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Culle vuote e vuota cultura: l'Italia sceglie il suicidio

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I dati Istat fotografano il lento suicidio dell'Italia: entro il 2042 solo una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà. La culla vuota è simbolo perfetto di una cultura vuota, vacua e vana, perché abbiamo barattato il figlio per dei surrogati.

Famiglia 04_10_2023

L’Istat ha puntato il cannocchiale sul futuro e ha pubblicato una previsione sull’andamento demografico in Italia dal titolo Previsioni della popolazione residente e delle famiglie. Le previsioni sono fosche, ma non sorprendenti: «La popolazione residente è in decrescita: da 59 milioni al 1° gennaio 2022 a 58,1 mln nel 2030, a 54,4 mln nel 2050 fino a 45,8 mln nel 2080. […] In crescita le famiglie ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2042 solo una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà». Inutile aggiungere che la sostituzione etnica avverrà a favore degli immigrati, soprattutto di religione islamica, perché figliano maggiormente. 

Cristo, anche Lui, fece una sorta di previsione: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). Da una parte possiamo dire che l’Italia sta morendo, per inedia da figli. Su altro fronte, dovendo dar retta a Gesù, la mancanza di frutti, ossia di prole, deriva dal fatto che gli italiani non sono morti a se stessi. Non si rinuncia a sé per amore dell’altro, per amore di altro da sé. È un dato di carattere sociologico di palmare evidenza: l’italiano medio affoga in un gorgo narcisistico fatto di selfie, like e consumi. L’individuo ha soppiantato la persona. Il primo è una monade senza relazioni e quando ci sono hanno un’impronta fortemente utilitarista: tu esisti e vali in tanto quanto sei a me utile. Gli alti lamenti levatesi contro lo spot Esselunga celebrano da una parte il matrimonio come SPA dove si entra con una quota e se, dopo qualche tempo, le quote azionarie non valgono più nulla ecco che si esce dalla società con il divorzio. E su altro fronte celebrano proprio il divorzio come sacrario dell’egoismo la cui vittima sacrificale primaria è il figlio, pericoloso scoglio per condurre la propria barca dove si vuole. La persona è invece soggetto ontologicamente portato alla relazione anche di carattere oblativo. Da qui nascono i matrimoni, da qui nascono i figli.  

Di contro, la centratura solipsistica sull’Io genera solo sterilità di rapporti, deserti di amicizie, matrimoni vuoti sia di verità che fanno bene all’anima sia di figli perché questi ultimi – ed è ormai narrativa consolidata tra gli addetti ai lavori – sono i nemici della felicità grande come un posto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, sono gli antagonisti dei desideri espansi all’infinito, sono gli avversari dell’indipendenza da tutti e da tutto. Gli alleati invece sono i soliti noti: contraccezione, aborto e la provetta che permette di avere un figlio Amazon. Ordinato e spedito a casa quando vuoi tu. Tra i tre il più temibile è l’aborto: il suo vento gelido ci ha spinto nell’inverno demografico più nero. Senza aborto la popolazione italiana segnerebbe un +20%.  

La culla vuota allora è simbolo perfetto di una cultura vuota, vacua e vana, perché abbiamo barattato il figlio per dei surrogati: cani, isole greche, amorazzi a rotazione, l’eccitante euforia di percepirsi adolescenti all’infinito, acronimi ambiziosi come AD e CEO. In tal modo siamo affogati nell’insoddisfazione e, per porvi rimedio, non abbiamo trovato nulla di meglio che aumentare la quantità di questi surrogati, peggiorando così solo la situazione. L’idea del figlio infine albeggia quando si è al tramonto, quando ormai la vita è nella sua parabola discendente. Ultimo e per sempre perso orpello ad un’esistenza sazia di sé, ingolfata da un Io grande come la vanità.