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ABORTO

Decreto Zingaretti, un assalto alla libertà dei medici

Il commissario alla sanità del Lazio, Nicola Zingaretti, con il suo decreto tira una spallata all'obiezione di coscienza dei medici. Giuristi per la Vita e Pro Vita Onlus impugnano presso il Tar del Lazio.

Vita e bioetica 03_08_2014
Zingaretti

L’obiezione di coscienza in tema di interruzione volontaria della gravidanza continua a rappresentare la vera bête noire della potente lobby abortista. Gli attacchi giungono da tutti i livelli anche in Italia. Ne è un caso il decreto emanato dal Presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, nella sua qualità di Commissario ad acta per la sanità della medesima regione. Già il titolo di quel provvedimento manifesta il consueto velo di pelosa ipocrisia che usualmente ammanta gli atti giuridici in tema di aborto. Basta leggere: «Rete per la Salute della Donna, della Coppia e del Bambino: ridefinizione e riordino delle funzioni e delle attività dei Consultori Familiari regionali». Il grado di ipocrisia non è molto dissimile dall’incipit del titolo della stessa legge 194/78, quella che regola la procedura di aborto in Italia: «Legge per la tutela sociale della maternità (…)».

Del resto, il fenomeno è conosciuto nella storia dell’umanità: si autorizzano i crimini senza avere il coraggio di chiamarli per nome. Cosa dice, comunque, il decreto Zingaretti è presto detto. Si stabilisce che il personale obiettore operante nei consultori familiari, pur non essendo coinvolto materialmente nella pratica dell’aborto, è in ogni caso obbligato a partecipare alla redazione delle certificazioni e delle autorizzazioni che la precedono. Già questa disposizione contrasta palesemente l’art. 9 della stessa Legge 194, il quale stabilisce che «il personale sanitario non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 (dove per l’appunto si disciplina il processo di certificazione e autorizzazione che precede l’aborto stesso) e agli interventi per l’interruzione della gravidanza, qualora sollevi obiezione di coscienza». Inoltre, lo stesso decreto Zingaretti prevede che il personale medico obiettore dei consultori sia tenuto alla prescrizione di “contraccettivi” ormonali, anche post-coitali (leggi: varie pillole abortive) e all’applicazione di sistemi meccanici, quali la spirale anch’essa abortiva. Anche in questo caso il contrasto con il citato art. 9 appare eclatante. A tutto ciò aggiungiamo che gli ultimi dati ufficiali a disposizione ci mostrano una situazione di fatto che contrasta con l’asserita esigenza di affrontare il problema di un eccessivo numero di medici obiettori. Nella regione Lazio, infatti, il ritmo di lavoro è pari a quattro aborti a settimana, considerando quarantaquattro settimane lavorative, per ciascun medico non obiettore. Si tratta, quindi, di un fenomeno assolutamente limitato. In più si può aggiungere che in caso vi fosse davvero un’esigenza – cosa che non corrisponde all’attuale realtà – nulla vieterebbe ai responsabili delle strutture sanitarie di ricorrere all’istituto della mobilità. Il regime normati della Legge 194, infatti, lo consentirebbe.

Per questi ed altri motivi i Giuristi per la Vita e l’associazione Pro Vita Onlus hanno deciso di impugnare il decreto Zingaretti dinanzi al T.A.R. Lazio, chiedendo la sospensione cautelare dello stesso provvedimento. Si tratta, infatti, di un gravissimo attacco ad un principio di civiltà qual è l’obiezione di coscienza in tema di soppressione di una vita umana. Tocchiamo uno dei punti più alti della civiltà umana, che la contraddistinguono da quella animale. Questo principio era, peraltro, assai evidente nell’antico giuramento di Ippocrate, quello che i medici pronunciavano invocando Apollo, Asclepio, Igea, Panacea e tutti gli dei e le dee. In quel testo, infatti, coloro che si votavano alla professione di Esculapio giuravano di non somministrare mai un farmaco mortale (φάρμακον θανάσιμον), neppure se richiesto (οὐδενὶ αἰτηθεὶς), e soprattutto si impegnavano solennemente a non dare a nessuna donna un medicinale abortivo (οὐδὲ γυναικὶ πεσσὸν φθόριον δώσω). Era il IV Secolo avanti Cristo. Da allora di secoli ne sono trascorsi ventiquattro, duemilaquattrocento anni, ma l’uomo contemporaneo, in quel campo, non pare aver dimostrando di essere più saggio. Anzi.

Per comprendere, comunque, la gravità del decreto Zingaretti basta considerare che tra le varie violazioni di legge contestate nel ricorso presentato dai Giuristi per la Vita e Pro Vita Onlus vi sono quelle dell’art. 18 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo; dell’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; dell’art. 10 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; degli artt. 2, 3, 19, 21, 32, 33, 41 della Costituzione italiana; degli artt. 1, 2, 3 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; degli artt. 1, 13 e 14 della legge 24 febbraio 2004, n. 40; dell’art. 2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali; degli artt. 1, 4, 5, 8, 12 e 14 della legge 22 maggio 1978, n. 194; degli artt. 2, 4, 13, 22 e 68 del codice deontologico del medico.

Il 12 gennaio 2012, Nicola Zingaretti, all’epoca Presidente della Provincia di Roma, partecipò all’udienza dell’allora Pontefice Benedetto XVI, e alla presenza del Papa, dopo averlo pubblicamente ringraziato, ha affermato: «Santità, il Suo messaggio ci spinge ad avere più coraggio». Perché il decreto che ora ha emesso si pone in netta contraddizione con quella affermazione? Ci sono tre risposte possibili a questa domanda. La prima è che Zingaretti non aveva capito il messaggio del Papa, anche se ciò appare strano per due ragioni: Zingaretti è un uomo intelligente, e di Benedetto XVI tutto si può dire tranne che non sia mai stato chiaro. La seconda risposta è che Zingaretti ha ceduto al cinico opportunismo della politique politicienne, e ciò sarebbe davvero molto triste. La terza è che Zingaretti in questi due anni ha semplicemente cambiato idea. Sarebbe interessante sapere quale delle tre risposte è quella giusta.