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FAMIGLIA

Da motore dello sviluppo a soggetto debole

Ideologia, crisi economica e insipienza della politica stanno mettendo alle corde la famiglia. Ma dalla crisi si esce solo riconoscendo il ruolo economico e sociale della famiglia, mettendola al centro delle relative politiche economiche e sociali, e in particolar modo culturali.

Famiglia 02_02_2016
Famiglia

«La famiglia è un soggetto economico peculiare», i cui «forti legami di solidarietà [interni] sono un carattere dalle radici profonde, resistente ai cambiamenti economici, politici e sociali». Così la cellula della società viene descritta dalla Banca d'Italia in un suo recente intervento, quasi a suggerire l'oggettività della differenza ontologica della stessa rispetto ad altre forme di unione. Storicamente, la famiglia ha svolto un ruolo importante di supplenza rispetto allo stato nel sostegno al reddito per i giovani e ai bisogni di cura dei bambini e delle persone non autosufficienti, a causa (anche se non è chiaro a livello accademico il nesso di causalità) del minor sviluppo delle politiche sociali e dei servizi offerti dal mercato.

Questo ruolo di protezione sociale affidato alla famiglia si è intensificato molto durante questi anni di crisi economica, assumendo il carattere di vero e proprio ammortizzatore sociale, con il risultato di limitare l'impatto della recessione sul benessere delle famiglie. Semplificando, le pensioni e le liquidazioni dei nonni hanno sovvenzionato figli e nipoti disoccupati, che in alcuni casi sono stati riaccolti nelle famiglie di origine non potendo più pagare affitti e mutui. La crisi ha dunque gravemente inciso sui redditi delle famiglie italiane, riducendone la capacità di risparmio, nonché aggredito pericolosamente la ricchezza accumulata negli anni, sia finanziaria che patrimoniale. E, come se non fosse bastata la crisi del mercato del lavoro, anche l'austerità fiscale ha accentuato lo sforzo richiesto dalle famiglie, attraverso i tagli alle spese sociali necessari per rispettare i (folli) vincoli di bilancio imposti dalle autorità europee.

Quindi, ricapitolando, il fuoco incrociato di disoccupazione in aumento, pressione fiscale crescente, diminuzione del patrimonio immobiliare e calo dei redditi ha colpito duramente le famiglie, lasciando dei segni congiunturali ma anche strutturali sulla loro vitalità economica: non solo si è manifestata la difficoltà di sbarcare il lunario, ma la lunghezza e l'asprezza della crisi hanno anche modificato la capacità di accumulo tipico della famiglia, minandone risparmio ed investimenti, e quindi la sopravvivenza futura.

In questi ultimi venti anni abbiamo assistito alla trasformazione della famiglia da motore di sviluppo economico (attraverso consumi e risparmio, senza contare gli investimenti delle piccole e medie imprese, nella maggior parte a conduzione familiare) e corpo sociale capace di integrare e sopperire alle lacune del welfare pubblico, a soggetto debole del ciclo economico, che necessita di politiche sociali per sopravvivere. Insieme a questo dato di fatto, si inserisce il problema della sostenibilità del modello italiano di welfare basato principalmente sulla famiglia, dato che esso dipende anche dall'evoluzione dell'economia.

Negli ultimi anni si è notato, infatti, come le condizioni economiche delle famiglie siano influenzate dal numero di redditi percepiti e dall'allungamento della vita lavorativa dei suoi componenti, in quanto questi fattori determinano la diminuzione del tempo dedicato alle cure intra-familiari, con l'estinzione del ruolo della famiglia come centro di sostegno materiale. La crisi ha inoltre reso più dipendenti i giovani, sia economicamente che socialmente, dalle condizioni della famiglia di origine, riducendone la propensione a metter su famiglia. 

Tutte queste sfide andrebbero affrontate attraverso politiche familiari ben definite, differenti in base alle diverse concezioni antropologiche che si assumono: se si punta alla famiglia secondo il dettato costituzionale le politiche da implementare sarebbero quelle basate sui (ricchi) sussidi per famiglie numerose (con mogli, figli ed anziani a carico), oltre che sugli interventi di armonizzazione famiglia-lavoro per le donne; se si punta invece sulla famiglia mono-nucleare (ovvero sulla non-famiglia), gli investimenti riguarderebbero la fornitura dei servizi offerti dallo stato o dal mercato (asili, case di cura).

Una riflessione a margine (ma non marginale) si pone infine sulla genesi di questa crisi, che non ha solo cause economiche: la questione da porre è il legame tra crisi economica e crisi antropologica, e quindi familiare. La diffusione di una forte mentalità individualista e la compressione media dei salari reali, tendenze manifestatesi negli ultimi cinquant'anni, hanno portato ad un aumento relativo dei consumi (spesso a debito), con una conseguente diminuzione del risparmio e della ricchezza, e ad una diminuzione della generatività delle famiglie (entrambi indicatori della poca speranza - ed interesse - nel futuro).

Essere membro di una famiglia impone infatti una visione di lungo periodo e un impegno che trascendono il proprio benessere individuale, in quanto ci pone all'interno di un progetto generativo che va oltre la propria esistenza. Si potrà uscire dalla crisi solo riconoscendo il ruolo economico e sociale della famiglia, mettendola al centro delle relative politiche economiche e sociali, e in particolar modo culturali. Il Family day dovrebbe servire anche per questo.