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TERRORISMO

Dal mondo islamico, nessuna vera condanna al jihad

Dopo la strage di San Bernardino (Usa), a Londra un altro terrorista fai-da-te accoltella tre persone in metropolitana. Un jihad che le maggiori organizzazioni islamiche europee continuano a condannare solo con mezzi termini, giustificandola almeno in parte.

Esteri 07_12_2015
Al Baghdadi, ritratto

La recente strage di San Bernardino negli Stati Uniti ha confermato che non è indispensabile ricevere un ordine ben preciso e istruzioni dettagliate per compiere una strage in nome di un’ideologia o di una affiliazione allo Stato Islamico o a una qualsiasi altra organizzazione terroristica.

Una cellula familiare all’interno della quale la donna presta giuramento di fedeltà al Califfo e gli si offre in sposa. Una decisione maturata in America senza alcuna necessità di muoversi in Siria o Iraq. Gli attentati di Charlie Hebdo, dell’Hyper Cacher e dello scorso 13 novembre sembrano appartenere a un altro universo poiché presentano strategia, sincronia, organizzazione (seppur parzialmente a livello familiare) e sintonia tra Europa e Stato Islamico in Siria. Il 5 dicembre sera, all’interno della stazione della metropolitana londinese  di Leytonstone, un uomo ferisce tre persone brandendo un coltello gridando: “Questo è per la Siria, tutto il tuo sangue verrà versato.” Tuttavia ancora più significative sono le parole di un testimone che ha esclamato: “Tu non sei musulmano, fratello” ispirando l’hashtag #YouAintNoMuslimBruv. Scotland Yard parla di terrorismo, ancora una volta si cercherà di trovare una filiera che conduca in un luogo ben preciso, a un mandante, ma con molta probabilità il filo di Arianna porterà a un riferimento ideologico, a una causa politica, alla rabbia contro l’Occidente – in questo caso la Gran Bretagna – che ha incrementato le proprie azioni in Siria contro lo Stato Islamico e che non ha promosso vere politiche di integrazione. 

Quanto accaduto a San Bernardino e Londra conferma da un lato la lotta contro il jihadismo deve essere combattuta a livello globale – dalla Siria alla Libia, dalla Tunisia all’Iraq, dallo Yemen al Kenya, da Parigi a San Bernardino – ma in primo luogo deve essere combattuta a livello ideologico. Se gli attacchi territoriali mirati sono necessari per minare l’economia e la sede del “califfato”, non sono purtroppo sufficienti per bloccare un’organizzazione la cui ideologia viene diffusa attraverso una tanto perversa quanto semplice macchina mediatica che comunica in arabo, inglese, francese, turco attraverso gli strumenti più semplici, primo fra tutti Twitter. 

Non solo. La visione manichea dello Stato Islamico, che vuole il mondo diviso in due blocchi che dovranno diventare uno solo – la dar al-islam (il territorio dell’islam) – che garantirà giustizia sociale, che sconfiggerà i tawaghit (i tiranni) dei regimi totalitari e dei paesi occidentali a loro alleati, che annienterà le altre religioni e le interpretazioni “errate” dell’islam per fare regnare l’unica vera religione l’islam nell’unica vera interpretazione, ebbene questa visione non appartiene solo al “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, ma anche – seppur con sfumature e modalità di attuazione diverse – a tutte le ideologie dell’islam politico, da Hezbollah ai Fratelli Musulmani, dall’Arabia Saudita all’Iran. 

Molte di queste ideologie sono ben radicate non solo nel mondo islamico, ma soprattutto in Occidente dove l’islam organizzato è prevalentemente affidato – con il beneplacito delle istituzioni politiche e religiose – ad associazioni e organizzazioni ideologicamente schierate con la Fratellanza. Si tratta di organizzazioni che gestiscono e strumentalizzano l’islamofobia, trasformandola nel discorso chiave per trasformare e stigmatizzare ogni eventi in un “attentato” nei confronti degli unici capri espiatori dell’occidente: i musulmani. Questo non significa che l’islamofobia, quella reale, non esista, ma è un dato di fatto che la maggior parte delle organizzazioni che si propongono come unici difensori dei musulmani appartengono alla rete ideologica della Fratellanza. La stessa rete che fa riferimento a Yusuf Qaradawi e alle due istituzioni da lui presiedute ovverosia il Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca a Dublino e l’Unione Internazionale degli ulema a Doha. Non solo nessuna di queste due istituzioni – a onore del vero, al pari comunque dell’Università islamica di al-Azhar e di altre istituzioni islamiche – ha mai dichiarato finita l’epoca del jihad armato, ma si è solo premurata a definirlo, a circostanziarlo e a limitarlo all’aspetto difensivo, ma crede fermamente nella liceità della resistenza armata in presenza di un oppressore o un occupante, di un tiranno o di un despota.

