Dal Veneto alla Puglia, che sfacelo il centrodestra
Lo spettacolo al quale i leader di partiti e partitini del centrodestra stanno dando vita non è dei più decorosi e rischia di trasformarsi in un’agonia senza fine per gli elettori. Il caso più eclatante è quello della Puglia, dove si sta consumando un vero e proprio regolamento di conti tra lealisti berlusconiani e ricostruttori fittiani.
Chi l’avrebbe mai detto che il centrodestra italiano si sarebbe ridotto a minoranza permanente e autoreferenziale, consumata da isterismi e personalismi privi di qualsiasi contenuto politico? Bisognava forse intuire che Silvio Berlusconi da tempo aveva perso il controllo del suo schieramento e che i cerchi magici, veri o presunti, avrebbero rottamato ogni parvenza di progetto moderato per cedere alla deriva del “cupio dissolvi”.
Lo spettacolo al quale i leader di partiti e partitini del centrodestra stanno dando vita non è dei più decorosi e rischia di trasformarsi in un’agonia senza fine per gli elettori, ormai sempre più convinti che la futura dialettica politica sarà dominata dai due Matteo: da una parte Renzi, dall’altra Salvini. Gli ultimi sondaggi sono disastrosi per quella parte politica, che ha buone possibilità di confermarsi alla guida del Veneto (con il leghista Zaia), ma rischia di perdere la Campania e non ha quasi nessuna chance di successo nelle altre regioni nelle quali si vota. Il caso più eclatante è quello della Puglia, dove si sta consumando un vero e proprio regolamento di conti tra lealisti berlusconiani (guidati dal commissario Vitali) e ricostruttori fittiani.
La posta in gioco non è la presidenza della Regione (contro l’ex sindaco di Bari, Emiliano non c’è partita) ma i futuri equilibri interni allo schieramento di centrodestra. Berlusconi vuole sbarrare a Fitto (in Puglia alleato con Alfano e Area Popolare) la strada verso la conquista della leadership di partito e in questo tentativo si serve di Adriana Poli Bortone, che contenderà a Schittulli i voti del centrodestra. Se la Poli Bortone, con l’appoggio di Lega e Forza Italia, prenderà più voti di Fitto, si dimostrerà che il pallino dell’opposizione moderata è ancora nelle mani dell’ex Cavaliere e a quel punto le mire del leader pugliese si ridimensioneranno.
Viceversa, se i centristi e Fitto (con l’appoggio di Fratelli d’Italia) riusciranno a conquistare un bacino elettorale significativo, potranno tentare dalla Puglia la scalata al partito azzurro, forti delle divisioni laceranti tra le altre anime (Verdini sempre più filo-Renzi, Romani ormai critico verso il cerchio magico, Brunetta isolato e in odore di sostituzione alla guida del gruppo forzista alla Camera, scontro generazionale fomentato dalla Sardone). In questa chiave si spiega la diatriba tra fittiani e berlusconiani perfino sull’uso del simbolo. In Liguria Ncd ha deciso di appoggiare l’erede di Burlando, la Paita, vincitrice delle primarie Pd e probabile nuovo Presidente della Regione. L’europarlamentare di Forza Italia Toti raccoglierà anche i voti della Lega, ma difficilmente basteranno per avere la meglio sulla corazzata piddina. Nelle Marche c’è grande fermento per la scommessa dell’attuale governatore Spacca che, dopo 2 mandati con il centrosinistra, ha deciso di ricandidarsi contro il volere del suo schieramento, che gli contrappone un altro candidato. Spacca è ora appoggiato da Forza Italia e centristi. Se dovesse farcela, si dimostrerebbe che il renzismo è dominante sul versante della politica nazionale ma non sfonda sul territorio.
Quella in Campania è la sfida che sta maggiormente a cuore a Berlusconi. Il governatore uscente, Caldoro, è l’unico condottiero forzista rimasto alla guida di una regione. La sua riconferma dipenderà dall’appoggio degli alfaniani e di tutta l’area popolare che si raduna attorno a Ncd e Udc. La Lega ha accettato di non infierire e quindi di non presentare sue liste, mentre il candidato della sinistra, De Luca, azzoppato dalla legge Severino, se eletto, non potrebbe insediarsi in virtù della sentenza di condanna di primo grado nei suoi confronti. Forse questo potrebbe spingere molti elettori moderati a convergere su Caldoro e forse il premier non si dispererebbe più di tanto perché in quel caso eliminerebbe dalla scena un personaggio per lui ingombrante come De Luca, che non può certo definirsi un renziano doc.
Nelle altre regioni non ci sarà storia. Umbria e Toscana sono e resteranno saldamente nelle mani del Pd. Il centrodestra può dunque sperare, nella migliore delle ipotesi, in un 5-2 per la sinistra, cioè può solo ambire a riconfermarsi alla guida di Veneto e Campania. La vera sfida comincerà all’indomani del voto regionale. Nel centrodestra si aprirà la resa dei conti, con Salvini che punta alla golden share della coalizione e i centristi di Alfano, Tosi, Passera che sperano di ereditare l’elettorato forzista, sempre più in libera uscita. Ma la verità è che un centrodestra a trazione leghista non ha alcuna chance contro Renzi, che potrebbe attrarre nel perimetro di un “partito della Nazione” molti elettori berlusconiani, non convinti della proposta politica di Salvini, considerata estremista e poco convincente sul piano internazionale.
L’Italicum rende irrilevanti le minoranze (considerato il premio di maggioranza alla lista vincitrice) e le frantuma, attraverso lo sbarramento al 3%. Le sirene renziane potrebbero quindi rivelarsi particolarmente interessanti per i cespugli forzisti (verdiniani, fuoriusciti come Bondi, delusi dal cerchio magico), a rischio estinzione in un partito come Forza Italia ormai ai titoli di coda. E il centrodestra, senza una rifondazione basata su un progetto chiaro e senza una presa di distanza netta dagli attuali dominanti bizantinismi, si candida a una lunga stagione di irrilevanza culturale, sociale e politica.