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FERITE SPIRITUALI

Croazia, il terremoto ha spazzato via molte chiese

Non solo le sette vittime e le migliaia di sfollati. La scossa di magnitudo 6.4 della scala Richter "ha completamente distrutto sei chiese e ne ha gravemente danneggiato altre trenta", spiega alla Bussola Kristina Radic della Caritas. Colpita anche la cattedrale di Sisak, città importante nella storia croata ed europea, per la decisiva vittoria sugli ottomani nel 1593.

Attualità 05_01_2021

L’immagine della Basilica di San Benedetto a Norcia con la sola facciata rimasta in piedi tra le rovine è diventata il simbolo del devastante terremoto che ha colpito il Centro Italia nel 2016 e più in generale delle ferite che gli eventi sismici possono provocare al patrimonio artistico e religioso. Uno scenario drammatico che sta vivendo in questi giorni la Croazia dopo che il 29 dicembre 2020 la terra è tornata a tremare con una violenza che da quelle parti non si riscontrava dal lontano 1880.

La scossa di magnitudo 6.4 della scala Richter con epicentro localizzato a 44 chilometri a sud-est di Zagabria ha devastato i centri abitati di Petrinja, Sisak, Glina e villaggi circostanti, provocando sette vittime, una trentina di feriti e migliaia di sfollati. La devastazione provocata dalla scossa ha spazzato via anche i simboli dell’anima spirituale e culturale del territorio: Kristina Radic, direttrice della Caritas di Sisak, ha spiegato alla Nuova Bussola Quotidiana che “sei chiese sono state completamente distrutte e sono perciò inutilizzabili”, alle quali si aggiungono “chiese quasi totalmente distrutte nei villaggi Seli, Odra, Zažina, Gora, Travarsko e la cattedrale di Sisak, mentre altre trenta chiese sono state gravemente danneggiate e il numero delle cappelle non è stato ancora determinato, ma finora ne sono state identificate oltre cinquanta”.

Un bilancio drammatico in un luogo molto importante nella storia della Croazia: a Sisak, infatti, iniziò la ritirata degli ottomani dall’Europa centrale dopo la decisiva sconfitta rimediata contro gli austro-croati nel 1593. La battaglia di Sisak, arrivata dopo tre anni d’assedio alla fortezza difesa in inferiorità numerica dai soldati locali, fu la più grande débâcle militare subita dalle forze turche in un secolo di attacchi alle terre croate ed ebbe risonanza in tutta Europa con tanto di ‘benedizione’ di Papa Clemente VIII. Quella vittoria spianò il terreno alla successiva liberazione delle parti occupate del territorio croato e per questo viene considerata ancora oggi una delle pagine più importanti della coscienza nazionale. Forse è anche per questo che la macchina della solidarietà da parte dei connazionali si è mossa con grande rapidità e numeri importanti: le donazioni alla Croce Rossa hanno raggiunto in breve tempo 36 milioni di kune mentre i magazzini per raccogliere gli aiuti sono già pieni di generi alimentari e di volontari per distribuirli. Un prezioso contributo è arrivato anche dalle comunità emigrate in Germania, negli Stati Uniti e in Australia.

A una settimana dal devastante terremoto, tuttavia, persiste una situazione di grande difficoltà perché nel frattempo sono continuate le scosse di assestamento spesso sotto la pioggia battente e il gelo che complicano le operazioni di soccorso nei villaggi meno facilmente raggiungibili. Kristina Radic ha raccontato alla Nuova Bussola che “l’area interessata dagli eventi sismici è molto ampia e, a parte le tre città, ci sono molti piccoli villaggi che possono essere raggiunti solo da strade strette che ora sono danneggiate e non transitabili”. “In molti villaggi più piccoli - ha continuato la direttrice della Caritas di Sisak - la popolazione è prevalentemente formata da anziani privi di cellulari e Internet che in questo momento si ritrovano soli e smarriti”.

Gli sfollati, dunque, hanno trascorso gli ultimi giorni del 2020 e i primi del 2021 fuori dalle loro case distrutte, cercando di ripararsi dal freddo balcanico con fuochi improvvisati, terrorizzati dal sopraggiungere di nuove scosse. Le precipitazioni, inoltre, hanno alzato il livello d’allerta a Petrinja dove le autorità hanno dichiarato lo stato d’emergenza per l’innalzamento del livello dell’acqua dei fiumi Sava e Kupa nel timore di possibili inondazioni. La città, epicentro della tragedia, rivive un drammatico déjà vu trent’anni dopo le macerie della guerra con le case sventrate, questa volta, dal terremoto. E così come ai tempi delle guerre jugoslave, anche nel caso del recente sisma l’immagine di maggiore impatto della desolazione piombata sulla Croazia è quella delle chiese rase al suolo o danneggiate irreparabilmente.

Una delle sette vittime ha trovato la morte mentre si trovava all’interno della chiesa dei Santi Nicola e Vida a Zažina, nel comune di Lekenik. Si chiamava Stanko Zec, aveva 65 anni e stava suonando l’organo nel momento in cui la scossa di magnitudo 6.4 della scala Richter ha fatto crollare il campanile di 15 metri dell’edificio religioso risalente al XVIII secolo. I vigili del fuoco hanno impiegato sette ore per spostare le macerie e recuperare il suo corpo senza vita.

I suoi funerali sono stati celebrati da monsignor Vlado Košić, vescovo di Sisak, che ai cattolici della sua diocesi ha chiesto due giornate di digiuno e di preghiera per “trovare la forza di sopportare tutto fedelmente e di rimanere coraggiosi e saldi in questa tragedia”. In un video registrato davanti la cattedrale dell’Esaltazione della Santa Croce il presule ha ricordato le parole del cardinal Alojzije Stepinac: “Quando ti prendono tutto, hai due mani, congiungile in preghiera e sarai il più forte”. Košić si è detto convinto che l’esempio del Beato aiuterà i croati a “superare questi giorni difficili attraverso la fede, la speranza e l’amore”.