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INIZIATIVA POPOLARE

Dalla Croazia un "sì" alla famiglia naturale

730mila firme, più del 20% della popolazione. In Croazia l'iniziativa U ime obitelji, per chiedere che nella Costituzione sia inserita la definizione di matrimonio quale ”comunione di vita fra uomo e donna", è stata un successo, nonostante le violenze della sinistra.

Famiglia 05_06_2013
U ime obitelji

730.000 mila. È un vero e proprio trionfo quello registrato in Croazia dalla raccolta di firme per l'indizione di un referendum di iniziativa popolare per modificare la Costituzione. Organizzata dall'associazione civica U ime obitelji (“Nel nome della famiglia”), la petizione chiede che nella Costituzione della Repubblica di Croazia sia inserita una disposizione secondo la quale il matrimonio è una comunione di vita di un uomo e di una donna.

Questo successo è tanto più significativo in quanto l’iniziativa, pur essendo stata concepita all'interno dell'associazionismo laicale cattolico, ha trovato l'appoggio incondizionato della Conferenza Episcopale croata e anche l'adesione della Chiesa ortodossa serba, delle altre denominazioni cristiane di impronta protestante, della comunità islamica nonché di molti cittadini non aderenti ad alcuna religione, ma convinti dell'importanza di salvaguardare la famiglia naturale e di dare al matrimonio tra un uomo e una donna un formale riconoscimento all'interno della Carta fondamentale della Repubblica di Croazia.

Il compito era tutt'altro che facile. La legge in materia è fatta apposta per scoraggiare anche il più intrepido promotore di referendum: in due sole settimane devono essere raccolte circa 375.000 firme, pari al 10% dell’intero corpo elettorale croato (è come se in Italia per indire un referendum fossero richieste cinque milioni di firme) e si devono osservare norme cavillose e una serie impressionante di adempimenti burocratici. Pena l’invalidità delle firme. Tuttavia, avvalendosi dell’impegno di più di 6000 volontari in circa 2000 punti di raccolta in tutto il Paese, posti dinanzi a chiese parrocchiali, cappelle e conventi, ma anche in piazze, mercati e supermercati, fermate dei mezzi pubblici e luoghi simili, l’impresa è riuscita, con un numero di firme che dovrebbe mettere al riparo il referendum da possibili sorprese del governo di sinistra.

Com’era facile immaginare, questa iniziativa è stata accompagnata dalla violenta ostilità degli ambienti omosessuali. Sui social network sono apparsi inviti ad aggredire i volontari che operavano presso i banchetti e a gettare loro addosso acqua, vernici e perfino acidi. Le pagine internet e Facebook di U ime obitelji sono state fatte oggetto di attacchi di hacker. Il concetto di democrazia esistente presso questi gruppi è ben espresso dall’affermazione di un blogger gay friendly: «Democrazia significa che essi hanno il diritto di raccogliere le firme, noi quello di strappare i loro blocchetti».

Dalle parole violente agli atti di teppismo il passo è stato breve: non si contano i manifesti e i blocchetti con le firme strappati o imbrattati e resi inutilizzabili, i banchetti rovesciati, i volontari insultati come 'omobofi' e 'clerico-fascisti'. Allo scopo di screditare l'iniziativa, in diverse città gruppi di persone si sono appostati nei pressi dei banchetti apostrofando con ingiurie le persone che non volevano firmare. A Zagabria, nella centralissima Cvjetni trg, un uomo ha dato fuoco ai manifesti e al materiale informativo che si trovavano su un banchetto, con la conseguenza che una volontaria ha sofferto leggere bruciature alle mani nel tentativo di spegnere l'incendio. Sempre a Zagabria, non lontano dalla Cattedrale, una giovane volontaria è stata colpita alle spalle da un pugno infertole da uno sconosciuto che poi è fuggito, mentre nel quartiere di Jarun alcuni malintenzionati si sono avvicinati a un banchetto minacciando i volontari presenti con un serpente vivo. Questi fatti e numerosi casi analoghi in tutto il Paese sono avvenuti in un contesto di inazione della Polizia e di silenzio complice delle autorità – in casi pressoché analoghi cui erano stati vittima gli omosessuali, come ad esempio durante gli incidenti del Gay Pride di Spalato nel 2011, si era giunti perfino a proteste diplomatiche e all’intervento dell’Unione Europea.

L'atteggiamento delle autorità politiche nei confronti dell'iniziativa è passato da un silenzio sprezzante a una sempre maggiore preoccupazione man mano che appariva chiaro che l’iniziativa era destinata ad avere successo. Dopo che i promotori dell’iniziativa avevano annunciato che nella prima settimana erano state raccolte «più di 380.000 firme», dalle fila della maggioranza parlamentare voci autorevoli affermavano che le firme valide necessarie per la convocazione del referendum non erano 375.000, bensì 450.000 – il gioco di prestigio è consistito nell’includere nel corpo elettorale i cittadini croati residenti all’estero, i quali tuttavia non hanno diritto di firmare le richieste di una consultazione popolare e non possono quindi essere inclusi nella cifra che serve a stabilire il quorum di firme necessarie. Una volta appreso che il numero di firme era giunto alla quota provvisoria di 710.000, un esponente socialdemocratico affermava in televisione che il referendum non si poteva tenere poiché non richiesto dalle firme della maggioranza assoluta degli elettori – affermazioni più da circo equestre che da seri rappresentanti delle istituzioni di un Paese che sta per entrare nell’Unione Europea.

Il proposito espresso dal premier Milanovic di sottoporre comunque l’eventuale proposta di modifica della Costituzione al Parlamento, dove naturalmente non passerebbe, ha provocato la reazione della Presidente della Corte Costituzionale, la quale ha riaffermato che l’eventuale approvazione di una modifica costituzionale per via referendaria non rende necessario alcun passaggio parlamentare. I giornali hanno quindi commentato che il Paese rischia di entrare in una grave crisi costituzionale, tuttavia il problema risiede solamente nel fatto che i “compagni” attualmente al governo hanno trasformato la Croazia in un Paese semi-totalitario dove le regole democratiche valgono solamente quando servono gli scopi dell’ideologia di regime, mentre diventano un optional quando mettono a rischio gli interessi dei partiti al potere. 

I leader referendari sono coscienti del fatto che, nonostante lo straordinario successo registrato nella raccolta delle firme, la strada che porterà alla convocazione del referendum è ancora lunga e irta di agguati e trappole. Un fatto indubbiamente positivo è che per la prima volta si è notato un deciso cambiamento nell’atteggiamento, fino a oggi remissivo e fatalista, del croato medio. Grazie allo stimolo dato dai coraggiosi leader dell’associazionismo cattolico, oggi il popolo croato è pronto a dare battaglia per difendere la famiglia e, più in generale, la democrazia in questo Paese.

Un altro motivo di soddisfazione è rappresentato dal fatto che ancora una volta i croati – anche nella componente non cattolica – hanno mostrato come in essi sia molto forte la coscienza che la famiglia è la comunione di vita tra un uomo e una donna, e che solo questo è l’ambiente nel quale le nuove generazioni possono crescere bene. Una visione della vita che il governo non riuscirà a cambiare, neppure trasformando le scuole in campi di rieducazione in stile ‘Khmer rossi’.