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LA PRESUNTA FOTO COI MAFIOSI

Delrio nel tritacarne scopre la guerra con le procure

Che cosa c'è dietro l'esposto del ministro sulla presunta foto con 'ndranghetisti? Chi è l'inquirente amico del funzionario che avrebbe passato la notizia? Tra veleni e sospetti Delrio vuole costringere la procura a mostrare le carte. Perchè ormai le intercettazioni vengono usate per delineare scenari e rapporti di forza.

Politica 09_04_2016
La foto di Delrio a Cutro nel 2009

Il problema non è se il ministro Graziano Delrio sia stato fotografato in compagnia di mafiosi, ma per quale motivo un’intercettazione che è coperta da segreto istruttorio e si riferisce ad un terzo non coinvolto nelle indagini venga data in pasto ai giornali con l'obiettivo di destabilizzare uno status quo o quantomeno di dettare l’agenda politica.

Il sistema di indignazione popolare e di sospetto collettivo ha raggiunto livelli tali che ormai le intercettazioni non servono neppure più per far cadere ministri, ma solo per dettare i titoli di giornata, per modificare i rapporti di forza dentro un esecutivo e delineare gli equilibri di tenuta del governo in attesa della prossima ondata.

Facciamo un passo indietro per comprendere per quale motivo improvvisamente l’attuale titolare delle Infrastrutture sia associato a misteriosi mafiosi che si sarebbero fatti fotografare con lui. La spiegazione data da Delrio a Repubblica ieri è vera, e cioè che nel 2009 l’allora sindaco di Reggio Emilia si recò a Cutro, provincia di Crotone, e lì si fece fotografare con il sindaco Migale e il Santo Crocifisso alle spalle, statua lignea che nella cittadina calabrese rappresenta molto più che una devozione, ma un vero e proprio culto vissuto da una cittadinanza che si ripopola per l’occasione ogni 4 anni in cui la statua viene portata in processione.

Dunque, se nell’ambito di quella visita istituzionale, avvenuta perché Cutro è gemellata con Reggio Emilia, Delrio abbia stretto mani insanguinate o imbarazzanti, non può certo saperlo lui, che all’epoca era solo sindaco e non poteva girare con il casellario giudiziale appresso. Quindi, anche ammesso che ci sia qualche fantomatico carabiniere che abbia un dossier con foto compromettenti, esse mostrerebbero né più né meno che un Delrio ospite d’onore di una festa paesana. Poteva non sapere? In questo caso, non è cool giornalisticamente, ma pazienza: sì. A patto che non si dimostri il bacio, rato, consumato e gaudente, tra Andreotti e Riina, tutto diventa opinabile e interpretabile. E capzioso se vuoi dimostrare cose che l’evidenza non mostra affatto.

Il problema è semmai perché, come teme Delrio, ci sia un pezzo di Stato che sta dando la caccia ad un altro pezzo di Stato alimentando le più oscure dietrologie e le più ridicole costruzioni cospirazioniste, che non fanno altro che spostare l’attenzione da un tema all’altro e a questo punto da un ministro all’altro. Siamo alle inchieste ad assetto variabile: partiti sospettando le peggio cose del ministro Guidi, adesso ce la ritroviamo parte lesa, mentre si tenta di sospettare di un altro ministro, Delrio, che si scopre essere antipatico alla Guidi tanto che lui stesso chiama i suoi vicini “comitato d’affari”.

Quella del “chissà quanti mani avrò stretto” era una giustificazione latente che lo stesso Delrio ha sempre esibito quando il tema di quella visita a Cutro veniva tirato fuori pubblicamente. D’altra parte questa è una motivazione che a Reggio Emilia è sempre stata tenuta in considerazione quando esplose lo “scandalo” dei viaggi elettorali a Cutro. Perché ci sono almeno due fattori che la stampa nazionale ha evitato di ricordare in questa polemica, ma che sono indispensabili per comprendere per quale motivo il Ministro abbia deciso di presentare un esposto in Procura sul misterioso dossier.

Il lettore deve sapere infatti, questo Delrio nell’intervista non l’ha detto, ciò che a Reggio Emilia ormai sanno anche i sassi: quella visita a Cutro del 2009 venne fatta in piena campagna elettorale. E con Delrio, ricandidato alla riconferma elettorale come sindaco bis di Reggio Emilia, c’erano anche altri candidati sindaco dell’imminente tornata elettorale, dall’azzurro Fabio Filippi alla ex sindaca di Reggio Antonella Spaggiari. Solo il candidato del movimento Cinque Stelle, Matteo Olivieri e quello della Lega Angelo Alessandri non ci andarono perché denunciarono subito la cosa come sgradevole tentativo di chiedere voti alla comunità cutrese.

Ma perché ai candidati sindaci interessava così tanto mantenere rapporti con la comunità cutrese perfino gemellata con la città del Tricolore? Perché, e anche questo le cronache di questi giorni non l’hanno detto, a Reggio Emilia e provincia è presente da 30 anni una nutritissima comunità cutrese. Così nutrita che gli ionici negli anni del boom dell’edilizia hanno potuto costruire mezza Reggio diventando da semplici manovali chiamati dalle coop rosse, prima padroncini e poi imprenditori del mattone così organizzati da avere addirittura una loro associazione di categoria che ne curava gli interessi.

