Dal cilindro del Terzo Polo, spunta la Moratti
Letizia Moratti ha annunciato di volersi candidare alla presidenza della Regione nelle liste del Terzo Polo. La scelta della Moratti è un fatto politico rilevante sul piano nazionale. Ancora confusa la posizione del Pd, il cui elettorato la guarda con sospetto, ma che potrebbe trovarsi costretto a votarla. Riuscirà nella sua impresa?
La notizia era nell’aria da mesi, ma ieri è diventata ufficiale. Letizia Moratti, che soltanto 4 giorni prima si era dimessa da assessore al welfare e vicepresidente della Regione Lombardia, ieri ha annunciato di volersi candidare alla presidenza della Regione nelle liste del Terzo Polo. Di fatto l’investitura era già arrivata sabato 5 all’Arco della Pace, a Milano, durante una manifestazione per la pace in Ucraina organizzata proprio da Matteo Renzi e Carlo Calenda. La Moratti era salita sul palco ed era stata applaudita dai pochi partecipanti al sit-in, ma si era capito che si trovava lì per prepararsi all’annuncio della sua candidatura. Che è arrivata 24 ore dopo.
La scelta della Moratti è un fatto politico rilevante sul piano nazionale. L’ex sindaco di Milano ha una storia di centrodestra e negli ultimi trent’anni ha ricoperto ruoli rilevanti in quanto espressione della coalizione guidata da Silvio Berlusconi. Ora prova a portare dall’altra parte un po di voti, augurandosi che bastino per farle ricoprire il ruolo attualmente nelle mani del leghista Attilio Fontana. Le riuscirà l’impresa?
Al momento sembrerebbe un tentativo abbastanza disperato e velleitario. Il Terzo Polo è andato benino in Lombardia alle elezioni del 25 settembre, ma si parla sempre di percentuali a una cifra, intorno all’8, quindi poco sopra il risultato che quel tandem Renzi-Calenda ha raccolto su base nazionale. Con quei voti non si va da nessuna parte e si eleggono al massimo un po di consiglieri di minoranza. La Moratti mira a ben altro e non ne fa mistero. Ieri, nell’annuncio della sua candidatura, ha parlato di nuovo progetto civico, di sfida. Intende, cioè, girare i territori e proporre il suo programma. Lei, però, non ha mai fatto più di tanto politica sul territorio. Fu chiamata a ricoprire il ruolo di assessore al welfare in Regione Lombardia dopo che il forzista Giulio Gallera fu costretto alle dimissioni perché gli imputarono alcuni errori nella gestione dell’emergenza Covid. Chiese e ottenne di diventare anche vicepresidente, ma è falso che Berlusconi le avesse promesso la staffetta con Fontana al termine della consiliatura, quindi alle prossime elezioni previste per marzo 2023.
Lei ha forzato la mano nell’ultimo periodo, minacciando di candidarsi per conto suo, ed è stata di parola. Ma rimane pur sempre una donna di centrodestra con poco appeal elettorale (il suo ormai ex schieramento lo scoprì amaramente undici anni fa quando la vide perdere da sindaco uscente contro l’avvocato penalista Giuliano Pisapia, che conquistò Palazzo Marino) e, soprattutto, sempre guardata con sospetto dai politici e gli elettori di sinistra, che ora potrebbero ritrovarsi costretti a votarla.
Infatti, il Pd nelle ultime ore non ha escluso un’alleanza con il Terzo Polo nella corsa alla Presidenza della Regione Lombardia, magari con un ticket Carlo Cottarelli (neo senatore dem)-Letizia Moratti. E chi dei due sarebbe candidato presidente? Facile prevedere che Letta, Renzi e Calenda si scannerebbero tra di loro per stabilirlo. Neppure le primarie di coalizione potrebbero sbrogliare la matassa, anzi finirebbero per lacerare ulteriormente il centrosinistra, visto che il nome della Moratti risulta indigesto a molti della sinistra e dunque risulterebbe divisivo.
Più facile immaginare, quindi, una corsa solitaria della Moratti con il Terzo Polo contro Attilio Fontana (centrodestra) e Carlo Cottarelli o un altro candidato per la sinistra. L’elettorato in questo caso non capirebbe, oppure capirebbe fin troppo bene che una donna con una brillante carriera come la Moratti ha fatto prevalere il rancore e lo spirito di rivalsa contro il centrodestra che pure le aveva garantito successo e prestigiosi incarichi istituzionali. Lei ha dimostrato anche nel sociale il suo valore ed è piena di risorse economiche, ma in politica i voti si prendono tramite i partiti e i partiti di centrodestra l’hanno sempre appoggiata lealmente. Lei se n’è andata invece sbattendo la porta, dopo aver condiviso fino all’ultimo le scelte fatte dalla giunta Fontana. Come riuscirà a distinguersi dalla coalizione della quale ha fatto parte fino a due giorni fa? Lei sbandiera come un suo merito la campagna vaccinale in Lombardia, ma il governatore Fontana, dopo che lei si è dimessa, ha subito nominato al suo posto Guido Bertolaso, che di quella campagna è stato l’altrettanto convinto sostenitore.
Rimane dunque un mistero capire quali saranno i cavalli di battaglia che la neocandidata cavalcherà nei prossimi mesi per chiedere il voto ai cittadini lombardi. Infine un’amara riflessione, che vale per la Moratti, per Renzi e Calenda, ma anche per Enrico Letta e Giuseppe Conte. I primi tre a Milano e gli altri due a Roma hanno tentato di intestarsi il merito delle manifestazioni per la pace in Ucraina di sabato scorso. Dai loro comportamenti e dalle loro dichiarazioni è però emersa nitidamente la vera finalità di quelle presenze in piazza: strumentalizzare anche le polemiche sulla guerra, per conquistare un pugno di voti in più. In passato avevano accusato il centrodestra di alimentare la protesta popolare per fini elettorali, ora si è capito che i leader del centrosinistra, nel tentativo di frenare l’emorragia di voti, provano ad agitare le piazze, usando perfino la tragedia ucraina. Sul piano della maturità democratica delle opposizioni questa legislatura è partita davvero col piede sbagliato.