Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Marco a cura di Ermes Dovico
GUERRA DI INFORMAZIONE

Da Hong Kong al resto del mondo, la Cina esporta repressione

L’abrogazione della legge sull’estradizione parrebbe una manovra di retromarcia per svuotare le piazze dei manifestanti. Ma molti sintomi suggerirebbero che la crisi non rientrerà tanto facilmente. Uno di questi è la guerra di informazione e boicottaggio scatenata dalla Cina in tutto il mondo, contro chiunque solidarizzi con Hong Kong.

Esteri 25_10_2019
Poliziotto anti-sommossa con insegne cinesi a Hong Kong

Dopo cinque mesi di proteste ad Hong Kong contro il governo locale e il regime di Pechino, è facile aver dimenticato l’origine della crisi. All’inizio c’è stato un omicidio, quello di Poon Hiu-wing una ragazza 19enne incinta, a Taiwan, nel febbraio 2018.

Il colpevole, che ha confessato, si chiama Chan Tong-kai, 20 anni. E’ stato arrestato al suo ritorno a Hong Kong. Oggi lo si ricorda perché le autorità di Hong Kong lo hanno rilasciato ieri dalla prigione di Pik Uk. E’ uscito per buona condotta. Un pastore anglicano che lo ha seguito tutti i giorni, Peter Koon Ho-ming, assicura che si sia pentito. L’omicida, uscendo di galera ha chiesto pubblicamente scusa. Le autorità ritengono che possa recarsi “liberamente” a Taiwan, per il processo. Ma Taiwan risponde che possa presentarsi solo se scortato da agenti taiwanesi. E questo potrebbe aprire un altro caso diplomatico, perché Hong Kong, che è ufficialmente parte della Repubblica Popolare Cinese, non può ammettere ufficialmente la presenza di polizia di una Taiwan che per Pechino “non esiste”. Come è possibile che una vicenda giudiziaria sia sfociata nella più grave crisi politica cinese di inizio millennio? Perché non c’era una legge a Hong Kong che permettesse di estradare Chan Tong-kai a Taiwan. Il caso di omicidio è stato preso a pretesto da Carrie Lam, capo dell’esecutivo di Hong Kong, per emanare la controversa legge sull’estradizione. Che permette di estradare, per un processo, cittadini di Hong Kong non solo a Taiwan, ma anche nella Repubblica Popolare. E quindi, nel timore di veder demolita anche l’autonomia giudiziaria di Hong Kong, la gente ha incominciato a scendere in piazza, con manifestazioni di oltre un milione di persone alla volta, dalla metà di giugno. Martedì la legge sull’estradizione è stata anche ufficialmente abrogata, nel tentativo di far rientrare la protesta. Troppo poco e troppo tardi?

La scarcerazione di Chan Tong-kai, la disponibilità di Taiwan di processarlo sul suo territorio, l’abrogazione della legge sull’estradizione, parrebbero tutte manovre di retromarcia per contribuire a svuotare le piazze dai manifestanti. Ma non è detto che Carrie Lam sia ancora credibile. Questa è la terza volta che viene annunciato il ritiro della legge sull'estradizione. La terza volta in due mesi. La prima volta la norma era "sospesa" e "di fatto" archiviata. La seconda volta era, forse, "ritirata". Ora parrebbe abrogata. Non è detto che gli oppositori, ormai avvezzi a questi escamotage, ci credano. Inoltre, le richieste del movimento di protesta, ormai, sono cinque. L’abrogazione della legge è solo una delle cinque. La seconda richiesta è l’apertura di un’indagine sulle azioni repressive della polizia, sospettata di aver commesso abusi che arrivano sino alla tortura dei prigionieri e allo stupro. La terza è il ritiro delle accuse di “sommossa” riferita alle proteste di Hong Kong. La quarta è il rilascio dei manifestanti. La quinta e più difficile: dimissioni di Carrie Lam e suffragio universale per la scelta del prossimo governo locale. Carrie Lam potrebbe anche venire incontro alle prime quattro richieste, ma ha già detto in via confidenziale a funzionari cinesi (in una conversazione che è subito trapelata alla stampa) che non è libera di dare le dimissioni. La domanda di suffragio universale, obiettivo anche della grande protesta di Hong Kong del 2014 (Occupy Central, o Rivolta degli Ombrelli) incontra la sorda opposizione di Pechino, che vuole continuare a controllare il governo della città e vede ogni richiesta di riforma democratica come un tentativo di “separazione” dell’enclave che fu colonia britannica fino al 1997.