Una vera e propria potenza, capace di costruirsi anche interi quartieri e di viverci indisturbata. E' il caso di Cutrello, il quartiere nel comune di Brescello, famoso un tempo per essere il paese di Peppone e don Camillo e oggi per i sospetti di infiltrazione ‘ndranghetista che hanno portato alle dimissioni il sindaco, il quale non è però indagato affatto.

Potere e business, dunque. Condizioni ideali per far attecchire la mala pianta della malavita. Che infatti a Reggio Emilia e province limitrofe è cresciuta senza bisogno di sparare un colpo in aria, ma contando su appalti, lavori, amicizie e soldi. Tanti. E’ quanto si sta incaricando di dimostrare l’inchiesta Aemilia, che è esplosa il 28 gennaio 2015 con l’arresto di 115 tra imprenditori, giornalisti, politici e faccendieri nelle province di Reggio, Parma, Modena, Bologna e Mantova, e che ora sta entrando nel vivo con le sentenze per i processi con rito abbreviato e l’inizio del dibattimento ordinario nell’aula bunker allestita presso il tribunale di Reggio.

L’inchiesta ha svelato l’intreccio di imprenditori cutresi accusati di estorsione, minacce e associazione di stampo mafioso. Un mondo di mezzo che ha cercato sponde anche nella politica. Politica a Reggio che è rossa, ma non ci sono esponenti del Pd ad oggi a processo. Il mondo in questione è entrato in crisi, lo si evince dalla documentazione agli atti, a causa delle numerose interdittive antimafia che il prefetto di Reggio Antonella De Miro ha emanato nel 2012 ai danni delle aziende cutresi, che così non potevano partecipare agli appalti pubblici con quella facilità con la quale potevano partecipare prima.

Proprio nel complesso reticolato di reazioni di fronte a quelle interdittive antimafia Delrio era stato ascoltato dalla Dda di Bologna come persona informata dei fatti. Era successo che infatti come sindaco di Reggio avesse accompagnato tre consiglieri comunali cutresi, due del Pd e uno di Forza Italia, per spiegare al prefetto che la comunità cutrese era composta da persone integerrime e che non c’entrava nulla con il malaffare che le interdittive facevano emergere e che poi l’indagine Aemilia si incaricò di certificare qualche tempo dopo. E che dunque non andava criminalizzata.

Nel corso di quell’audizione venne così chiesto a Delrio la natura di quel viaggio a Cutro. Viaggio che non piacque al procuratore nazionale antimafia Franco Roberti il quale, parlandone in un convegno, aveva stigmatizzato l’abitudine di andare al sud a cercare voti in contesti poco chiari. Ma Delrio seppe sempre svincolarsi da quel giudizio perché in fondo lui era sindaco e quello un viaggio istituzionale.

Però ebbe un po’ di difficoltà quando i magistrati gli chiesero se sapesse che a Cutro il boss dei boss è quel Nicolino Grande Aracri il cui nome sanno tutti a Reggio e che gira non solo nelle informative di polizia. Delrio si fece cogliere impreparato: “Sì..so chi è…ma non sapevo che fosse di Cutro”, disse mostrando un tentennamento e un’approssimazione – notò il Fatto Quotidiano - su un fenomeno che avrebbe dovuto conoscere invece molto meglio, se non altro perché proprio con lui sindaco venne commissionato il primo studio sulla Mafia a Reggio dove l'esperto Enzo Ciconte parlava proprio di come a Reggio prosperasse un clan dipendente dai Grande Aracri. Ma tant’è. Va detto che Delrio non è indagato né in Aemilia né nell’inchiesta di Potenza. Ciononostante non si comprende come il suo nome ritorni con questa frequenza. Chi è il misterioso inquirente amico del funzionario del ministero della Guidi che gli avrebbe passato la notizia? E' un bluff di qualche millantatore che vuole collezionare spregiudicatamente notizie di stampa e false dritte di fonti farlocche? Oppure c’è qualche cosa di più?

Un messaggio trasversale lanciato da una procura “suocera” perché il governo “nuora” intenda? Quel che è sicuro è che se quel dossier dovesse esistere, l’unica sede deputata per farlo emergere sono i due processi di Reggio e di Bologna dove la giustizia sta processando i vertici della cupola calabrese che ha dominato in Emilia per un ventennio. Però Delrio sa di non farsi illusioni: ormai non importa essere indagati o no. Se il nemico ti ascolta si rischia sempre grosso. Il problema, e su questo il ministro ha più di una ragione, è se il “nemico” è una parte dello Stato. Ecco perché la sua prima misura non è stata quella di indignarsi con Repubblica, ma di costringere i magistrati a darsi da fare per cercare le carte in una posizione per lui insolita visto il suo proverbiale understatement e il profilo basso che ha sempre contraddistinto la sua azione politica.