del cammino umano e cerchi il senso ultimo delle cose e in cui il cuore possa realizzare i grandi desideri di cui parla Sant’Agostino. Soprattutto c’è bisogno di un popolo che, facendo un’esperienza di vita nuova e adeguata, la comunichi inesorabilmente con grande apertura e grande comprensione, a tutti gli uomini.

Non si può piangere soltanto, su queste vicende che dimostrano una disumanità dilagante. Essa deve essere contestata perché anche questa opposizione è parte importante dell’esperienza del popolo di Dio che sente in pericolo le dimensioni fondamentali del cuore umano.

Non mi voglio aggiungere alle geremiadi che si sono levate e si leveranno e che costituiscono comunque un aspetto positivo di vitalità del popolo di Dio.

Come uomo di Chiesa preferisco invece vivere e aiutare coloro che intendono accettare questa proposta, al fine di rinnovare in modo integrale la nostra vita e testimoniarla a tutti quelli che ci circondano.

Assumerci questa responsabilità è la cosa più matura a cui ci richiama Alfie; soltanto se la vivremo egli non sarà morto invano.


* Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio