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LE REAZIONI AL VIAGGIO

Da Biden agli sciiti iraniani, plausi per il Papa in Iraq

Il viaggio apostolico in Iraq ha riportato Francesco al centro dell’attenzione. Diverse le reazioni positive, dal presidente degli Stati Uniti, che ha parlato di visita “grandiosa”, al premier iracheno al-Kadhimi. Un po’ a sorpresa il viaggio è stato celebrato pure sui media iraniani. Favorevole anche il commento di Enzo Bianchi, che tuttavia conclude con un ambiguo “per ora” riferito al Papa.

Ecclesia 09_03_2021

Nella consueta conferenza stampa aerea, un giornalista ha chiesto ieri a papa Francesco se quello appena concluso dovesse essere considerato “il” viaggio del suo pontificato per via dell’enorme ripercussione che ha avuto in tutto il mondo. In effetti i tre giorni pieni in Iraq hanno riportato Francesco al centro dell’attenzione mondiale come non succedeva dalla preghiera per la fine della pandemia andata in scena quasi un anno fa in una Piazza San Pietro deserta.

Persino il presidente degli Stati Uniti si è scomodato a commentare la visita papale nel Paese mediorientale, utilizzando gli aggettivi “storica” e “grandiosa” per definirla. Joe Biden lo ha fatto in una nota in cui ha espresso tutta la sua ammirazione per l’impegno di Francesco “a promuovere la comprensione tra fedi”. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha un occhio di riguardo per la situazione irachena come dimostrato dal fatto che la prima operazione militare autorizzata dalla sua amministrazione è stata proprio un raid contro la base delle milizie Kataib Hezbollah e Kataib Sayyid al-Shuhada al confine tra Siria e Iraq. Un “messaggio”, così lo aveva definito il Pentagono, per fermare l’escalation di razzi avviata dalle milizie filoiraniane proprio nelle settimane precedenti la partenza di Bergoglio.

Un po’ a sorpresa, però, il viaggio apostolico è stato celebrato anche sui media iraniani. Non solo i fogli più riformisti, ma anche il governativo Iran Daily ha visto con favore l’incontro con l’ayatollah Ali al-Sistani, arrivando a parlare di “vittoria per lo sciismo e il cristianesimo” e interpretando la visita papale come la conferma che “il cristianesimo è vivo in Iraq” nonostante le “sofferenze” provocate dall’Isis. E proprio all’occupazione del Daesh ha fatto riferimento anche il conservatore Resalat secondo cui la libertà del Papa di viaggiare in Iraq non sarebbe stata possibile senza il “molto sangue dei giovani coraggiosi dell’asse della resistenza e alla saggezza dell’autorità sciita”, ma al tempo stesso definendo la visita “una preziosa opportunità per la pace e per alleviare le sofferenze del popolo iracheno”.

Insomma, il faccia a faccia tra Bergoglio e al-Sistani non sembra essere stato interpretato in Iran come uno smacco ad Ali Khamenei, Guida suprema del Paese asiatico e altro punto di riferimento dello sciismo. Al punto che il portavoce del ministero degli Esteri dell’Iran, Said Khatibazadeh, ha dichiarato in conferenza stampa che il viaggio papale è stato “positivo e costruttivo” e dimostra che l’Iraq è diventato “un Paese sicuro”.

Ma è sul fronte interno che il tour del Pontefice pare destinato a lasciare il segno più evidente con il premier Mustafa al-Kadhimi che ha colto subito la palla al balzo per lanciare un appello al dialogo nazionale con un videomessaggio diffuso subito dopo la partenza di Bergoglio da Baghdad. Il capo del governo, nominato a maggio, si trova a doversi muovere stretto tra la morsa di Teheran e Washington, impossibilitato ad inimicarsi le fazioni sciite che gli hanno permesso di insediarsi e al tempo stesso intenzionato a limitare l’influenza iraniana specialmente nell’esercito. Un premier a tempo chiamato a portare il Paese alle elezioni legislative anticipate che lo scorso gennaio sono state rinviate, causa pandemia, ad ottobre prossimo, non senza polemiche soprattutto delle forze sciite.

Il premier al-Kadhimi ha fatto riferimento al “clima di amore e tolleranza” portato nel Paese dalla visita del Papa per chiedere ai partiti politici e ai giovani manifestanti di consentire un tavolo di dialogo responsabile per “preparare lo svolgimento con successo delle elezioni anticipate, e per dare al nostro popolo un’occasione di speranza e fiducia nello Stato e nel sistema democratico”. Insomma, l’ex capo dell’intelligence spera che l’assist internazionale arrivato dal viaggio papale possa blindare il suo governo da manifestazioni di piazza, ‘imboscate’ politiche ed attacchi terroristici almeno il tempo necessario per portare il Paese alle urne in sicurezza.

Oltre alle reazioni delle autorità in giro per il mondo, un altro commento interessante al tour iracheno è quello scritto ieri su Repubblica da Enzo Bianchi, il fondatore della Comunità di Bose protagonista da tempo di un clamoroso braccio di ferro con la Santa Sede, che ne ha disposto - senza successo - l’allontanamento a Cellole di San Gimignano. Proprio alla vigilia della partenza da Baghdad, il Papa aveva incontrato in Vaticano il delegato pontificio padre Amedeo Cencini e l’attuale priore di Bose, Luciano Manicardi, ai quali aveva rinnovato la sua fiducia, confermando la volontà di vedere eseguito il decreto del 13 maggio 2020 con cui era stato imposto a Bianchi di trasferirsi in Toscana. Il fondatore di Bose non l’aveva presa bene ed era tornato all’attacco in un messaggio sulla vicenda pubblicato sul suo blog.

Ieri Bianchi non ha rinunciato appunto a far sapere la sua sul viaggio in Iraq che, a suo modo di vedere, avrebbe mostrato “ancora una volta come Francesco concepisca il suo servizio nella Chiesa e nel mondo: come un servizio a favore di tutta l’umanità”. Dietro al giudizio positivo per il significato della visita, l’autore però non è riuscito a nascondere un velo di amarezza, chissà se condizionato dalla vicenda privata che lo sta riguardando in prima persona. Di Francesco, Bianchi ha scritto che “ormai ne conosciamo il carattere, la postura ed anche i limiti nell’esercizio del ministero petrino che ha assunto con forza e determinazione”, concludendo il commento con una constatazione ambiguamente positiva quando ha scritto che “per ora abbiamo un Papa che è profeta e uomo disarmato, uomo di pace”. Dove l’ambiguo sta nell’utilizzo della locuzione avverbiale “per ora”.