L'EDITORIALE
Dal Rapporto sulla demografia un messaggio per Todi
Il dossier della Cei, fotografia spietata delle conseguenze del crollo della fertilità, dimostra come l'impegno per i princìpi non negoziabili (vita, famiglia, educazione) sia la base per costruire il bene comune.
Editoriali
06_10_2011
Il Rapporto sulla demografia presentato dal Progetto culturale della Cei ci dice una cosa molto importante, oltre ai numeri allarmanti sulle conseguenze del crollo della natalità (potete leggere i contenuti del Rapporto nel Focus che presentiamo oggi). Ci dice il profondo nesso tra stabilità della famiglia e natalità e delle perverse conseguenze che il calo demografico ha sull’economia e sulla società nel suo insieme. E quindi quanto l’una o l’altra politica sociale possa influenzare sia la solidità della famiglia sia la natalità.
Il fatto che nel 2050, a questi ritmi, avremo un crollo della popolazione in età lavorativa unico al mondo, ad esempio, avrà ripercussioni negative sull’innovazione e sulla competitività della nostra economia e quindi sulla capacità di generare ricchezza (per approfondire le conseguenze economiche del crollo della fertilità vedi anche R. Cascioli – A. Gaspari, I padroni del pianeta, Piemme 2009). Allo stesso modo quanto si investe sulla famiglia dice anche l’evoluzione dei tassi di fertilità.
L’Italia è infatti uno dei paesi industrializzati dove è più bassa la quota di spesa sociale dedicata alla famiglia, e in effetti anche il tasso di fertilità è tra i più bassi. Inoltre il rapporto individua nella legge Dini sulle pensioni (1995) la mazzata decisiva ai tassi di fertilità nel nostro paese. “La percentuale dei contributi a carico delle imprese e dei dipendenti è rimasta complessivamente immutata, ma allora cambiò in modo radicale e definitivo la capacità di finanziamento per una politica a favore della famiglia”. E dal 1995 al 2010 ben 120 miliardi di euro sono stati tolti dalle risorse per la famiglia e le donne lavoratrici per andare a finanziare il sistema pensionistico.
Una politica per la famiglia, dunque, non significa occuparsi di un settore particolare della società, che ha una valenza prettamente morale. Un affare per esperti e fissati, insomma. Al contrario, significa decidere il futuro economico e sociale di un paese, di un popolo. La stessa cosa si può dire per una politica che accolga la vita, è fondamentale per invertire la tendenza dei tassi di fertilità che, a loro volta, saranno decisivi per l’andamento dell’economia.
Vale a dire che i numeri dimostrano in modo inequivocabile che i princìpi non negoziabili (vita, famiglia, educazione) sono la base di una politica per il bene comune, sono il fondamento di una visione globale della società, sono la piattaforma da cui partono tutte le politiche di settore (economia, immigrazione, energia e via dicendo). Il che smentisce chi pensa che invece aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, divorzio, scuole paritarie, siano questioni accanto ad altre su cui non vale neanche la pena puntare troppo in un momento in cui la crisi economica impone ben altre priorità.
La verità è che non si creeranno mai sviluppo e posti di lavoro se non si interviene sulle cause strutturali che sono all’origine della crisi, come appunto il crollo demografico.
E’ per questo motivo che l’unità politica dei cattolici si fonda proprio sui princìpi non negoziabili: non per limitare l’impegno politico a singoli temi, ma per affrontare nella prospettiva giusta tutti i problemi di una società complessa.
E’ ciò che dovranno tenere bene a mente anche le organizzazioni cattoliche della società civile e del mondo del lavoro che il 17 ottobre si ritroveranno a Todi, sotto l’egida della Conferenza episcopale, per rilanciare il ruolo (pre) politico dei cattolici in questo momento di transizione. Il rischio di cercare l’unità sulle conseguenze (il lavoro e l’economia) dando per scontato ciò che viene prima (i princìpi non negoziabili) non è così remoto. Se si vuole dare un contributo originale alla società italiana è necessario partire con il piede giusto.