Da Ratzinger a Benedetto XVI, il racconto di una vita
Dall’infanzia accanto ai genitori che recitano insieme il Rosario ogni giorno fino all’elezione al soglio di Pietro e poi alla rinuncia. Nella poderosa biografia “Benedetto XVI. Una vita” (pp. 1292), lo scrittore e giornalista Peter Seewald ripercorre l’esistenza di Joseph Ratzinger, alternando discorsi pubblici a ‘confessioni’ private dell’attuale papa emerito, che ha affrontato le sfide contemporanee della Chiesa con carità ma senza timore di apparire scomodo al mondo.
«Joseph Ratzinger ha fatto la storia. Novellino al Concilio, innovatore della teologia, prefetto che al fianco di Karol Wojtyła ha guidato la Chiesa in una fase storica tumultuosa. Ed è stato inoltre il primo papa a dimettersi dall’incarico per motivi di età: mai prima d’ora è esistito un “papa emerito”. Mai prima d’ora, e da un giorno all’altro, un singolo uomo ha cambiato il papato in modo tanto decisivo».
Così scrive Peter Seewald nella poderosa biografia Benedetto XVI. Una vita (pp. 1292, edita in italiano da Garzanti, 2020), dedicata appunto al papa emerito. Lo scrittore tedesco, che dal 1992 a oggi ha avuto modo di porgergli circa duemila domande, definisce Ratzinger «uno dei pensatori più intelligenti dei nostri tempi», che «ha mostrato che religione e ragione non sono in contrapposizione».
Seewald rileva l’abitudine appresa sin dall’asilo da parte di Ratzinger di preferire la matita alla penna per scrivere, così da poter aver sempre l’opportunità di cancellare. Un’abitudine che lo accompagnerà anche nella stesura dei suoi libri. «Da giovane - sottolinea Seewald - amava anche comporre poesie, ma soprattutto si sentiva chiamato a “trasmettere ciò che è stato conosciuto”, andando sempre più a fondo». E lo faceva coniugando mente e cuore, «in modo emozionale riguardo alle esperienze interiori e spirituali, e in modo razionale nel momento in cui considerava il messaggio della fede anche come sfida intellettuale».
Una fede solida, quella dei Ratzinger, coltivata tra le mura domestiche sin dall’infanzia; così «più crescevano le pressioni della dittatura e la miseria generale, più si faceva intensa la devozione della famiglia. I genitori recitano insieme il Rosario quotidianamente». Dopo cena tutti insieme recitano diverse volte il Padre Nostro e invocano la protezione di San Giuda Taddeo per una buona morte e quella di San Disma per essere liberati da ladri e criminali. In una famiglia modesta, impara a «conciliare la vita con quello che è possibile e a trovare gioia nel poco che si ha: questo era in sostanza l’ora et labora della regola di san Benedetto». Di qui, quando diventa professore a Tubinga, devolve parte del suo stipendio per pagare gli studi ai suoi studenti più poveri. Tra le sue doti si ritrovano anche tanta umiltà e riservatezza. Infatti «si percepiva che era un teologo geniale, ma non ha mai ostentato la sua peculiarità. Non ha mai nemmeno fatto pesare di essere il “capo”». Eppure a scuola i compagni lo chiamavano scherzosamente “Joseph l’onnisciente”.
Rispetto alla minaccia rappresentata dal poter di Hitler, Joseph scrive: «Nella fede dei miei genitori avevo trovato la conferma che il cattolicesimo fosse il baluardo della verità e della giustizia contro il regno dell’ateismo e della menzogna rappresentato dal nazionalsocialismo».
La sua passione per gli studi filosofici e teologici, in particolare per sant’Agostino, del quale afferma: «Lo sento come un amico, un contemporaneo che parla a me», lo induce a condividere lo stesso anelito esistenziale del vescovo d’Ippona, ossia a divenir consapevole che «più conosci Gesù e più il suo mistero ti attrae; più lo incontri e più sei spinto a cercarlo».
I corsi del professor Ratzinger sono seguitissimi; i suoi appunti per le lezioni «erano scritti nella stenografia che lui stesso aveva inventato e contenevano solo la traccia dei temi principali che intendeva trattare. In aula parlava a braccio, usando frasi molto chiare e ricche di immagini…».
Ratzinger partecipa al Concilio Vaticano II in qualità di perito e ricorda la sua posizione di quegli anni in questi termini: «Certo che ero progressista. A quei tempi progressismo non significava rompere con la fede, ma imparare a comprenderla meglio e a viverla in modo più giusto, ripartendo dalle sue origini». Infatti, nel contempo «era convinto che la sola intenzione di adeguarsi al mondo, senza trovare un giusto equilibrio con la tradizione, avrebbe condotto la Chiesa non a conquistare nuovi fedeli, ma a perdere se stessa».
Intelligenza acuta, capacità di amare nella verità, zelo pastorale per vicini e lontani contraddistinguono Joseph Ratzinger anche quando diventa Benedetto XVI. «La sua comunicazione era ancora spesso quella di un uomo da scrivania, la cui natura riservata e delicata non era progettata per adattarsi ai media». Anziché servirsi di slogan, Benedetto XVI preferisce infatti i contenuti, le argomentazioni per rendere ragione della speranza cristiana. Giornali e Tg estrapolano invece di frequente alcune sue frasi per manipolare l’informazione. Lo testimoniano, per ricordare qualche esempio, gli attacchi ingiustificati alle sue dichiarazioni rispetto alla questione dei preservativi in Africa, il presunto poco rigore nella gestione dei casi di pedofilia nella Chiesa e il caso Vatileaks. Tutti pretesti per colpire Benedetto XVI e, con lui, infangare l’intera Chiesa.
Eppure egli, con paziente lavoro apostolico, continua fino alla fine nell’opera di ‘demondanizzazione’ della Chiesa, gettando le basi per una nuova evangelizzazione, alla quale contribuisce alacremente con profonde encicliche, mirabili catechesi e la splendida opera Gesù di Nazareth: «Il suo obiettivo era di continuare a resistere, di rimanere scomodo, sconveniente, per dimostrare ancora una volta che la fede cristiana andava ben oltre qualsiasi cosa fosse collegata a una visione del mondo puramente mondana e materialistica, incluso il segreto della vita eterna».
Completamente cieco all’occhio sinistro per la maculopatia e con un’artrosi al ginocchio destro che gli ostacola la mobilità, rassegna le proprie dimissioni con un’ammirevole libertà interiore, preoccupato solo di dar seguito al disegno misterioso d’amore del Padre. E, rispetto all’inedita missione di papa emerito, Benedetto XVI dichiara al suo intervistatore che essa consiste nel «servire la sede di un tempo nell’interiorità del proprio rapporto con Dio, nella partecipazione e dedizione della preghiera». Relativamente al rapporto con Papa Francesco, ammette infine che la sua amicizia con lui «è andata crescendo nel tempo».
La biografia di Seewald, che dedica circa 900 pagine a raccontare la vita di Joseph Ratzinger prima della sua ascesa al soglio di Pietro, si legge piacevolmente come un romanzo perché dedica ampio spazio anche al contesto storico e a numerosi retroscena della Chiesa, dal dibattito teologico internazionale al resoconto del conclave, alternando sapientemente stralci dei discorsi pubblici a ‘confessioni’ private inedite dell’«umile lavoratore nella vigna del Signore».