Davigo condannato, manettari costretti a fare i garantisti
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Piercamillo Davigo, il pm di Mani Pulite, condannato a un anno e tre mesi in primo grado, dal tribunale di Brescia. Ora ricorrerà in appello ed è innocente fino a eventuale condanna definitiva. Pare il contrappasso per il magistrato secondo cui "non esistono innocenti" e i suoi numerosi epigoni.
Colui che diceva che “non esistono innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca” dovrà concludere amaramente che, quando parlava così, si riferiva anche a se stesso. Si tratta solo di una sentenza di primo grado, quindi in uno Stato di diritto Piercamillo Davigo è innocente. Tuttavia, il verdetto pronunciato dal Tribunale di Brescia nei confronti dell’ex pm di Mani pulite ed editorialista del Fatto Quotidiano ha un alto valore simbolico e infligge un colpo durissimo al partito dei “manettari”, che godono per ogni avviso di garanzia o rinvio a giudizio o condanna. Davigo nei giorni scorsi è stato condannato a un anno e tre mesi (con sospensione della pena) per rivelazione del segreto d’ufficio e a risarcire con ventimila euro il collega Sebastiano Ardita, ora procuratore aggiunto a Messina.
Dopo oltre un anno di udienze i giudici di Brescia hanno concluso che Davigo non aveva alcuna immunità particolare e non poteva rivelare a terzi il contenuto dei verbali delle dichiarazioni dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara su una presunta loggia Ungheria. Amara fece ben 64 nomi di appartenenti alla loggia: magistrati, alti ufficiali della polizia, prelati e imprenditori. Ungheria sarebbe una super loggia coperta in grado di interferire sulle funzioni di organi di rango costituzionale e di condizionarne l’operato, asservendolo agli interessi dell’organizzazione e dei suoi appartenenti occulti.
Una volta entrato in possesso delle carte, Davigo avvisò del loro contenuto ben 11 persone, dentro e fuori il Consiglio superiore della magistratura, forse per screditare Ardita, che era uno di quei 64. La vicenda è torbida e siamo solo al primo grado, quindi sarebbe azzardato trarre conclusioni colpevoliste. Peraltro gli avvocati di Davigo hanno già annunciato ricorso in appello. Tuttavia, la questione cruciale è un’altra.
Lo scherzo del destino è stato che la sua condanna è arrivata proprio il giorno in cui il Senato ha commemorato Silvio Berlusconi, che ha condotto per anni una battaglia contro gli abusi di certa magistratura militante e ideologizzata. La presunzione di innocenza, che per decenni magistrati come Davigo e giornalisti complici delle toghe hanno fatto a pezzi con giustizia sommaria e processi mediatici, ora viene invocata proprio da loro di fronte a un verdetto che reputano ingiusto. Sono le beffarde vendette della storia.
Peraltro, proprio in queste ore, è uscito da un incubo anche l’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, assolto definitivamente dopo un calvario giudiziario durato anni (4 processi) e dopo una condanna a 7 anni per turbativa d’asta per la manutenzione di due piscine comunali. Tutti segnali che dovrebbero indurre a più miti consigli i giustizialisti animati da un perenne furore iconoclasta nei confronti dei politici e dei pubblici amministratori.
Tangentopoli in questo ha rappresentato un momento buio della storia dei rapporti tra magistratura e altri poteri, perché ha sublimato il giustizialismo come metodo di conduzione delle indagini e di esercizio della cronaca giudiziaria. Il suicidio del parlamentare socialista Sergio Moroni rappresentò uno degli esempi più drammatici di come si possa distruggere la dignità di una persona con un’inchiesta condotta in modo spregiudicato e autoritario. Peraltro, in quella circostanza, fu proprio Davigo a commentare: “È un episodio che sul piano umano non può che colpire, ci mancherebbe altro che qualcuno fosse contento di quello che è accaduto. Ma non vedo perché dovrebbe cambiare il metodo dell’indagine… Le conseguenze dei reati ricadono su chi li ha commessi”. Anche di recente - va ricordato - l’ex pm di Mani pulite difese quelle sue parole di oltre trent’anni fa.
Non c’è ovviamente alcun motivo di gioire della condanna di Davigo, anche perché le trame oscure che riguardano il caso della presunta loggia Ungheria gettano ancora una volta una luce tetra sui rapporti tra poteri nel nostro Paese e alimentano fondati dubbi sulla neutralità della magistratura e sul corretto equilibrio tra poteri dello Stato. Però l’auspicio che i moralizzatori come Davigo possano comprendere quanto sia sbagliato dare lezioni di moralità agli altri appare più che mai un auspicio di buon senso. E la condanna pronunciata dal Tribunale di Brescia potrebbe forse indurre qualcuno, anche tra i giornalisti, a rimettersi in discussione e a rivedere le sue posizioni, magari chiedendo scusa.