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Dalla Croazia una lezione sulla coscienza

  • Straordinario entusiasmo a Zagabria per gli incontri con il Papa di sabato e domenica.
  • Tema centrale della visita è stata la «coscienza», da cui dipende la qualità della vita sociale.
  • Se la coscienza viene ridotta all'ambito del soggettivo, la crisi dell'Occidente è senza rimedio.
  • Essa deve essere invece luogo dell'ascolto della verità e del bene, della responsabilità davanti a Dio e agli uomini.

Attualità 06_06_2011
papa stepinac

Benedetto XVI ha visitato il 4 e 5 giugno la Croazia, accolto da uno straordinario entusiasmo di popolo, mettendo al centro delle sue riflessioni come «tema centrale» – lo ha detto egli stesso – quello della coscienza. Il Papa ne aveva già parlato in occasione del viaggio apostolico nel Regno Unito del 16-19 settembre 2010, nel corso del quale aveva beatificato il cardinale John Henry Newman (1801-1890), della cui riflessione filosofica e teologica la coscienza è l’elemento portante. Ma proprio in Gran Bretagna Benedetto XVI aveva precisato che si tratta di un argomento vastissimo, che in quell’occasione poteva solo iniziare a impostare e su cui sarebbe tornato.

Al Teatro Nazionale di Zagabria il Pontefice ha definito quello della coscienza un tema «trasversale rispetto ai diversi campi» e «fondamentale per una società libera e giusta, sia a livello nazionale che sovranazionale». La modernità, ha ricordato il Papa, è spesso definita come l’epoca che mette al centro della cultura e della politica l’aspirazione alla libertà di coscienza. E in effetti «le grandi conquiste dell’età moderna, cioè il riconoscimento e la garanzia della libertà di coscienza, dei diritti umani, della libertà della scienza e, quindi, di una società libera, sono da confermare e da sviluppare». Ma questa rivendicazione della libertà di coscienza può sfuggire all’ambiguità solo «mantenendo però aperte la razionalità e la libertà al loro fondamento trascendente, per evitare che tali conquiste si auto-cancellino, come purtroppo dobbiamo constatare in non pochi casi».
La Chiesa trova la centralità della coscienza nella sua tradizione. Ma tutto sta a intendere che cosa s’intende per coscienza. «La qualità della vita sociale e civile, la qualità della democrazia – ha affermato il Pontefice – dipendono in buona parte da questo punto “critico” che è la coscienza, da come la si intende e da quanto si investe sulla sua formazione. Se la coscienza, secondo il prevalente pensiero moderno, viene ridotta all’ambito del soggettivo, in cui si relegano la religione e la morale, la crisi dell’occidente non ha rimedio e l’Europa è destinata all’involuzione. Se invece la coscienza viene riscoperta quale luogo dell’ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità – che è la forza contro ogni dittatura – allora c’è speranza per il futuro».

Ancora una volta il Papa presenta la vicenda culturale e sociale contemporanea in termini drammatici. L’alternativa, aveva scritto nell’enciclica Spe salvi del 2007, è tra un sì o un no all’equilibrio armonioso fra fede e ragione. E nell’enciclica Caritas in veritate del 2009 aveva mostrato il bivio fra una politica fondata sulla verità e una sull’arbitrio della tecnocrazia che considera lecito tutto quello che è tecnicamente possibile. Entrambe le alternative rimandano proprio alla questione della coscienza.

Tutti celebrano la libertà di coscienza. Ma per il pensiero maggioritario della modernità l’appello alla coscienza, declinato in modo soggettivistico, significa che ciascuno fa quello che vuole, seguendo i suoi impulsi e i suoi desideri. Chi segue la nozione soggettivistica di coscienza, ha detto il Papa ai giovani nella veglia di preghiera con loro, si lascia «disorientare da promesse allettanti di facili successi, da stili di vita che privilegiano l’apparire a scapito dell’interiorità», cede «alla tentazione di riporre fiducia assoluta nell’avere, nelle cose materiali, rinunciando a scorgere la verità che va oltre, come una stella alta nel cielo».

