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CONTROCORRENTE

Dalla inkultura del '68 la via al conformismo

Le affermazioni “politicamente corrette” restano le più diffuse ed evidenti, in ragione del fatto che costituiscono il verbo quotidiano delle persone che hanno una maggiore capacità comunicativa.

Creato 06_10_2017

Ormai dire che il riscaldamento globale sia causato dalle attività antropiche è atteggiamento comune, che fa parte della posizione di buona parte dell’opinione pubblica: della complessiva, irrazionale, acritica e non ponderata adesione a quella corrente di pensiero (?!) che viene definita “mainstream”, che in italiano potremmo chiamare “del conformismo pervasivo”, e che si esprime in termini e secondo giudizi che vengono definiti “politicamente corretti”, radicati su una grundnorme dalla quale nessuno pensa di poter decampare: la corbelleria.

Il significato della parola è difficile da equivocare, basta scomporla nei suoi termini inglesi: main significa principale, e stream corrente; il significato del termine complesso significa quindi “corrente (o filone) principale”. A questo termine, usato in assoluto, attribuisco il significato di «Insieme di credenze ed opinioni seguito dalla maggioranza, “opinione conformista”; tutto quello che sta al di fuori di esso è bollato; è “politicamente scorretto».

Chi naviga nel mainstream sostiene la legittimità delle unioni omosessuali, l’abolizione dei grassi dalla dieta, la regolarità degli scudetti attribuiti alla Juventus, che Kennedy sia stato un grande presidente, che solo la sinistra sia in grado di governare, che Obama fosse uno statista, che Nanni Moretti sia un regista, che Al Gore avesse interesse a qualcosa di diverso dalla progressione del suo patrimonio, che Renzi sia un politico di spessore e sappia amministrare, che Woody Allen sia divertente, e via fregnacciando per un lunghissimo elenco di posizioni demenziali, moltiplicate e rafforzate dall’essersi stratificate nel tempo. Vota perlopiù a sinistra, ma trova consenso anche in un certo numero di imbecilli di centro e di destra.

I risultati dimostrano che per fortuna la maggioranza delle persone (e degli elettori) è fuori dalla corrente, come dimostra il risultato delle elezioni in gran parte del mondo avanzato: però le affermazioni “politicamente corrette” restano le più diffuse ed evidenti, in ragione del fatto che costituiscono il verbo quotidiano delle persone che hanno una maggiore capacità comunicativa; del resto io credo al proverbio secondo il quale le bugie – e le affermazioni del mainstream sono generalmente bugie – hanno fatto il giro di mezzo mondo prima che la verità sia riuscita ad infilarsi i pantaloni.

Certo, chi segue il “politicamente corretto” non si distingue per grande capacità produttiva: l’Italia e il mondo vanno avanti per il lavoro della maggioranza degli elettori, che sono politicamente scorretti, mentre tra la gente del mainstream una solida maggioranza è rappresentata da parassiti, da sfruttatori e da mentecatti; e composta, come dice Philippe Muray, «di gangster di Stato, di ricattatori morali o materiali, delle lobby, e dalla massa di spettatori che partecipano incessantemente alla festa e chiedono nuove misure di espansione del Terrore, con tanto di sanzioni per i contravventori». Seguitando a citare Muray: «Ogni secolo ha il suo Tartufo. Il nostro è un po' cambiato. È cresciuto, ha cambiato look. È socio fondatore di varie associazioni "No a qualcosa", "Contro qualcos'altro", ha frequentato le migliori università e scuole di specializzazione, è socialista moderato o progressista scettico o centrista del terzo tipo»; il Grande Fratello è diventato «carino, simpatico, conviviale, rassicurante»; praticamente «un filantropo pieno di offerte irrefutabili e carico di progetti irreprensibili». Che portano al collettivismo, alla redistribuzione, alla uguaglianza, al rigetto della meritocrazia, a scapito della comodità di essere liberi. E ormai a scapito perfino della comodità di essere vivi, poiché la nostra bontà ci spinge a tollerare gli intolleranti. Per non considerare le sanzioni: l'esilio e l’emarginazione dal circuito “che conta” sono tra le condanne comminate a chi non si sottomette al mainstream, o non vi si adegua.

Ma da dove vengono le convinzioni di questi figuri?
Teniamo presente che la preparazione culturale di costoro trova radice nella “cultura” – sempre ammesso che ci sia stata – del Sessantotto: ma avrei dovuto dire “inkultura” del Sessantotto, perché chi trova là le sue radici non conosce né le regole corrette, né la storia nel suo reale svolgimento, né metodi di ragionamento che rispondano alle leggi della logica: come è necessario poiché quello sciagurato episodio deriva dall’assunzione dei principi di un marxismo e di un comunismo molto mal conosciuti. Di questa inkultura è parte integrante, costituente ed essenziale una conoscenza di fatti e di regole distorta, assolutamente autoreferenziale, altrettanto assolutamente priva di agganci alla realtà, e che non tollera deviazioni.

Capite bene che il risultato della sommatoria tra inkultura e intolleranza è micidiale: cosa può esserci di peggio di un ragionamento errato in un soggetto chiuso a qualunque vero confronto e che non ammette posizioni diverse dalle sue?

Ma qualcosa di altrettanto pernicioso alla convivenza civile c’è: quel concetto di “politicamente corretto” che costituisce il corto circuito tra il pensiero conformista e acritico del mainstream e il modo corrente di esprimersi, e che commina una condanna senza appello a chiunque si sforzi di chiamare le cose col loro nome. Del resto la storia come la conosciamo noi esclusi dal circuito che conta ci insegna che qualsiasi dittatura pretende che si comunichi solo attraverso il lessico che essa stessa crea: la rivoluzione francese non introdusse il termine “cittadino”, tra le altre innovazioni linguistiche? E così guai oggi dire “spazzino”, “indiano”, “cieco”, “invalido”, “invertito” e via seguitando; non parlo poi di “negro”: Dio ce ne guardi! Eppure sono parole che hanno un loro significato preciso, consolidato da secoli di uso, nei quali hanno reso agevole e talvolta possibile la comunicazione tra gli esseri umani; rinunziarvi significa rinunziare alla nostra cultura.

Se poi qualcuno volesse aprire – o è sospetto di voler aprire – una polemica sull’argomento, viene immediatamente classificato come incolto, selvaggio, asociale, mascalzone e così via: e proprio da coloro ai quali è invece giusto, in ragione dei loro comportamenti, attribuire quelle qualifiche.

Voglio poi ricordare quello che disse Nostro Signor Gesù Cristo, riportato da Matteo in 10, 34-37: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera, …”. Credo che possa tradursi così (o almeno io lo traduco così): la verità è un valore non negoziabile; chi è conformista, chi privilegia le ragioni dalla concordia rispetto a quelle della verità, e per far questo si adegua all’opinione della maggioranza piuttosto che proclamare il vero, non segue l’insegnamento di Cristo.