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EX NO GLOBAL

Dalla zona rossa all'auto blu: Tsipras ha fatto scuola

Alex Tsipras è in Italia per incontrare il collega Renzi. Idolo della sinistra antagonista, Tsipras in Italia c’era già stato nel 2001, quando voleva partecipare al G8 di Genova con i no global. Venne bloccato ed espulso. Una bella rivincita per il premier greco passato dalla zona rossa all’auto blu di Stato. E non è il solo. 

Politica 04_02_2015
Il premier greco Alexis Tsipras

La prima volta che è sbarcato in Italia è andato al mare. Quello di Ancona, mica in Costa Azzurra, del resto pure lui non portava camicia bianca e il doppiopetto, ma una più comoda felpa nera e jeans stracciati. Succedeva 14 anni fa: Naomi Klein non s’era ancora pentita delle sue stupidaggini sulla globalizzazione, al governo c’erano Berlusconi e Fini e lui voleva a ogni costo essere tra gli scalmanati che per due giorni misero a ferro e fuoco la città della Lanterna. Non ci arrivò mai: fu beccato dalla polizia appena sceso dal traghetto ad Ancona, e rimandato a casa con foglio di via insieme a una masnada di no global di Atene.

Cappellino sul viso, bandana rossa al collo e maglietta di Che Guevara, il giovane Alexis Tsipras arrivò in Italia il 19 luglio a bordo del Bluye Star Ferries proveniente da Patrasso. Dei 900 greci che arrivarono,135 furono respinti e tra questi c'era anche l'attuale premier greco. Oggi Alexis è tornato in Italia, a Roma in visita ufficiale: da premier di un Paese allo sbando, simbolo della lotta alle superpotenze politiche e finanziarie, la mitica Troika (Banca europea, Fondo monetario e Commissione europea) affamatrice di popoli. 

Dalla zona rossa interdetta alla piazza all’auto blu di Stato: una bella soddisfazione per Alexis che voleva rovesciare i potenti dai troni per metterci il popolo dei senza diritti. Quello che in Italia allora era rappresentato dai Vittorio Agnoletto, i Luca Casarin, i Francesco Caruso e compagni della seconda fila dei centri sociali. Più a loro agio a menare mani e bastoni che a spiegarsi con il pensiero e le parole. Che fine hanno fatto? Candidati da Rifondazione comunista, i “no-logo” finirono quasi tutti per diventare “no-party”: sonoramente trombati dalle masse, come tutta la sinistra ribellista e antagonista. Dei protagonisti del G8 Genova si sono da tempo perse le tracce e anche il movimento mondiale, che debuttò a Seattle quando i Grandi si ritrovarono per la prima volta, è svanito nelle nebbie della primavera obamiana.

I più sono tornati a farsi gli affari loro, qualcuno ha aperto un ristorante vegan, altri boutique di lusso di cibi macrobiotici per le sciurette dell’upper class metropolitana e modaiola. Non tutti, però. Addio Porto Alegre e Occupy Wall Street: a loro bastava anche il Comune e qualche posto in giunta. Perché a dire sempre no si perde, come ammette la pentita Kleim e poi: è sempre meglio entrare che stare fuori dalla porta e che ogni lasciata è persa.

«Se ai tempi mi avessero detto che Giuliano Pisapia sarebbe diventato sindaco e io consigliere comunale, avrei chiamato la neurodeliri». E invece è accaduto. Parola di Mirko Mazzali, “avvocato dei centri sociali” che deve la sua fama ai processi ai  no global del G8, difensore a tempo pieno di immigrati clandestini e abusivi delle Aler , adesso siede felicemente ìnel consiglio comunale di Milano, eletto nella lista arancione di Giuliano Pisapia, l’avvocato rifondarolo diventato sindaco. ?Mica una mosca bianca: con lui, il neosindaco ha portato in giunta Daniela Benelli di Sel e Cristina Tajani, 32 anni, ricercatrice della Cgil vicina ai movimenti dei precari. Entrambi, alla rivoluzione antiglobal hanno sostituito le meno rischiose scaramucce con il ministro Alfano sui nuovi diritti gender e gay.

Viene dall’area antagonista anche Daniele Farina, leader storico del Leoncavallo di Milano, la madre, anzi, la nonna, di tutti i centri sociali italiani. Farina ha un curriculum di tutto rispetto: condannato per «fabbricazione, detenzione e porto abusivo di ordigni esplosivi, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi». Da consigliere comunale di Rifondazione è salito poi fino agli scranni di Montecitorio: rivoluzionario con stipendio fisso e pensione prepagata. Qualche mese fa ha fatto parlare di sé, fumandosi una canna nell’area fumatori della Camera; della sua attività da parlamentare altro non si sa.  A Milano è coordinatore del Sel e ha convinto Pisapia a dare al Leoncavallo lo status municipale di istituzione di “interesse pubblico”.  Presto arriveranno anche i soldi. 

Stessa musica a Napoli: a Palazzo San Giacomo, insieme a Luigi De Magistris è arrivato Pietro Rinaldi, protagonista storico dell’antagonismo partenopeo. Pure lui, come Farina e la Tajani, era a Genova a far casino contro Bush. E se Pisapia dice che nella caserma Diaz di Genova «sono stati massacrati non solo corpi, ma anche anime, speranze e utopie», Rinaldi è meno catastrofico, perché quelle speranze non sono morte: «Non ce ne siamo mai andati, abbiamo continuato a lavorare sul territorio». E mica se ne vergognano, anzi. Rivendicano con orgoglio il volteggio della gabbana e il diritto alla passerella sul red carpet istituzionale. 

A Milano e Napoli i movimenti hanno fumato il calumet della pace con lo Stato e trovato comoda posizione nelle istituzioni. Gli ex giottini ora rivestiti d'arancione o con i gai colori dell'arcobaleno hanno imparato ad attendere e la loro pazienza è stata premiata. E chissenefrega se dopo aver urlato contro le “politiche securitarie e poliziesche” oggi a Napoli sono nel governo di un ex magistrato tra i più “polizieschi” e manettari d’Italia. Effetti del melting pop antagonista e ideologico. Magnifico e furbesco maquillage, indispensabile per far digerire ai compagni esclusi dalla torta comunale rospi grossi come tapiri. Il pentito Tsipras insegna: la rivoluzione non russa, però a volte è bene che si prenda una lunga vacanza.