D’altronde proprio il Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca nel corso della sua decima assemblea, tenutasi a Dublino nel gennaio 2003, emise la decisione 38 sulla definizione di terrorismo in cui si affermò chiaramente che “non esiste alcuna relazione tra il concetto di jihad islamico e quello di terrorismo”, che “terrorismo indica il ricorso metodico alla violenza illecita, oppure alla sua minaccia […]”, che “il terrorismo non include la resistenza lecita (o la difesa lecita) contro l’occupazione straniera con tutti i mezzi possibili inclusala resistenza armata poiché in modo particolare tutte le leggi internazionali vi fanno riferimento.” Nel luglio dello stesso anno il Consiglio Europeo riprende la riflessione su terrorismo e jihad a Stoccolma durante la sua undicesima Assemblea. La decisione 45 titola “Il jihad e la negazione di ogni legame con il terrorismo”. Si citano in primo luogo i seguenti versetti coranici a dimostrazione del fatto che il Corano richiama all’amore, alla convivenza pacifici, alla comprensione: “O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e una femmina” (49:13); “Allah non vi proibisce di essere buoni e giusti nei confronti di coloro che non vi hanno combattuto per la vostra religione e che non vi hanno scacciato dalle vostre case, poiché Allah ama coloro che si comportano con equità.  Allah vi proibisce soltanto di essere alleati di coloro che vi hanno combattuto per la vostra religione, che vi hanno scacciato dalle vostre case, o che hanno contribuito alla vostra espulsione. Coloro che li prendono per alleati, sono essi gli ingiusti” (60: 8-9) Nel paragrafo successivo si chiarisce che i versetti illustrano il concetto di jihad che è stato “mal compreso nel passato e nel presente”, si chiarisce altresì che esistono vari tipi di jihad tra cui il “jihad per purificare l’anima, il jihad con il denaro, la lingua, la penna, il sapere e la tecnica”, unitamente al “jihad con il Corano” come recita il versetto “Non obbedire ai miscredenti; lotta con esso vigorosamente” (25:52). Il testo del Consiglio Europeo prosegue affermando che “tra le tipologie di jihad v’è il jihād sul campo di battaglia, che nel Corano viene indicato con il termine qitāl, in virtù di una lecita difesa dell’anima e una risposta al nemico così come giudicano, in accordo unanime,  i giuristi in base ai versetti seguenti: “Combattete per la causa di Allah contro coloro che vi combattono, ma senza eccessi, ché Allah non ama coloro che eccedono” (2:190) e “A coloro che sono stati aggrediti è data l'autorizzazione [di difendersi], perché certamente sono stati oppressi e, in verità, Allah ha la potenza di soccorrerli” (22:39). I giuristi sono concordi altresì sulla legalità del jihad per resistere a ogni genere di oppressione, quali la cosiddetta pulizia etnica, l’occupazione militare delle loro terre, unitamente all’oppressione religiosa così come afferma Allah, Egli è l’Altissimo: “Combatteteli finché non ci sia più politeismo, e la religione sia tutta per Allah. Se poi smettono? Ebbene, Allah ben osserva quello che fanno.” (8:39)” 

Nonostante il testo si concluda con un invito al “jihad pacifico” è evidente che il Consiglio Europeo per la Fatwa, presieduto da Qaradawi e seguito dall’islam organizzato europeo e italiano, non abbia alcuna intenzione di negare la validità del jihad in epoca contemporanea. Come sosteneva Gamal al-Banna, fratello minore di Hasan al-Banna, quest’ultimo nella sua “Lettera del jihad”, negli anni Quaranta del secolo scorso, ha “riportato l’islam alla sua vocazione jihadista, affermando che il jihad è un dovere del passato che è valido sino al Giorno del Giudizio” e l’unica differenza tra lui e altri pensatori è “considerare il jihad un dovere e non IL dovere” del musulmano. 

Quanto accaduto a Parigi, San Bernardino, Tunisi, Londra sta dimostrando che il livello del terrorista fai da te si sta affiancando a quello del terrorismo islamico organizzato. Tutto ciò è ancora più facile da realizzarsi in ambito islamico laddove non esiste un’autorità dirimente e laddove esiste, per lo meno apparentemente come in Europa, è un’autorità che distingue tra jihad e resistenza, tra jihad lecito e illecito. Sarebbe opportuno che le autorità analizzassero a fondo ogni parola che viene scritta o pronunciata da predicatori e imam che agiscono o interagiscono con le organizzazioni dell’estremismo moderato e forse scoprirebbero che il nostro “jihad militare” contro il Califfo dovrebbe, anzi avrebbe dovuto, essere preceduto da uno sforzo per fermare la predicazione di chiunque, come la maggior parte dei membri del Consiglio Europeo, faccia prevalere la legge islamica al diritto internazionale e chi, come Qaradawi, ha sostenuto l’intifada delle pietre e gli attentati suicidi prima e dei coltelli ora in Israele e ha definito jihad, la lotta contro il tiranno in Siria. Sarà un caso, ma a Londra il 5 dicembre si sono usati i coltelli per difendere la Siria.