L’intera società, ha affermato Benedetto XVI al suo arrivo all’aeroporto di Zagabria, finisce allora per essere dominata dalla «poca stabilità» e «segnata da un individualismo che favorisce una visione della vita senza obblighi e la ricerca continua di “spazi del privato”». Per la grande tradizione classica e cristiana, al contrario, la coscienza è il luogo dove si ascoltano la verità e il bene, la voce che non incita a fare quello che si vuole ma quello che si deve, quanto la ragione indica come conforme al vero e al buono. Da queste due opposte nozioni di coscienza nascono due civiltà, due concezioni della famiglia, due Europe.

La Croazia si appresta a entrare nell’Unione Europea, un passo – ha detto nell’intervista sul volo verso la Croazia il Papa – «logico, giusto e necessario». Ma di quale Europa si tratterà dipende da quale nozione della coscienza finirà per prevalere. I segnali che giungono dalle istituzioni comunitarie non sono sempre positivi, così che Paesi di profonde tradizioni cattoliche che entrano nell’Unione hanno qualche ragione per diffidare. «Si può capire – ha aggiunto nella stessa intervista il Pontefice – anche un certo scetticismo se un popolo numericamente non grande entra in questa Europa già fatta e già costruita. Si può capire che forse c’è una paura di un burocratismo centralistico troppo forte, di una cultura razionalistica, che non tiene sufficientemente conto della storia e della ricchezza della storia e anche della ricchezza della diversità storica». Il «razionalismo astratto» spinge anche a negare «le radici cristiane» –  ha detto il Papa al Teatro Nazionale di Zagabria – contro la «verità storica», e a celebrare la nascita di istituzioni quali ospedali e università senza «comprendere il perché e il come ciò sia avvenuto», non volendo ricordare che sono nate dalla Chiesa.

L’occasione della visita di Benedetto XVI è stata il primo Incontro Nazionale delle Famiglie Croate. Celebrando la Messa all’Ippodromo di Zagabria per tale Incontro, il Papa è tornato sul tema centrale dei due modelli. Se si adotta il modello soggettivistico della coscienza, se «si assolutizza una libertà senza impegno per la verità», allora «si coltiva come ideale il benessere individuale attraverso il consumo di beni materiali ed esperienze effimere, trascurando la qualità delle relazioni con le persone e i valori umani più profondi; si riduce l’amore a emozione sentimentale e a soddisfazione di pulsioni istintive, senza impegnarsi a costruire legami duraturi di appartenenza reciproca e senza apertura alla vita». Ma questa separazione della coscienza dalla verità porta fatalmente a «una crescente disgregazione della famiglia», a una «mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio», a una politica che nega «l’intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale, il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli», che il Papa ha voluto ricordare anche al presidente italiano Giorgio Napolitano nel messaggio che gli ha indirizzato al momento di lasciare l’Italia verso la Croazia.

Incitandoli a tornare alla nozione della coscienza ordinata alla verità il Papa ha ricordato ai croati alcuni loro grandi modelli. Anzitutto il grande scienziato Ruggero Giuseppe Boscovich (1711-1787), di cui la Croazia celebra nel 2011 il terzo centenario della nascita e che Benedetto XVI aveva già ricordato in un discorso dell’11 aprile 2011, di cui avevamo dato conto su La Bussola Quotidiana. Boscovich testimonia con la sua attività di scienziato l’unità fra fede e scienza e con la sua fedeltà al suo ordine, i Gesuiti, perseguitato dall’Illuminismo europeo il coraggio di fare costantemente prevalere le vere ragioni della coscienza.

