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AFGHANISTAN

Cronaca di un ritiro annunciato

L'Italia ritira le truppe da Farah, dopo aver lasciato Bala Murghab, il Gulistan e Bakwa. La missione diverrà puramente addestrativa. Ma già ora gli afghani, da soli, dimostrano di non essere all'altezza del compito.

Esteri 30_10_2013
Italiani e afghani

Con il ritiro dei bersaglieri del 6° Reggimento dalla base avanzata Dimonios di Farah il contingente italiano in Afghanistan procede a passi rapidi verso la radicale riduzione degli organici schierati nel Paese asiatico. La base di Farah City, per sei anni al centro delle operazioni italiane e statunitensi, in una delle aree più calde per la presenza talebana e le coltivazioni di oppio, è stata ceduta alle forze afghane con una cerimonia tenutasi domenica scorsa. Dove prima erano basati 800 militari italiani e almeno 500 statunitensi con blindati, corazzati, mortai ed elicotteri ora restano poche centinaia di soldati di un battaglione afghano privo di mezzi protetti e di armi pesanti. Difficile valutare che le forze della Seconda brigata del 207° Corpo afghano possano garantire la sicurezza nella città di Farah e pattugliare le Strade 517 e 515 che conducono alla Ring Road, l’asse stradale più importante che attraversa tutto il Paese.

Del resto le difficoltà che incontrano le autorità afghane da quando hanno assunto la piena responsabilità della sicurezza sono ben evidenziate da alcuni “dettagli”. Per ridurre i crescenti attacchi talebani, effettuati spesso utilizzando motociclette anche come moto-bomba per azioni suicide, in alcune province (anche a Herat) i governatori hanno vietato l’uso delle due ruote e ne hanno limitato l’uso al solo conducente. Un provvedimento sbeffeggiato dagli stessi talebani che di certo non contribuirà a rendere popolari le istituzioni dal momento che, in un Paese quasi del tutto privo di strade asfaltate e dove ben pochi possono permettersi un’auto, la motocicletta è il mezzo di trasporto più diffuso.

Negli ultimi 14 mesi gli italiani hanno evacuato le postazioni nel Nord del loro settore (Bala Murghab) e nel Sudest (Gulistan e Bakwa) dimezzando le forze combattimento da 4 a 2 task force di fanteria. Con il ritiro da Farah City in quella provincia il contingente mantiene ancora un presidio a Bala Boluk, sulla Ring Road a Sud di Shindand: la base avanzata Tobruk che entro un mese verrà ceduta alle truppe afghane. Da dicembre le forze italiane in Afghanistan conteranno non più di 2 mila unità, mille in meno di oggi, concentrati a Herat e Shindand e con una sola unità da combattimento di fanteria. Il ripiegamento riguarda tutte le forze alleate nell’Ovest inclusi gli americani mentre gli spagnoli hanno lasciato solo 300 militari  nella base di Camp Arena per gestire gli aspetti logistici del rimpatrio dei mezzi. Molti dei 50 Paesi che hanno inviato truppe in Afghanistan hanno già completato il ritiro: l’ultima ad annunciarlo è stata l’Australia che ieri ha reso noto che i mille soldati schierati nella provincia meridionale di Oruzgan saranno tutti rimpatriati entro Natale.

Le truppe italiane dovrebbero mantenere questo assetto fino al termine della missione della Nato, alla fine dell’anno prossimo, quando dovrebbe prendere il via una nuova missione di addestramento e supporto alle truppe afghane battezzata “Resolute Support”. Il condizionale resta però d’obbligo finché Stati Uniti e Afghanistan non avranno firmato l’accordo bilaterale di sicurezza che sta determinando forti tensioni. Washington pretende il rinnovo dell’immunità giudiziaria per i militari alleati e l’autorizzazione a continuare le azioni contro al-Qaeda in territorio afghano. Il mancato via libera di Kabul determinerebbe la cosiddetta “opzione zero”, cioè il ritiro immediato di tutte le forze alleate, come accadde nel 2011 in Iraq.

Secondo fonti citate dal New York Times le speranze dei comandi militari di disporre, dal 2015, di 20/25 mila militari impegnati soprattutto ad affiancare le forze di Kabul andranno deluse mentre negli ambienti Nato sta prendendo piede l’opzione preferita dalle leadership politiche. Si punta quindi a lasciare in Afghanistan 8/12 mila militari, per due terzi statunitensi, con compiti soprattutto di amministrazione per controllare che i fondi versati dall’Occidente a Kabul per mantenere il suo esercito, 4,1 miliardi di dollari all’anno fino al 2017, non finiscano in sprechi e corruzione. Un esercito di ragionieri e contabili che forse riuscirà a impedire sperperi ma difficilmente riuscirà a impensierire i talebani.