Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
BOMBE

Da Beirut all'Iran, tutto l'arco sciita è in fiamme

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Bombe a Beirut, in un quartiere controllato dagli Hezbollah, dove è stato ucciso Saleh al Arouri, leader di Hamas. Bombe in Iran, quasi cento morti alla celebrazione per Soleimani.

Esteri 04_01_2024
Kerman (Iran) dopo l'attentato (La Presse)

In due giorni tutto l’arco sciita si è incendiato, dal Libano allo stesso Iran. Bombe a Beirut, in un quartiere controllato dagli Hezbollah, dove è stato ucciso Saleh al Arouri, leader di Hamas, il secondo uomo più importante del partito, il “diplomatico” che garantiva l’alleanza tra il movimento terrorista palestinese e l’Iran. E meno di ventiquattro ore dopo, due bombe, senza firma, sono state fatte detonare a Kerman, una città dell’Iran meridionale, fra la folla che celebrava la memoria del generale Soleimani, il comandante della Guardia Rivoluzionaria all’estero, ucciso in un raid statunitense il 3 gennaio 2020 all’aeroporto di Baghdad, come rappresaglia per un attacco alle truppe americane in Iraq.

I due attacchi sono entrambi privi di rivendicazione, anche se il primo porta chiaramente la firma di Israele (che non nega neppure) e il secondo è apparentemente di matrice islamica sunnita, separatista, probabilmente interna all’Iran. A collegare i due fatti di sangue è l’alta tensione, nel pieno della guerra a Gaza, in una regione fortemente destabilizzata proprio dall’attivismo rivoluzionario dell’Iran.

Al Arouri, arabo palestinese di Ramallah, era considerato da Teheran “uno dei nostri” nonostante la sua fede islamica sunnita radicale. Dirigente di Hamas nella Cisgiordania, era stato più volte arrestato da Israele e poi espulso dai Territori nel 2010. Da quel momento aveva iniziato la sua informale carriera di diplomatico. Prima combinando, attraverso la mediazione dell’Egitto, lo scambio di mille prigionieri palestinesi (fra cui l’attuale leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar) contro il caporale Gilad Shalit, sequestrato cinque anni prima. Poi contribuì a creare, dal suo esilio in Qatar, una rete di contatti internazionali per il movimento terrorista. Infine venne espulso dal Qatar nel 2017, su pressione statunitense e nella sua terza fase della carriera, divenne l’uomo dell’alleanza fra Hamas e l’Iran, operando soprattutto in Libano.

Oltre che un diplomatico, era anche un terrorista spietato. Il braccio militare di Hamas è in gran parte una sua creatura. Suo fu il piano, attuato nell’estate del 2014, di rapire e assassinare tre adolescenti israeliani Gilad Shaar, Eyal Yifrach e Naftali Fraenkel. Ed è fra le menti del grande pogrom del 7 ottobre, stando alle sue stesse dichiarazioni. Un video, girato a Beirut, lo riprende mentre partecipa a una preghiera di ringraziamento dopo il massacro degli israeliani.

Quando il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, si incontrò con i vertici di Hamas e con le Guardie Rivoluzionarie iraniane all’estero (Forze Qods) a Beirut, al Arouri era presente come massimo esponente di Hamas. Membro del politburo, è considerato il secondo uomo più importante del partito, subito dietro il leader Haniyeh. Suo è il concetto di “Asse della Resistenza” che dovrebbe unire Hamas, Hezbollah, Houthi e altre sigle minori, sotto l’egida dell’Iran, per condurre un attacco contro Israele su tutti i fronti.

L’uccisione di al Arouri, dunque, è il primo colpo messo a segno contro i massimi vertici di Hamas. Che per rappresaglia ha interrotto, come successivamente ha fatto anche l’Egitto, una nuova trattativa per la liberazione degli ostaggi (sono ancora un centinaio i cittadini israeliani ancora nelle mani di Hamas). Ma probabilmente Israele non avrebbe ucciso Arouri se i negoziati fossero stati più avanzati, secondo quanto ha dichiarato Amos Yadlin, generale israeliano in pensione. Hamas ha pochi modi per rispondere alla morte di Arouri, oltre a ritirarsi dai negoziati.

Hezbollah, per bocca del suo leader Nasrallah, promette vendetta, oltre a celebrare la morte “da martire” di al Arouri. L’uccisione del leader islamista palestinese è avvenuta letteralmente in casa degli Hezbollah, in un paese che di fatto controllano, in una parte di Beirut che è considerata una loro roccaforte. Ieri non si è notata alcuna escalation, ma non è da escludere che Hezbollah organizzi una rappresaglia contro la confinante regione della Galilea, già pronta alla guerra, con i civili evacuati, fin da ottobre.

In mezzo a tutta questa tensione, l’Iran è stato colpito in patria dal più grave attentato degli ultimi anni. Due bombe nella folla, anonime, non rivendicate, hanno trasformato un giorno di commemorazione in una nuova tragedia. Fra i pellegrini che si erano recati in preghiera a Kerman, alla tomba del generale Soleimani, per il quarto anniversario della sua morte, si contano, secondo un bilancio provvisorio, 95 vittime e più di 200 feriti. Oltre all’effetto dei due ordigni, fatti esplodere con un radiocomando, secondo una prima ricostruzione, molte sarebbero le vittime della ressa causata dal panico subito dopo le detonazioni.

L’attentato per ora è senza firma. Non è il modo di precedere dei servizi israeliani, che hanno sempre mirato con precisione al loro obiettivo. Non è invece da escludere un attentato dello Stato Islamico, arci-nemico di Soleimani in Siria e in Iraq. E neppure la pista del terrorismo interno (separatisti arabi o del Belucistan, curdi o Mujaheddin del popolo). Tutte le ipotesi sono aperte, ma il regime iraniano ha preferito puntare subito il dito contro Israele e gli Usa. Parlando di “mercenari al soldo di potenze arroganti”, ha scelto di alzare ulteriormente la tensione.

Aggiornamento del 4 gennaio 2024: L'Isis ha rivendicato l'attentato a Kerman. Il gruppo terrorista islamico sunnita lo ha scritto su Telegram in un messaggio che è stato considerato autentico e rilanciato dalla televisione pan-araba Al Arabiya. La dinamica dell'attentato contraddice la prima ricostruzione delle autorità iraniane. Non sarebbero state fatte detonare due bombe azionate in remoto, ma sarebbe opera di due attentatori suicidi, fattisi esplodere in mezzo alla folla dei pellegrini, nei pressi della tomba di Soleimani. Ridimensionato anche il bilancio delle vittime, che inizialmente parlava di 95 morti. Attualmente le ultime stime sono di 84 morti e 284 feriti.