Dalla Chiesa-Andreotti, torna la retorica dell’antimafia
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La mano dello statista nell'uccisione del generale? Un'insinuazione che si ripete ciclicamente, ma priva di fondamento, proprio alla luce dell'odissea processuale subita dal 7 volte premier.
In Italia ci sono luoghi comuni e canovacci del politically correct comunisteggiante assai difficili da sradicare. Per alcuni sciacalli dell’antimafia da accatto Andreotti era colluso con la mafia siciliana, anche se è stato assolto nei processi a suo carico, mentre Adriano Sofri, condannato per l’omicidio Calabresi, viene comunque ritenuto innocente.
Nei giorni scorsi Rita Dalla Chiesa, parlamentare di Forza Italia, figlia del generale assassinato a Palermo nel 1982, negli studi della trasmissione tv Tango su Raidue, ha nuovamente insinuato che dietro l’omicidio di suo padre possa esserci stata la mano di Giulio Andreotti. «Ho sempre pensato che sia stato un omicidio politico», ha detto Rita Dalla Chiesa, aggiungendo di essere certa che il padre «fu ucciso per fare un favore a un politico». Non è una novità, visto che anche Nando, fratello di Rita, ha sempre accusato il 7 volte presidente del Consiglio di avere ispirato l’uccisione di suo padre, in ragione dei suoi legami con ambienti mafiosi siciliani.
Al di là del rancore personale e famigliare nei confronti di Andreotti, che senso ha, a distanza di 42 anni da un delitto, continuare a spargere veleno sulle istituzioni e sui loro servitori, peraltro non più in vita? Che giornalismo può essere quello di chi dà spazio a testimonianze del genere, utili solo a peggiorare ulteriormente il clima socio-culturale e politico-istituzionale?
La migliore e più elegante risposta alle improvvide e becere insinuazioni di Rita Dalla Chiesa l’ha data proprio Stefano Andreotti, il figlio del compianto statista democristiano. «Accusare mio padre di un suo possibile coinvolgimento in un omicidio o di avere rapporti con la mafia è uno schiaffo alla sua memoria e alla sua storia», ha dichiarato, aggiungendo: «Ogni tanto la figlia del generale Dalla Chiesa dice queste cose. Non so perché, ma non è una novità. Capisco umanamente che quando ti uccidono in modo così crudele un genitore è qualcosa che ti colpisce per sempre in maniera indelebile. Ma le sue accuse sono cose basate sul nulla. E questo mi dà dolore perché vuol dire che non sono bastati i tanti anni trascorsi, né i processi ai quali è stato sottoposto, né le audizioni nelle quali ha spiegato più volte la verità dei fatti». Il figlio dello statista democristiano ha anche chiarito: «Dalla Chiesa si assumerà le responsabilità di quanto detto, ma anche se ci fossero gli estremi per un'azione giudiziaria, non lo faremo, perché quello era lo stile di mio padre, lui non ha mai querelato nessuno».
Tra Andreotti e Dalla Chiesa c’era una grandissima stima reciproca e il primo, anche in punto di morte, aveva giurato davanti a Dio di essere totalmente estraneo a quei fatti delittuosi. Nei processi di Palermo e di Perugia – è bene ricordarlo – è stato categoricamente escluso che Andreotti avesse legami con la mafia.
«Mio padre aveva grande fiducia nel generale», ha ulteriormente precisato Stefano Andreotti, «lo volle a capo del nucleo speciale anti-terrorismo, facendogli avere poteri che permisero grandi risultati contro le Brigate Rosse». Dopo il 1979, Giulio Andreotti resta fuori dai governi, per poi rientrare solo nel 1983 da ministro degli Esteri nel governo Craxi. «In quegli anni, prima del suo tragico omicidio – assicura il figlio – Dalla Chiesa passava a Roma e chiedeva di incontrarsi con mio padre, per scambiarsi idee e confrontarsi: incontri cordiali tra persone che si stimavano a vicenda».
Dunque le parole di Rita Dalla Chiesa sembrano dettate solo da rancore. Gianfranco Rotondi, della vecchia guardia democristiana, ha promesso di adire le vie legali contro di lei, mentre Carlo Giovanardi ha attaccato la trasmissione televisiva che l’ha ospitata: «un modo barbaro di fare giornalismo, costruito sulla pelle di chi non si può più difendere e sempre rivolto ad infangare la grande storia della Dc».
Giulio Andreotti, al termine della sua odissea processuale, fu prescritto per i reati imputatigli prima del 1980 e assolto per quelli successivi a tale data. Chi lo accusa di collusioni con la mafia, oltre che ignorare le nitide risultanze processuali, dimostra di ignorare la documentazione che ha dimostrato come gli Usa fossero interessati alla sua caduta politica, riprendendo e ampliando un progetto che si era delineato sin dalla fine degli anni settanta in Urss.
Ce n’è abbastanza, dunque, per respingere con nettezza ogni ipotesi di complicità di Andreotti con ambienti di Cosa Nostra e per derubricare le parole di Rita Dalla Chiesa a scomposte calunnie nei confronti di uno statista che ha sempre difeso con autorevolezza lo Stato e servito con senso del dovere le istituzioni repubblicane.
La verità interiore di Giulio Andreotti
A un anno dalla morte dello statista democristiano la famiglia Andreotti ha diffuso suoi scritti privati e inediti del 1978 (Aldo Moro) e tra il 1994 e il 2005 (gli anni dei processi). Ne esce una figura solare, ben lontana dagli stereotipi.
A quale Antimafia giochiamo?
Il vescovo di Palermo dice che la Chiesa deve chiedere scusa per le omissioni sulla Mafia lasciando intendere che ora c'è una Chiesa, quella di Francesco, che opera un vero cambio di passo. Ma la Chiesa ha fatto antimafia nei confessionali più che nelle conferenze. Infatti la stessa Cei ha rifiutato questa lettura "militante". Però di fronte alle mafie degli scafisti si chiude volentieri gli occhi.