Crolla la produzione: i nodi vengono al pettine
Gli ultimi dati sulla produzione industriale sono un messaggio chiaro e inequivocabile a quanti speravano che si potesse invertire la rotta nel secondo semestre dell’anno in corso. Il malessere del mondo produttivo è evidenziato dall'allarme del presidente degli Industriali e dai casi Whirlpool, ex Ilva e Alitalia.
Negli ultimi giorni si è diffusa la percezione che i destini del governo italiano siano interamente nelle mani dei due alleati di governo e che tutto dipenderà quasi esclusivamente dalle loro valutazioni tattiche. Altri fanno sommessamente notare che in realtà sarà l’andamento del negoziato con l’Unione europea rispetto alla procedura d’infrazione e saranno le conseguenti reazioni dei mercati a tracciare il cammino dell’esecutivo Conte.
Molti però sottovalutano tanti altri segnali che da soli potrebbero determinare la fine dell’esperienza gialloverde e, quasi sicuramente, un rapido ricorso alle urne anticipate. Ci riferiamo al malessere del mondo produttivo.
Gli ultimi dati sulla produzione industriale sono un messaggio chiaro e inequivocabile a quanti speravano che si potesse invertire la rotta nel secondo semestre dell’anno in corso. Ad aprile 2019 l’Istat rileva per la produzione industriale la seconda flessione congiunturale, dopo gli aumenti di inizio anno, con un calo dello 0,7% da marzo. Anche su base annua c’è una contrazione dell’1,5%. Crolla in particolare la produzione nel settore auto: la produzione di autoveicoli nell’aprile 2019 è scesa di oltre 17 punti rispetto all’anno precedente. Difficile prevedere qualcosa di diverso per il prosieguo dell’anno in corso.
Nel week-end scorso, a Rapallo, il Presidente degli industriali, Vincenzo Boccia, ha tuonato contro l’esecutivo: “Basta con l’agenda del contratto di governo. Servono lavoro e crescita. La flat tax non è una priorità, prima vanno ridotti tasse e contributi per far aumentare i salari netti dei lavoratori”. Un monito molto pressante ai due alleati di governo affinchè rivedano le priorità e puntino segnatamente sulla forza lavoro e su chi la sostiene.
Nel frattempo le crisi industriali sembrano entrare in un vicolo cieco. Oggi il Ministro dello sviluppo economico, Luigi Di Maio, che aveva già annunciato la revoca degli incentivi, criticando l’operato dell’azienda, proverà a trovare una soluzione alla vertenza Whirlpool, che pare avvitarsi sempre più su se stessa. L’azienda in un comunicato ufficiale annuncia di non voler chiudere il sito di Napoli e di sentirsi “impegnata a trovare una soluzione che garantisca la continuità industriale e i massimi livelli occupazionali del sito”. Ma che direzione prenderà il negoziato col governo?
Peraltro il titolare del dicastero di via Veneto ha tante altre crisi industriali che si aggrovigliano, a cominciare da Alitalia. Sembrava in dirittura d’arrivo la definizione di una cordata pronta a prendere in mano la disastrata compagnia aerea, e invece si brancola ancora nel buio e non si è riusciti a individuare alcuna soluzione alternativa al rinnovo del prestito ponte.
Per non parlare dell’ex Ilva. Nel corso di un incontro che si è svolto ieri nello stabilimento siderurgico ArcelorMittal (ex Ilva) di Taranto, i sindacati hanno chiesto all’azienda di “riconsiderare il ricorso dell’ammortizzatore sociale e verificare la possibilità di ulteriori strumenti alternativi che possano sostituirsi alla cassa integrazione” annunciata per 1395 lavoratori, per 13 settimane, a partire dal primo luglio. Dunque, cambiano i soggetti ma le ricette sono sempre le stesse, in questo caso la cassa integrazione. Senza dimenticare che la scommessa ambientalista fatta dai Cinque Stelle anche per quanto riguarda quell’area può dirsi persa, almeno per il momento, considerato il fatto che la qualità dell’aria per gli abitanti di Taranto e dintorni non può dirsi migliore di un anno fa.
Tutte queste situazioni in sospeso non promettono nulla di buono e sono solo le ultime dimostrazioni dell’incapacità dell’attuale esecutivo di gestire criticità che ovviamente non ha creato direttamente, perché provengono da precedenti gestioni governative, ma che non ha in alcun modo affrontato con il piglio giusto. L’industria italiana continua peraltro a perdere competitività, anche per colpa di un’elefantiasi burocratica che imbriglia l’agire degli imprenditori.
La legislazione vigente e le politiche governative non aiutano come dovrebbero quel tessuto di piccole e medie imprese, anche a conduzione famigliare, in grado di intercettare il vento dell’innovazione e di tradurlo in modo flessibile in scelte vincenti sul mercato. I bizantinismi dilaganti nell’attuale esecutivo non sono di certo un buon viatico per risalire la china e rilanciare il sistema Italia su scala internazionale. E i nodi ormai sono arrivati al pettine.