Da europei, non abbiamo problemi di privacy su WhatsApp
WhatsApp, il sistema di messaggistica acquisito da Facebook, ha cambiato i termini della privacy dei suoi utenti e ha fatto sottoscrivere a tutti un consenso per l'impiego dei nostri dati a fini commerciali. Ciò ha provocato una grande fuga verso Signal e Telegram. Ma in Europa è inutile, già la legge (Gdpr) protegge i nostri dati sensibili.
Anno nuovo, nuovo problema di privacy. Anche questa volta ci tocca fare i conti con l’impiego dei nostri dati a fini commerciali e alla delibera del consenso da parte degli utenti, e sul banco degli imputati sale WhatsApp. Il sistema di messaggistica acquisito da Facebook è stato, negli anni, al centro di diverse controversie in merito all’uso dei dati acquisiti dalle nostre conversazioni a scopo di marketing. Il fatto che Zuckerberg non sia sempre stato chiaro e inequivocabile nelle sue dichiarazioni – men che meno nei fatti, come ricordano i fatti di Cambridge Analytica – non ha aiutato l’opinione pubblica a farsi un’idea corretta della situazione. Fatto sta che dall’8 febbraio i termini della privacy su WhatsApp saranno aggiornati: più interessante è capire come.
All’inizio di quest’anno è stato chiesto all’utenza di WhatsApp di aggiornare alcuni elementi riguardanti la privacy in relazione ai servizi commerciali. In qualunque angolo del mondo il fruitore di Whatsapp ha dovuto acconsentire a queste modifiche, pena l’inutilizzo della piattaforma. Questo ha provocato un esodo di massa verso sistemi di micromessaggistica privati innovativi, che sembrano garantire un uso più trasparente ed oculato dei dati evinti dalle conversazioni. Applicazioni come Telegram o Signal hanno visto un’impennata delle iscrizioni grazie all’esodo di massa dalla piattaforma della corporation di Facebook. Edward Snowden, attivista politico ed informatico, e Jack Dorsey, CEO di Twitter, ospite di molte pagine di quotidiani per aver bannato permanentemente l’account di Trump, sponsorizzano Signal al posto di WhatsApp, fomentando un passaggio che, in Europa, ad oggi serve molto a poco.
Sì, perché se nel resto del mondo il trasferimento dei dati di WhatsApp all’interno del data lake di Facebook avverrà, mettendo a sistema conversazioni pubbliche (da Facebook ed Instagram) e quelle private (da WhatsApp), in Europa la GDPR – il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati in vigore dal 2016 – vincola molto la libertà di movimento del colosso californiano. I dati che Facebook utilizza per veicolare messaggi pubblicitari customizzati - come per esempio il numero di cellulare o i contatti rubricati – sono infatti già impiegati dalla corporation a fini commerciali, ma è un passaggio che poteva essere escluso dalle impostazioni del sistema. Oggi invece, fuori dall’Europa, questo vincolo non esisterà più, e Facebook ha carta bianca.
È cosa normale che spesso le applicazioni aggiornino i termini di utilizzo, ma in questa sede Facebook ha preferito affossare tutto in un noioso e prolisso burocratese piuttosto che essere trasparente fin da subito, rinfocolando l’opinione pubblica che la vede come il “Grande Fratello” capace di conoscere i nostri comportamenti fin nel dettaglio più scandalistico. Questo, tuttavia, non è possibile in Europa, dove i vincoli del GDPR non consentono mai (o quasi mai) la portabilità del dato. In questo senso, Facebook si è incontrata con l’Autorità Garante della privacy irlandese DPC e, discutendo del fatto, hanno confermato che i dati condivisi da WhatsApp a Facebook non saranno utilizzati per migliorare l’esperienza utente sul social network. In parole povere, non saranno impiegati per sviluppare strategie commerciali sulla base dei dati evinti.
Allora, perché espandere anche all’utenza europea i nuovi termini di privacy? Anzitutto, i termini non sono uguali da nazione a nazione, ma cambiano. In Europa, ad esempio, la parte relativa al “marketing” riguarda semplicemente l’utilizzo di WhatsApp da parte di aziende e seller che vogliono comunicare con i clienti, non sull’impiego dei dati. Quindi, questo esodo dalla piattaforma non può essere giustificato dalla “caccia alle streghe” del patron Zuckerberg contro il popolino. Ma la terra scotta sotto i piedi di Facebook: per quanto tempo potrà ancora adoperare senza essere completamente trasparente i nostri dati? Quando gli Stati potranno fare fronte comune per una legislazione coerente e ordinata della privacy policy? Questa confusione denota ancora una volta la difficoltà che hanno data corporation, rappresentati governativi e la stampa di dialogare di un elemento fondamentale della realtà odierna come l’impiego dei nostri dati. Ancora una volta, da questo incontro, ne escono tutti sconfitti. Tranne, forse, Telegram e Signal.