La natura stessa del regime comunista di Pechino fa presagire che la crisi non rientrerà tanto facilmente. Un sintomo è costituito dalla guerra di informazione ingaggiata capillarmente dalla Cina in tutto il mondo. Ogni individuo che esprime simpatia o solidarietà con la causa di Hong Kong subisce piccole o grandi rappresaglie. Il caso più celebre è quello di Daryl Morey, presidente degli Houston Rockets, squadra di basket americana, che ha twittato il suo sostegno alla causa della protesta. La sua squadra è stata esclusa immediatamente dalla Cina, le sue partite non saranno più trasmesse dalle televisioni di Stato cinesi e gli sponsor della Repubblica Popolare hanno subito ritirato i loro investimenti. Adam Silver, presidente dell’Nba (il campionato di basket statunitense) ha dichiarato il 17 ottobre, che “le conseguenze finanziarie sono state e continuano ad essere, abbastanza drammatiche”. In un'altra disciplina ludica, Ng Wai Chung, campione del videogioco Hearthstone, è stato sospeso per un anno dalle competizioni, per volontà della Blizzard, la casa produttrice. Dopo aver vinto il torneo dell’area Asia Pacifico aveva inneggiato alla liberazione di Hong Kong. Sono stati licenziati anche i due commentatori di Taiwan che stavano facendo la cronaca della partita di torneo quando venivano rilasciate le dichiarazioni di Chung. Trey Parker e Matt Stone, autori del cartone animato South Park, sono gli unici che hanno reagito con fermezza e ironia all’ondata di boicottaggi. Di fronte alla protesta di Pechino, per una puntata in cui mostravano i metodi repressivi del regime, hanno risposto con una finta auto-critica pubblica, in stile maoista, in cui elogiano “il censore cinese che entra in casa nostra e nei nostri cuori”.

Nemmeno l’Italia è esclusa da questa campagna cinese. Alla manifestazione di studenti e cittadini di Hong Kong a Milano, il 28 settembre, la comunità cinese ha risposto con un’aperta intimidazione. Gli studenti sono stati circondati e insultati. Fotografati, le loro immagini sono finite sul web, dove continuano a subire insulti e minacce online. Con una manifestazione di solidarietà, il 12 ottobre, il neonato Istituto Liberale, ha raccolto in Piazza Castello a Milano, circa 200 persone. Anche in questo caso, i cinesi filo-Pechino hanno subito fatto presenza con bandiere rosse e inni, a pochi metri dalla manifestazione. E pure qui la Cina ha reagito sul Web, con un articolo insultante, pubblicato sul sito di una scuola cinese, dove i manifestanti pro-Hong Kong sono stati definiti “adolescenti-spazzatura”. E questi sono solo due esempi di reazioni a iniziative relativamente piccole e locali. A dimostrazione che la Cina "è vicina", è praticamente ovunque.

Oltre ad essere, naturalmente, anche la dimostrazione che la Cina non ha alcuna intenzione di far concessioni a Hong Kong. Basti vedere gli slogan delle contro-manifestazioni e dei boicottaggi promossi dai cinesi: esprimono solidarietà alla polizia, invocano un’azione che riporti l’ordine, accusano potenze stranieri (Usa, Regno Unito…) di voler frammentare la Cina, rivendicano un orgoglio cinese per “difendere” una città, Hong Kong, che non si sente affatto parte del regime di Pechino.