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LEGGE

Cyberbullismo, una legge fatta per (ri)educare

Non ci sarebbe alcun bisogno di una legge sul cyberbullismo, cioè la persecuzione online. Tutte le tipologie di reato negli atti di bullismo sono infatti già punite nel Codice Penale. Ma la nuova legge, nata sull'onda dell'ennesimo furore mediatico, serve soprattutto a conformarci a un pensiero unico.

Cultura 04_10_2016
Cyberbullismo, campagna di sensibilizzazione

Nella novella pirandelliana La giara, a ogni contrattempo il padrone della masseria gridava ai suoi sottoposti: «Sellate la mula!». Sulla quale subito montava per andare dall’avvocato. Così accade nel nostro Parlamento. Una signorina si suicida perché, per leggerezza, ha messo in rete certe sue disinvolte performances? Subito una legge! Un ragazzino si butta dalla finestra per una delusione amorosa o un brutto voto? Ci vuole una legge! E così via, basta che i tiggì diano la dovuta risonanza (a patto che non ci siano, che so, le esequie di qualche famoso Vip, altrimenti il palinsesto è già pieno e chissenefrega dei suicidi).

L’ultima (per ora) legge in corso di approvazione alle Camere riguarda «la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo». C.v.d. Non a caso l’Istituto Bruno Leoni ha dedicato all’argomento (non al bullismo cyber e no, ma al travaglio parlamentare su di esso) un editoriale sarcastico. Infatti, non se ne può più. Uno dei precedenti governi (eletti) aveva nominato un apposito organismo «per la semplificazione», cioè per lo sfoltimento dello spaventoso numero di leggi che assilla il Popolo Italiano. Che fine ha fatto? Ma, qualunque fine abbia fatto, devo tornare sull’esempio già da me esternato su queste colonne: la barca con due a bordo, uno lavora di trapano e l’altro svuota l’acqua. Fatica di Sisifo. Per una vecchia legge che «semplifichi» (i.e. cassi), eccone pronte altre cinque nuove. E pazienza se inutili come quella di cui sopra. L’Ibl, infatti, fa presente che il Codice Penale è già zeppo di misure al riguardo: «Violenza privata, percosse, lesioni, molestie, minaccia, stalking, furto, estorsione, danneggiamento di cose altrui, ingiuria, diffamazione, sostituzione di persona, furto d'identità digitale, trattamento illecito di dati: sono solo alcune delle figure di reato usate già oggi dai giudici per punire comportamenti di bullismo reale o virtuale. La Cassazione ha inoltre già riconosciuto il bullismo circostanza aggravante».

Ma l’Ibl non è ingenuo, e sa bene che c’è sempre qualcuno che, a ogni  nuova legge, infila di soppiatto qualche espediente politicamente corretto: «La legge, infatti, non si limita a battezzare con un nuovo nome comportamenti che nuovi non sono. Contiene una pletora di previsioni contenenti azioni di carattere preventivo e formativo». E qui ti voglio, diceva Totò. Infatti, dove finisce ogni roba di questo genere? Nella scuola, luogo dove il pupo deve essere rieducato, partendo dall’«affettività», al Nuovo Corso Giacobino in linea con le direttive del Nuovo Ordine Mondiale. Il modello? La solita Svezia, da sempre la più «avanzata» nell’inseguire il sogno huxleyano (quand’ero studente, ed erano tempi etero, organizzavamo infoiati viaggi di gruppo verso quel bengodi nordico). «La legge, infatti, non si limita a battezzare con un  nuovo nome comportamenti che nuovi non sono. Contiene una pletora di previsioni contenenti azioni di carattere preventivo e formativo», le famose «linee di orientamento del Miur», il consueto finanziamento di progetti per «azioni integrate di contrasto», l'immancabile «tavolo tecnico per la prevenzione e la lotta» al fenomeno.

Poi, come sempre accade, i tiggì accendono i riflettori su qualcos’altro, e il problema passa nel dimenticatoio collettivo. Ma la legge rimane. Per sempre. Qui da una parte si estrinseca, come un riflesso pavloviano, il vecchio vizio giacobino di risolvere i guai di questa valle di lacrime a colpi di norme & regole. Dall’altra il molto più vecchio – e banale - vizio dei mediocri di «lasciare un’impronta» del proprio passaggio sugli scranni della Repubblica. Verrebbe da dire: in che mani siamo. Meglio: in che mani, ogni volta, ci mettiamo.