Boscovich, ha detto il Papa al Teatro Nazionale di Zagabria, «impersona molto bene il felice connubio tra la fede e la scienza, che si stimolano a vicenda per una ricerca al tempo stesso aperta, diversificata e capace di sintesi. La sua opera maggiore, la Theoria philosophiae naturalis, pubblicata a Vienna e poi a Venezia a metà del Settecento, porta un sottotitolo molto significativo: redacta ad unicam legem virium in natura existentium, cioè “secondo l’unica legge delle forze esistenti in natura”». In quest’opera «c’è lo studio di molteplici rami del sapere, ma c’è anche la passione per l’unità. E questo è tipico della cultura cattolica». Gli storici della scienza, ha ricordato Benedetto XVI, «dicono che la sua teoria della “continuità”, valida sia nelle scienze naturali sia nella geometria, si accorda in modo eccellente con alcune delle grandi scoperte della fisica contemporanea. Che dire? Rendiamo omaggio all’illustre Croato, ma anche all’autentico Gesuita; rendiamo omaggio al cultore della verità che sa bene quanto essa lo superi, ma che sa anche, alla luce della verità, impegnare fino in fondo le risorse della ragione che Dio stesso gli ha dato. Oltre all’omaggio, però, occorre far tesoro del metodo, dell’apertura mentale di questi grandi uomini. Ritorniamo dunque alla coscienza come chiave di volta per l’elaborazione culturale».

Ai giovani, nella veglia di preghiera a loro dedicata, il Pontefice ha ricordato il beato Ivan Merz (1896-1928), un giovane intellettuale cattolico pioniere del movimento liturgico, nato in Bosnia da famiglia croata e prematuramente scomparso che – dopo studi alla Sorbona e a Vienna – aveva conseguito il dottorato a Zagabria con una tesi consacrata all’influenza della liturgia sui letterati francesi moderni. Anche il beato Merz è stato un gigante della coscienza. Il Papa lo ha ricordato come «giovane brillante, inserito a pieno titolo nella vita sociale, che dopo la morte della giovane Greta [Teschner, 1896-1913], il suo primo amore, intraprende il cammino universitario. Durante gli anni della prima guerra mondiale si trova di fronte alla distruzione e alla morte, ma tutto ciò lo plasma e lo forgia, facendogli superare momenti di crisi e di lotta spirituale. La fede di Ivan si rafforza al punto che si dedica allo studio della Liturgia ed inizia un intenso apostolato tra i giovani stessi. Egli scopre la bellezza della fede cattolica e capisce che la vocazione della sua vita è vivere e far vivere l’amicizia con Cristo».

Ma che cosa sia veramente la coscienza emerge soprattutto dalla ripetuta celebrazione che – incurante di critiche dove ancora ci si ostina a proporne un’immagine falsa e distorta di prelato indulgente verso i collaboratori croati del nazismo – Benedetto XVI ha proposto del cardinale Alojzije Viktor Stepinac (1898-1960), proclamato beato nel 1998. Dall’intervista sul volo verso la Croazia ai vespri del 5 giugno presso la sua tomba, Benedetto XVI ha voluto ricordare nel beato Stepinac «un grande esempio non solo per i croati, ma per tutti noi», «viva immagine del Cristo, anche sofferente», «la cui eroica esistenza ancora oggi illumina i fedeli delle Diocesi croate». Il cardinale, ha detto il Pontefice, è stato nel periodo nazista «difensore degli ebrei, degli ortodossi e di tutti i perseguitati, e poi, nel periodo del comunismo, “avvocato” dei suoi fedeli, specialmente dei tanti sacerdoti perseguitati e uccisi. Sì, è diventato “avvocato” di Dio su questa terra, poiché ha tenacemente difeso la verità e il diritto dell’uomo di vivere con Dio».

