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Danesi in cura dimagrante per ingrassare lo Stato

Introdotta una nuova tassa sui grassi saturi, ritenuti responsabili di malattie. Tutti d'accordo: così l'allarmismo rende tassati e felici.

Attualità 10_10_2011
mega-panino

Come introdurre una nuova tassa, trovando immediatamente il parere favorevole dei massmedia e della maggioranza dei cittadini? Ci è riuscito il nuovo governo di coalizione danese che, facendo leva sulle informazioni allarmistiche che da tempo imperversano ovunque, denunciando i danni procurati dal colesterolo, ha introdotto, dal 1 di ottobre, una “fat tax” che colpisce appunto i grassi. E adesso i danesi stanno sperimentando nuovi piatti a base di verdure, non certo per un improvviso slancio salutare, bensí per ritrovarsi con qualche corona in piú nel portafogli.

La Danimarca è così la prima nazione al mondo – e forse non l’ultima – ad applicare una tassa sui grassi saturi, accusati di aumentare il livello di colesterolo e di contribuire pertanto alla diffusione delle malattie cardiovascolari. Vuoi ingrassare? Nessun problema, ma dovrai pagarne letteralmente le conseguenze.

Su cibi precotti, pizza, burro, margarina e altri prodotti caseari che contengono piú del 2,3% di grassi saturi è infatti scattato un sovrapprezzo di 16 corone (2,15 euro) al chilo. In base ai dati forniti dall’ufficio di statistica, ciò significa che una confezione di burro danese da 250 grammi costerà non piú 15,50 corone (2,08 euro) bensí 18,10 (2,43 euro) e un litro d’olio d’oliva salirà da 38,95 (5,23 euro) a 41,60 (5,59 euro). In sostanza, per fare la spesa una famiglia media dovrà sborsare circa mille corone in piú all’anno, l’equivalente di 134 euro. Ed è per questo che negli ultimi giorni di settembre i danesi hanno preso d’assalto i supermercati, costringendo i gestori a rifornirsi di tonnellate di burro e margarina per reggere all’esplosione della domanda da parte di chi voleva riempirsi il congelatore.

La crociata antiobesità del governo danese ha un doppio obiettivo. Anzitutto ridurre i costi della sanità: secondo uno studio dell’OCSE una persona obesa comporta costi superiori del 25% rispetto a una persona di peso normale e l’obesità conta per l’1-3% sulla spesa sanitaria nazionale, un dato che schizza al 5-10% negli Stati Uniti. I danesi sono tuttavia ancora lontani dagli indici statunitensi: il 52% degli uomini e il 38% delle donne danesi sono in sovrappeso contro il 72% degli uomini e il 64% delle donne negli USA.

L’obiettivo di Copenaghen è infatti anche un altro: rimpinguare le casse dello Stato. La “fat tax” assicurerà entrate extra per 200 milioni di euro all’anno. L’industria e i commercianti sono però sul piede di guerra. Il sistema non ha solo costretto i supermercati a riprezzare nel giro di una notte migliaia di confezioni, ma rischia anche di distorcere la concorrenza, visto che i produttori danesi avranno costi piú elevati rispetto a quelli stranieri. Alcuni stanno pensando di trasferire la produzione all’estero. I consumatori, dal canto loro, hanno cominciato a fare la spesa in Svezia, dove i prodotti grassi sono diventati improvvisamente a buon mercato, ma anche al di là dello stretto, gli svedesi stanno soppesando l’opportunità di introdurre un’altra tassa: quella sullo zucchero. Tutto per far dimagrire i cittadini o per fare cassa?