Dalla mucca al "cavallo pazzo", i conti non tornano
Lo scandalo della carne equina in Gran Bretagna - che immediatamente ha varcato la Manica suscitando apprensione in tutta Europa e scatenando controlli, perquisizioni in buona parte del Continente, Italia compresa - ha degli aspetti poco chiari.
Il bardo di Stratford on Avon, William Shakespeare, molti secoli fa aveva scritto “molto rumore per nulla”. Una locuzione molto fortunata e che in questi giorni sembrerebbe davvero appropriata per commentare l’”Horsegate”, lo scandalo della carne equina in Gran Bretagna che immediatamente ha varcato la Manica suscitando apprensione in tutta Europa e scatenando controlli, perquisizioni, in buona parte del Continente, Italia compresa.
Tutto è cominciato quando a metà gennaio la Food safety authority ha effettuato dei controlli di routine sugli hamburger surgelati venduti da Tesco e Lidl in Irlanda e Gran Bretagna. Gli hamburger controllati provenivano dalla Silvercrest foods ed è stato dimostrato che contenevano carne equina al 60/70 per cento, e non bovina come segnalato sulla confezione.
Tutti ritirati dal mercato, hanno poi innescato una catena di dubbi su altre marche.
Burger King non ha neppure aspettato che fossero effettuati test sui propri prodotti e ha confessato sua sponte che, in alcuni controlli, erano risultate presenti tracce di carne equina. Per molti punti vendita, infatti, Burger King ha in comune lo stesso produttore coinvolto nell’affare Tesco, la Silvercrest foods.
È venuto poi il turno della Findus, nella sua divisione inglese, e delle lasagne surgelate. Il ragù contenuto in queste porzioni è di carne equina fino al 90 per cento, e così anche in altri prodotti surgelati a base di carne. In questo caso la Findus ha incolpato un’azienda francese, la Comigel, da cui importa le lasagne già pronte, e che, a sua volta, si è difesa scaricando l’errore su altri, in particolare su un’azienda di macellazione in Polonia. Dal momento poi che l’agenda dei controlli sanitari da tempo in Europa e in Occidente è dettata dai media e non dalle autorità preposte, come si diceva è partito l’allarme per ogni dove, con esiti – a partire dall’Italia - tranquillizzanti.
Tranquillizzanti anche per un motivo importante che è stato largamente sottaciuto: la carne di cavallo non è dannosa. La truffa – ammesso e non concesso che tale ci sia stata - dipendeva dal fatto che fosse stata dichiarata carne di manzo, anziché equina. È ciò che la giurisprudenza specifica definisce “aliud pro alio”: vendo qualcosa per qualcos’altro. Ciò può avvenire ad esempio per certi tipi di pesce, dove spaccio per sogliola ciò che è altro, e magari di valore inferiore da un pusto di vista commerciale. Qui tuttavia, dati i costi della carne equina, non c’era un illecito vantaggio nell’usare questo di alimento in luogo della carne bovina.
Dunque? Si potrebbe pensare all’errore, a sviste nelle forniture. Il che non è certamente accettabile in un sistema di dettagliati controlli come quello alimentare e nutrizionale, ma che tuttavia fa sembrare le reazioni accadute decisamente sproporzionate. In primo luogo perché non c’è mai stata alcuna minaccia per la salute pubblica. Mangiare carne di cavallo non fa ammalare. Non c’è stata sofisticazione, non c’è stato danno per la salute umana. Niente “mucca pazza”, insomma.
Tuttavia, proprio a partire dal problema dell’encefalopatia spongiforme che esplose una decina di anni fa, per arrivare poi all’influenza dei polli, l’aviaria, fino a quella dei suini, la minaccia di virus che si diffondono attraverso gli alimenti fa sempre paura e ha il suo notevole impatto sull’opinione pubblica. Non è una paura infondata: ogni anno le malattie a trasmissione alimentare colpiscono nel mondo milioni di persone. Nell’emisfero meridionale Tifo, Colera, Epatite A mietono numerosissime vittime. Nell’opulento Occidente ci sono invece tutta una serie di virus gastrointestinali a causare problemi di minore gravità ma che incidono non poco sulle spese sanitarie, oltre a causare disagi a chi ne soffre, specie se in età pediatrica.
I sistemi sanitari si sono specializzati nella vigilanza e controllo degli alimenti, in particolare nell’ambito della ristorazione pubblica, dal momento che in occidente ormai la maggior parte dei pasti, dall’età scolastica fino a quella adulta e lavorativa, si consumano in luoghi pubblici: mense, refettori scolastici, bar, ristoranti di vario tipo e genere. Tuttavia i dati epidemiologici ci dicono che la maggior parte dei casi di patologie gastroenteriche ha come origine un pasto consumato a casa. Qui l’origine del problema può essere dovuta a disattenzione nella conservazione in frigo o nel freezer, nell’osservanza delle date di scadenza, nella manipolazione e preparazione dei cibi. Questo è anche uno dei motivi dello scalpore del caso in Gran Bretagna, visto che le famiglie inglesi ricorrono ai surgelati sei giorni su sette.
Non potersi più fidare di ciò che si compra al supermercato ha un impatto psicologico notevole. Lo si è già visto negli anni scorsi con le malattie sopracitate, e con le epidemie-fantasma che avevano come principale effetto il crollo del consumo di certi alimenti, come il pollo, e la corsa all’acquisto di determinati farmaci anti-virali o di vaccinazioni.
Non si potrebbe quindi del tutto escludere che in questo “horsegate” inglese ed europeo ci siano strane manovre. C’è chi sospetta una guerra commerciale senza esclusioni di colpi, per cui certe campagne di stampa vengono innescate ad arte, magari per danneggiare un concorrente, costringendo magari a ritirare dal mercato merce per un valore di milioni di euro.
Da segnalare, infine, che l’horsegate non poteva che deflagrare con questa intensità proprio in Gran Bretagna e in Irlanda, paesi dove il cavalo è un animale sacro e intoccabile da secoli. Un retaggio dell’antica cultura celtica, dove esisteva anche una dea dei cavalli, Epona, e dove i guerrieri assediati dalle legioni romane, in Gallia, preferivano morire di fame che cibarsi dei loro amici a quattro zampe, come ci racconta cesare, che in tempi più recenti si è trasformato in cultura animalista. Va bene tutto, in una delle società più relativiste e permissive, ma non macellare gli adorati cavallini.
Chi scrive, peraltro, è egli stesso un amante di questo che è forse il più nobile degli animali, e trova che per fini nutrizionali sia più opportuno rivolgersi ad altre specie, ma non si può non guardare sempre con sospetto ad eccessive “sacralizzazioni” della natura e del mondo animale, magari a scapito dei diritti degli esseri umani, davanti a quali – specie i più deboli ed indifesi - occorre sentire simpatia, solidarietà e il dovere di proteggerli e difenderli.