L’aggressione comunista al beato Stepinac, ha aggiunto il Papa, «segna il culmine delle violenze perpetrate contro la Chiesa durante la terribile stagione della persecuzione comunista. I cattolici croati, in particolare il clero, sono stati oggetto di vessazioni e soprusi sistematici, che miravano a distruggere la Chiesa cattolica, a partire dalla sua più alta Autorità locale. Quel tempo particolarmente duro è stato caratterizzato da una generazione di Vescovi, di sacerdoti e di religiosi pronti a morire per non tradire Cristo, la Chiesa e il Papa. La gente ha visto che i sacerdoti non hanno mai perso la fede, la speranza, la carità, e così sono rimasti sempre uniti. Questa unità spiega ciò che è umanamente inspiegabile: che un regime così duro non abbia potuto piegare la Chiesa».

Il beato Stepinac è stato in Croazia il grande testimone del primato della coscienza: «proprio grazie alla sua salda coscienza cristiana ha saputo resistere a ogni totalitarismo». Con parole, ha affermato il Papa, ancora attuali e urgenti oggi, «il Beato Cardinale Stepinac così si esprimeva: “Uno dei più grandi mali del nostro tempo è la mediocrità nelle questioni di fede. Non facciamoci illusioni … O siamo cattolici o non lo siamo. Se lo siamo, bisogna che questo si manifesti in ogni campo della nostra vita” (Omelia nella Solennità dei SS. Pietro e Paolo, 29 giugno 1943). L’insegnamento morale della Chiesa, oggi spesso non compreso, non può essere svincolato dal Vangelo».

Far prevalere l’idea corretta della coscienza contro le distorsioni del soggettivismo è un compito oggi molto difficile, «in una società che cerca di relativizzare e secolarizzare tutti gli ambiti della vita» come il Papa l’ha definita sulla tomba del beato Stepinac. L’idea di coscienza «ridotta nell’ambito del soggettivismo» è sostenuta da una possente propaganda. Al Teatro Nazionale di Zagabria il Pontefice ha detto che «è nella formazione delle coscienze che la Chiesa offre alla società il suo contributo più proprio e prezioso», con un’influenza diretta anche su una politica che sia «non falsamente neutra, ma ricca di contenuti umani, con un forte spessore etico», sempre ispirata alla «dottrina sociale della Chiesa». E questo contributo «comincia nella famiglia», di cui sulla scia del beato Giovanni Paolo II (1920-2005) e dei suoi tre viaggi in Croazia Benedetto XVI ha voluto ricordare il nuovo ruolo missionario. Nella Messa all’Ippodromo di Zagabria il Papa ha citato il suo predecessore, il quale affermava nel 2001: «È maturata nella Chiesa l’ora della famiglia, che è anche l’ora della famiglia missionaria».

Questo sforzo – ha affermato nella stessa occasione – non potrà essere soltanto intellettuale. Potrà riuscire soltanto grazie alla vita spirituale, alla preghiera, «ai Sacramenti, specie all’Eucarestia». Sempre attento alle ricorrenze, Benedetto XVI ha ricordato «i 600 anni del “miracolo eucaristico di Ludbreg”», un evento centrale nella storia cattolica della Croazia. Nel 1411 nella cittadina croata di Ludbreg il vino nel calice di un sacerdote che dubitava della presenza reale nell’Eucarestia si trasformò miracolosamente in sangue. L’autenticità del miracolo fu riconosciuta dalla Santa Sede dopo un’indagine particolarmente severa durata quasi cento anni. Nel 1739 il Parlamento croato attribuì alla reliquia di Ludbreg la salvezza del Paese dalla peste. Non mancano nuove pesti che oggi minacciano la Croazia, l’Europa e il mondo intero. La memoria del miracolo di Ludbreg ci rammenta che, come ha detto il Papa, se talora pensiamo che l’efficacia della missione cristiana «dipenda principalmente da un’attenta programmazione e della sua intelligente messa in opera», in realtà «prima di qualsiasi nostra risposta» viene l’iniziativa gratuita di Dio che solo ispira e salva.